"IL
TRADIMENTO"
Riprendiamo l'Arte di...Amare prendendo in considerazione questa
volta la Narrazione del Tradimento rifacendoci alla sua
etimologia quale "tradere" o "traditio" che significano
appunto tramandare, narrare, insegnare e alla sua
definizione storica quale "traditore è chi danneggia la
persona del sovrano o i suoi beni, chi viene meno a un patto
o alla fede data". Emettiamo subito un postulato: "il
tradimento è indissolubilmente legato alla relazione, è solo
quando si forma un Noi che c'è insita la possibilità del
tradimento". Noi dunque non siamo nati per essere soli, la
solitudine non ci appartiene, non è di questo mondo né forse
dell'altro, di questo mondo sicuramente è la Relazione.
Nessuno però conosce "sino in fondo e esattamente" tutte le
parti di se' e allo stesso tempo la presenza costante del
"doppio" che galleggia nell'animo, perciò nessuno sa che
cosa succederà nella relazione o meglio nell'interazione con
l'altro. Ho sentito un'infinità di persone affermare con
estrema sicurezza di
non poter mai tradire, di non essere stato/a mai tradito
sino poi a vedere un giorno improvvisamente volatilizzarsi
questa certezza. Un esempio fra tanti la figura di Pietro.
Non rinnegò forse Pietro tre volte Cristo prima che il gallo
cantasse, Lui che aveva fatto fede di non tradire mai e poi
mai? Bene, ora sappiamo che l'Umano può tutto e dunque può
anche tradire. Ci chiediamo poi spesso il motivo che spinge
al tradimento e la causa che lo determina come se vi fosse
un "interno" ed un "esterno" che proprio non si guardano e
reciprocamente si trascurano. Non è proprio così, ma per
abitudine o meglio per comodità siamo soliti fare una netta
distinzione o scissione o separazione tra il "traditore"
(disgraziato, delinquente, etc.) e il "tradito" (poverino,
buono, educato, etc.) venendo meno al postulato emesso, cioè
la Relazione e il Noi. Ditemi ora, quanti nella relazione
amorosa sono attenti a cogliere il disagio dell'altro/a?
Quanti l'accolgono e nell'accoglierlo lo fanno proprio
"mettendosi nei panni dell'altro/a? Non me lo dite perché
forse sarei costretto a non credervi perché "purtroppo per
avere una vita sociale abbiamo bisogno di dare per scontate
fiducia e lealtà". Naturalmente la relazione, amorosa o no,
non prescinde dall'individuo, dunque siamo capaci di vederci
in chiaroscuro prima di notare il chiaroscuro dell'altro/a?
Possiamo poi considerare il tradimento una psicopatologia o
malattia come si suol dire? Certo. Lo riscontriamo nelle
personalità paranoidee, nei disturbi del comportamento di
tipo delinquenziale, i disturbi borderline, insomma "in
tutti quei sistemi relazionali a legame debole o di tipo
strumentale o parassitario". A questo punto la narrazione si
fa sempre più complessa, soprattutto se introduciamo
un'altra domanda. "Il traditore attacca la persona o la
relazione"? Predice uno "scontro" o un "incontro"? Troppe
domande e troppe variabili individuali possibili, a voi le
risposte. Noi terminiamo il discorso affermando che "il
tradimento è prima di tutto la condizione per entrare nel
mondo reale, il mondo della coscienza e delle
responsabilità" e dicendo che comunque nel traditore
possiamo scorgere anche qualcosa di "allegro" sia in senso
evoluzionistico sia nel senso che pochi sono traditori in
toto. Comunque senza il tradimento non vi sarebbe il perdono
e non vi sarebbe forse l'amore.
Psichiatra GIORGIO BRUNO
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