Emily Elizabeth Dickinson 

 Non era la Morte perché ero diritta

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Emily Elizabeth Dickinson  Non era la Morte, perché ero diritta,


 

Non era la Morte, perché ero diritta,
E tutti i Morti, giacciono distesi -
Non era la Notte, perché tutte le Campane
Sfoderavano i loro Batacchi, per il Mezzodì.

Non era il Gelo, perché sulla Carne
Sentivo Scirocchi - strisciare -
Né il Fuoco - perché da soli i miei piedi di marmo
Avrebbero mantenuto un Presbiterio, fresco -

Eppure, sapeva, di tutto questo,
Le Figure che avevo visto
Composte, per la Sepoltura,
Mi ricordavano, la mia -

Come se la mia vita fosse stata piallata,
E incastrata in una cornice,
E non potessi respirare senza una chiave,
Ed era un po', come a Mezzanotte -

Quando tutto ciò che ticchetta - si è fermato -
E lo Spazio guarda fisso tutt'intorno -
O geli Orribili - i primi mattini d'Autunno,
Si appropriano del Suolo Palpitante -

Ma, più di tutto, come il Caos - Incessante - freddo -
Senza una Possibilità, o un Pennone -
O almeno un Annuncio di Terra -
A giustificare - la Disperazione.

 

Un momento d'angoscia, di svuotamento dell'anima, di gelo interiore, fissato sulla carta con immagini, quasi delle istantanee, che cercano di descriverne la natura. Come quasi sempre nelle poesie di ED si inizia in medias res, senza nominare l'oggetto della poesia. Nei primi otto versi, quattro no, quattro descrizioni, fulminee e immaginifiche, di ciò che "non" è ciò di cui stiamo parlando. Non è la morte (io sono ben diritta in piedi, i morti sono distesi), non è la notte (le campane suonano a distesa il mezzogiorno), non è il gelo (sento i caldi venti di scirocco che strisciano sulla carne), e non è nemmeno il fuoco, perché i miei piedi di marmo potrebbero da soli rinfrescare l'intero spazio di un presbiterio. E poi, finiti i "non" ecco che passiamo a ciò che invece può ricordare, può somigliare a quello che proviamo. La composta fissità dei morti, così simile a questa gelida costrizione che sentiamo dentro, come se fossimo stati a forza incastrati in una cornice, e solo una chiave che ci liberi potrebbe permetterci di respirare. L'immagine della mezzanotte (il momento del buio contrapposto al solare mezzogiorno) che fa cessare ogni vita, quasi arriva a fermare il tempo (ogni cosa che ticchetta) o le prime gelate d'autunno, tremende perché sorprendono il suolo ancora palpitante di vita ("Repeal" significa letteralmente "abrogare" "cancellare qualcosa che esisteva prima" - qui il significato è "cancellare la vita dal suolo" e mi è sembrato corretto renderlo con "appropriarsi"). Poi c'è l'ultima strofa, con quel "most" che sottolinea la similitudine più vera: il caos, incessante, freddo (nel senso di insensibile, indifferente), dove non esistono possibilità di salvezza, pennoni che aiutino chi naviga in questo mare infido e incomprensibile, e nemmeno un accenno di terra che possa almeno giustificare la disperazione di rendersi conto di non riuscire ad arrivarci. Nemmeno questo, nemmeno la disperazione è concessa, in un caos dove non c'è posto per l'uomo.
Poesia che chiude tutte le porte, persino quelle, tremende ma umane, della disperazione.

La donna che parla in prima persona riconosce la propria morte psicologica, senza urli o lamenti,come se uscita da se stessa, potesse guardare all'esterno la propria condizione in uno stato di veglia.La poesia si apre  con la definizione di una condizione di sconforto, ma con una negazione ancor più radicale :"Non era la morte".Alla fina c'è la constatazione che l'essenza di qualsiasi speranza non è solo morte interiore, ma è soprattutto immersione in un mondo caotico, in cui sono venuti meno i punti di riferimento che avrebbero potuto spiegare la ragione della disperazione e indicarne gli esiti.



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