Jeli il pastore DI GIOVANNI VERGA

Jeli il pastore    

G.VERGA


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Jeli, il guardiano di cavalli, aveva tredici anni quando conobbe don Alfonso, il signorino; ma era cos� piccolo che non arrivava alla pancia della Bianca, la vecchia giumenta che portava il campanaccio della mandra. Lo si vedeva sempre di qua e di l�, pei monti e nella pianura, dove pascolavano le sue bestie, ritto ed immobile su qualche greppo, o accoccolato su di un gran sasso. Il suo amico don Alfonso, mentre era in villeggiatura, andava a trovarlo tutti i giorni che Dio mandava a Tebidi, e dividevano fra di loro i buoni bocconi del padroncino, e il pane d'orzo del pastorello, o le frutta rubate al vicino. Dapprincipio, Jeli dava dell'eccellenza al signorino, come si usa in Sicilia, ma dopo che si furono accapigliati per bene, la loro amicizia fu stabilita solidamente. Jeli insegnava al suo amico come si fa ad arrampicarsi sino ai nidi delle gazze, sulle cime dei noci pi� alti del campanile di Licodia, a cogliere un passero a volo con una sassata, a montare correndo di salto sul dorso nudo delle giumente ancora indomite, acciuffando per la criniera la prima che passasse a tiro, senza lasciarsi sbigottire dai nitriti di collera dei puledri indomiti, e dai loro salti disperati. Ah! le belle scappate pei campi mietuti, colle criniere al vento! i bei giorni d'aprile, quando il vento accavallava ad onde l'erba verde, e le cavalle nitrivano nei pascoli! i bei meriggi d'estate, in cui la campagna, bianchiccia, taceva, sotto il cielo fosco, e i grilli scoppiettavano fra le zolle, come se le stoppie si incendiassero! il bel cielo d'inverno attraverso i rami nudi del mandorlo, che rabbrividivano al rovajo, e il viottolo che suonava gelato sotto lo zoccolo dei cavalli, e le allodole che trillavano in alto, al caldo, nell'azzurro! le belle sere di estate che salivano adagio adagio come la nebbia, il buon odore del fieno in cui si affondavano i gomiti, e il ronz�o malinconico degli insetti della sera, e quelle due note dello zufolo di Jeli, sempre le stesse - iuh! iuh! iuh! - che facevano pensare alle cose lontane, alla festa di San Giovanni, alla notte di Natale, all'alba della scampagnata, a tutti quei grandi avvenimenti trascorsi, che sembrano mesti, cos� lontani, e facevano guardare in alto, cogli occhi umidi, quasi tutte le stelle che andavano accendendosi in cielo vi piovessero in cuore, e l'allagassero!
Jeli, lui, non pativa di quelle malinconie; se ne stava accoccolato sul ciglione, colle gote enfiate, intentissimo a suonare - iuh! iuh! iuh! - Poi radunava il branco a furia di gridi e di sassate, e lo spingeva nella stalla, di l� del poggio alla croce.
Ansando, saliva la costa, di l� dal vallone, e gridava qualche volta al suo amico Alfonso: - Chiamati il cane! oh�, chiamati il cane! - oppure: - Tirami una buona sassata allo zaino, che mi fa il capriccioso, e se ne viene adagio adagio, gingillandosi colle macchie del vallone -; oppure: - Domattina portami un ago grosso, di quelli della gn� Lia -.
Ei sapeva fare ogni sorta di lavori coll'ago; e ci aveva un batuffoletto di cenci nella sacca di tela, per rattoppare al bisogno le brache e le maniche del giubbone; sapeva anche tessere dei treccioli di crini di cavallo, e si lavava anche da s� colla creta del vallone il fazzoletto che si metteva al collo, quando aveva freddo. Insomma, purch� ci avesse la sua sacca ad armacollo, non aveva bisogno di nessuno al mondo, fosse stato nei boschi di Resecone, o perduto in fondo alla piana di Caltagirone. La gn� Lia, soleva dire: - Vedete Jeli il pastore? � stato sempre solo pei campi, come se l'avessero figliato le sue cavalle, ed e perci� che sa farsi la croce con le due mani! -
Del rimanente � vero che Jeli non aveva bisogno di nessuno, ma tutti quelli della fattoria avrebbero fatto volentieri qualche cosa per lui, poich� era un ragazzo servizievole, e ci era sempre il caso di buscarci qualche cosa da lui. La gn� Lia gli cuoceva il pane per amor del prossimo, ed ei la ricambiava con bei panierini di vimini per le ova, arcolai di canna, ed altre coserelle. - Facciamo come fanno le sue bestie, - diceva la gn� Lia, - che si grattano il collo a vicenda -.
A Tebidi tutti lo conoscevano da piccolo, che non si vedeva fra le code dei cavalli, quando pascolavano nel piano del lettighiere, ed era cresciuto, si pu� dire, sotto i loro occhi, sebbene nessuno lo vedesse mai, e ramingasse sempre di qua e di l� col suo armento! �Era piovuto dal cielo, e la terra l'aveva raccolto� come dice il proverbio; proprio di quelli che non hanno n� casa n� parenti. La sua mamma stava a servire a Vizzini, e non lo vedeva altro che una volta all'anno, quando egli andava coi puledri alla fiera di San Giovanni; e il giorno in cui era morta, erano venuti a chiamarlo - un sabato sera - che il luned� Jeli torn� alla mandra, sicch� non ci rimise neppure la giornata; ma il povero ragazzo era ritornato cos� sconvolto che alle volte lasciava scappare i puledri nel seminato.
- Oh�, Jeli! - gli gridava allora massaro Agrippino dall'aja; - o che vuoi assaggiare le nerbate delle feste, figlio di cagna? - Jeli si metteva a correre dietro i puledri sbrancati, e li spingeva mogio mogio verso la collina. Per� davanti agli occhi ci aveva sempre la sua mamma, col capo avvolto nel fazzoletto bianco, che non parlava pi�.
Suo padre faceva il vaccaro a Ragoleti di l� di Licodia, �dove la malaria si poteva mietere� dicevano i contadini dei dintorni; ma nei terreni di malaria i pascoli sono grassi, e le vacche non prendono le febbri. Jeli quindi se ne stava nei campi tutto l'anno, o a Donferrante, o nelle chiuse della commenda, o nella valle del Jacitano, e i cacciatori, o i viandanti che prendevano le scorciatoie, lo vedevano sempre qua e l�, come un cane senza padrone. Ei non ci pativa, perche era avvezzo a stare coi cavalli che gli camminavano dinanzi, passo passo, brucando il trifoglio, e cogli uccelli che girovagavano a stormi, attorno a lui, tutto il tempo che il sole faceva il suo viaggio lento lento, sino a che le ombre si allungavano e poi si dileguavano; egli avea il tempo di veder le nuvole accavallarsi a poco a poco, e figurar monti e vallate; conosceva come spira il vento quando porta il temporale, e di che colore sia il nuvolo quando sta per nevicare. Ogni cosa aveva il suo aspetto e il suo significato, e c'era sempre che vedere e che ascoltare in tutte le ore del giorno. Cos�, verso il tramonto quando il pastore si metteva a suonare collo zufolo di sambuco, la cavalla mora si accostava masticando il trifoglio svogliatamente, e stava anch'essa a guardarlo, con i suoi grandi occhi pensierosi.
Dove soffriva soltanto un po' di malinconia era nelle lande deserte di Passanitello, in cui non sorge macchia n� arbusto, e ne' mesi caldi non ci vola un uccello. I cavalli si radunavano in cerchio colla testa ciondoloni, per farsi ombra l'un l'altro, e nei lunghi giorni della trebbiatura quella gran luce silenziosa pioveva sempre uguale ed afosa per sedici ore.
Per� dove il mangime era abbondante, e i cavalli indugiavano volentieri, il ragazzo si occupava con qualche altra cosa: faceva delle gabbie di canna per i grilli, delle pipe intagliate, e dei panierini di giunco, con quattro ramoscelli; sapeva rizzare un po' di tettoia, quando la tramontana spingeva per la valle le lunghe file dei corvi, o quando le cicale battevano le ali nel sole che abbruciava le stoppie; arrostiva le ghiande del querceto nella brace de' sarmenti di sommacco, che pareva di mangiare delle bruciate, o vi abbrustoliva le larghe fette di pane allorch� cominciava ad avere la barba dalla muffa - poich� quando si trovava a Passanitello nell'inverno, le strade erano cos� cattive che alle volte passavano quindici giorni senza che si vedesse passare anima viva.
Don Alfonso, che era tenuto nel cotone dai suoi genitori, invidiava al suo amico Jeli la tasca di tela, dove ci aveva tutta la sua roba, il pane, le cipolle, il fiaschetto del vino, il fazzoletto pel freddo, il batuffoletto dei cenci col refe e gli aghi rossi, la scatoletta di latta coll'esca e la pietra focaja; gli invidiava pure la superba cavalla vajata, quella bestia dal ciuffetto di peli irti sulla fronte, che aveva gli occhi cattivi, e gonfiava le froge al pari di un mastino ringhioso quando qualcuno voleva montarla.
Da Jeli invece si lasciava montare e grattare le orecchie di cui era gelosa e l'andava fiutando per ascoltare quello che ei voleva dirle.
- Lascia stare la vajata, - gli raccomandava Jeli, - non � cattiva, ma non ti conosce -.
Dopo che Scordu il bucchierese si men� via la giumenta calabrese che aveva comprato a San Giovanni, col patto che gliela tenessero nell'armento sino alla vendemmia, il puledro zaino, rimasto orfano, non voleva darsi pace, e scorrazzava su pei greppi del monte, con lunghi nitriti lamentevoli, e colle froge al vento. Jeli gli correva dietro, chiamandolo con forti grida, e il puledro si fermava ad ascoltare, col collo teso e le orecchie irrequiete, sferzandosi i fianchi colla coda. - � perch� gli hanno portato via la madre, e non sa pi� cosa si faccia - osservava il pastore. - Adesso bisogna tenerlo d'occhio, perch� sarebbe capace di lasciarsi andar gi� nel precipizio. Anch'io, quando mi � morta la mia mamma, non ci vedevo pi� dagli occhi -.
Poi, dopo che il puledro ricominci� a fiutare il trifoglio, e a darvi qualche boccata di malavoglia, - Vedi, a poco a poco comincia a dimenticarsene.
- Ma anch'esso sar� venduto. I cavalli sono fatti per essere venduti; come gli agnelli nascono per andare al macello, e le nuvole portano la pioggia. Solo gli uccelli non hanno a far altro che cantare e volare tutto il giorno -.
Le idee non gli venivano nette e filate l'una dietro l'altra, ch� di rado aveva avuto con chi parlare, e perci� non aveva fretta di scovarle e distrigarle in fondo alla testa, dove era abituato a lasciare che sbucciassero e spuntassero fuori a poco a poco, come fanno le gemme dei ramoscelli sotto il sole. - Anche gli uccelli, - soggiunse, - devono buscarsi il cibo, e quando la neve copre la terra se ne muoiono -.
Poi ci pens� su un pezzetto. - Tu sei come gli uccelli; ma quando arriva l'inverno, te ne puoi stare al fuoco, senza far nulla -.
Don Alfonso per� rispondeva che anche lui andava a scuola, a imparare. Jeli allora sgranava gli occhi, e stava tutto orecchi se il signorino si metteva a leggere, e guardava il libro e lui in aria sospettosa, stando ad ascoltare, con quel lieve ammiccar di palpebre che indica l'intensit� dell'attenzione nelle bestie che pi� si accostano all'uomo. Gli piacevano i versi che gli accarezzavano l'udito con l'armonia di una canzone incomprensibile, e alle volte aggrottava le ciglia, appuntava il mento, e sembrava che un gran lavor�o si stesse facendo nel suo interno; allora accennava di s� e di s� col capo, con un sorriso furbo, e si grattava la testa. Quando poi il signorino mettevasi a scrivere per far vedere quante cose sapeva fare, Jeli sarebbe rimasto delle giornate intiere a guardarlo, e tutto a un tratto lasciava scappare un'occhiata sospettosa. Non poteva capacitarsi che si potesse poi ripetere sulla carta quelle parole che egli aveva dette, o che aveva dette don Alfonso, ed anche quelle cose che non gli erano uscite di bocca, talch� lui finiva per tirarsi indietro, incredulo, e con un sorriso furbo.
Ogni idea nuova che gli picchiasse nella testa per entrare, lo metteva in sospetto, e pareva la fiutasse colla diffidenza selvaggia della sua vajata. Per� non mostrava meraviglia di nulla al mondo: gli avessero detto che in citt� i cavalli andavano in carrozza, egli sarebbe rimasto impassibile, con quella maschera d'indifferenza orientale che � la dignit� del contadino siciliano. Pareva che istintivamente si trincerasse nella sua ignoranza, come fosse la forza della povert�. Tutte le volte che rimaneva a corto di argomenti ripeteva: - Io non ne so nulla. - Io sono povero - con quel sorriso ostinato che voleva essere malizioso.
Aveva chiesto al suo amico Alfonso di scrivergli il nome di Mara su di un pezzetto di carta che aveva trovato chi sa dove, perch� egli raccattava tutto quello che vedeva per terra, e se l'era messo nel batuffoletto dei cenci. Un giorno, dopo di esser stato un po' zitto, a guardare di qua e di l� soprappensiero, gli disse serio serio:
- Io ci ho l'innamorata -.
Alfonso, malgrado che sapesse leggere, sgranava gli occhi. - S�, - ripet� Jeli, - Mara, la figlia di massaro Agrippino che era qui; ed ora sta a Marineo, in quel gran casamento della pianura che si vede dal piano del lettighiere, lass�.
- O ti mariti dunque?
- S�, quando sar� grande e avr� sei onze all'anno di salario. Mara non ne sa nulla ancora.
- Perch� non gliel'hai detto? -
Jeli tentenn� il capo, e si mise a riflettere. Poi svolse il batuffoletto e spieg� la carta che s'era fatta scrivere.
- � proprio vero che dice Mara; l'ha letto pure don Gesualdo, il campiere, e fra Cola, quando venne gi� per la cerca delle fave.
- Uno che sappia scrivere, - osserv� poi, - � come uno che serbasse le parole nella scatola dell'acciarino, e potesse portarsele in tasca, ed anche mandarle di qua e di l�.
- Ora che ne farai di quel pezzetto di carta, tu che non sai leggere? - gli domand� Alfonso.
Jeli si strinse nelle spalle, ma continu� ad avvolgere accuratamente il suo fogliolino scritto nel batuffoletto dei cenci.
La Mara l'aveva conosciuta da bambina, che avevano cominciato dal picchiarsi ben bene, una volta che s'erano incontrati lungo il vallone, a cogliere le more nelle siepi di rovo. La ragazzina, la quale sapeva di essere �nel fatto suo�, aveva agguantato pel collo Jeli, come un ladro. Per un po' s'erano scambiati dei pugni nella schiena, uno tu ed uno io, come fa il bottaio sui cerchi delle botti, ma quando furono stanchi andarono calmandosi a poco a poco, tenendosi sempre acciuffati.
- Tu chi sei? - gli domand� Mara.
E come Jeli, pi� selvatico, non diceva chi fosse:
- Io sono Mara, la figlia di massaro Agrippino, che � il campaio di tutti questi campi qui -.
Jeli allora lasci� la presa senza dir nulla, e la ragazzina si mise a raccattare le more che le erano cadute per terra, sbirciando di tanto il tanto il suo avversario con curiosit�.
- Di l� del ponticello, nella siepe dell'orto, ci son tante more grosse; - aggiunse la piccina, - e se le mangiano le galline -.
Jeli intanto si allontanava quatto quatto, e Mara, dopo che stette ad accompagnarlo cogli occhi finch� pot� vederlo nel querceto, volse le spalle anche lei, e se la diede a gambe verso casa.
Ma da quel giorno in poi cominciarono ad addomesticarsi. Mara andava a filare la stoppa sul parapetto del ponticello, e Jeli adagio adagio spingeva l'armento verso le falde del poggio del bandito. Da prima se ne stava in disparte ronzandole attorno, guardandola da lontano in aria sospettosa, e a poco a poco andava accostandosi coll'andatura guardinga del cane avvezzo alle sassate. Quando finalmente si trovavano accanto, ci stavano delle lunghe ore senza aprir bocca. Jeli osservando attentamente l'intricato lavorio della calza che la mamma aveva dato in compito alla Mara, oppure costei gli vedeva intagliare i bei zig zag sui bastoni del mandorlo. Poi se ne andavano l'uno di qua e l'altro di l�, senza dirsi una parola, e la bambina, com'era in vista della casa, si metteva a correre, facendo levar alta la sottanella sulle gambette rosse.
Al tempo dei fichidindia poi si fissarono nel folto delle macchie, sbucciando dei fichi tutto il santo giorno. Vagabondavano insieme sotti i noci secolari, e Jeli bacchiava tante delle noci, che piovevano fitte come la gragnuola; la ragazzina si affaticava a raccattarne con grida di giubilo pi� che ne poteva, e poi scappava via, lesta lesta, tenendo tese le due cocche del grembiule, dondolandosi come una vecchietta.
Durante l'inverno Mara non os� mettere fuori il naso, in quel gran freddo. Alle volte, verso sera, si vedeva il fumo dei fuocherelli di sommacchi che Jeli andava facendo nel piano del lettighiere, o sul poggio di Macca, per non rimanere intirizzito al pari di quelle cinciallegre che la mattina trovava dietro un sasso, o al riparo di una zolla. Anche i cavalli ci trovavano piacere a ciondolare un po' la coda attorno al fuoco, e si stringevano fra di loro per star pi� caldi.
Col marzo tornarono le allodole nel piano, i passeri sul tetto, le foglie e i nidi nelle siepi, Mara riprese ad andare a spasso, in compagnia di Jeli, nell'erba soffice, tra le macchie in fiore, sotto gli alberi ancora nudi che cominciavano a punteggiarsi di verde. Jeli si ficcava negli spineti come un segugio, per andare a scovare delle nidiate di merli che guardavano sbalorditi coi loro occhietti di pepe; i due fanciulli portavano spesso nel petto della camicia dei piccoli conigli allora stanati, quasi nudi, ma dalle lunghe orecchie diggi� inquiete; scorazzavano pei campi al seguito del branco dei cavalli, entrando nelle stoppie dietro i mietitori, passo passo coll'armento, fermandosi ogni volta che una giumenta si fermava a strappare una boccata d'erba. La sera, giunti al ponticello, se ne andavano l'una di qua e l'altro di l�, senza dirsi addio.
Cos� passarono tutta l'estate. Intanto il sole cominciava a tramontare dietro il poggio alla croce, e i pettirossi gli andavano dietro verso la montagna, come imbruniva, seguendolo fra le macchie dei fichidindia. I grilli e le cicale non si udivano pi�, e in quell'ora per l'aria si spandeva come una gran malinconia.
In quel tempo arriv� al casolare di Jeli suo padre, il vaccaro, che aveva preso la malaria a Ragoleti, e non poteva nemmen reggersi sull'asino che lo portava. Jeli accese il fuoco, lesto lesto, e corse �alle case� per cercargli qualche uovo di gallina. - Piuttosto stendi un po' di strame vicino al fuoco, - gli disse suo padre, - ch� mi sento tornare la febbre -.
Il ribrezzo della febbre era cos� forte che compare Menu, seppellito sotto il suo gran tabarro, la bisaccia dell'asino, e la sacca di Jeli, tremava come fanno le foglie in novembre, davanti alla gran vampa di sarmenti che gli faceva il viso bianco bianco come un morto. I contadini della fattoria venivano a domandargli: - Come vi sentite, compare Menu? - Il poveretto non rispondeva altro che con un guaito, come fa un cagnuolo di latte. - � malaria di quella che ammazza meglio di una schioppettata - dicevano gli amici, scaldandosi le mani al fuoco.
Fu chiamato anche il medico, ma erano tutti denari sprecati, perch� la malattia era di quelle chiare e conosciute che anche un ragazzo saprebbe curarla, e se la febbre non era di quelle che ammazzano ad ogni modo, col solfato si sarebbe guarita subito. Compare Menu ci spese gli occhi della testa in tanto solfato, ma era come buttarlo nel pozzo. - Prendete un buon decotto di ecalibbiso che non costa nulla, - suggeriva mastro Agrippino, - e se non serve a nulla come il solfato, almeno non vi rovinate a spendere -. Si prendeva anche il decotto di eucaliptus, eppure la febbre tornava sempre, anche pi� forte. Jeli assisteva il genitore come meglio sapeva. Ogni mattina, prima d'andarsene coi puledri, gli lasciava il decotto preparato nella ciotola, il fascio di sarmenti sotto la mano, le uova nella cenere calda, e tornava presto alla sera, colle altre legne per la notte, e il fiaschetto di vino, e qualche pezzetto di carne di montone che era corso a comperare sino a Licodia. Il povero ragazzo faceva ogni cosa con garbo, come una brava massaia, e suo padre, accompagnandolo cogli occhi stanchi nelle sue faccenduole qua e l� pel casolare, di tanto in tanto sorrideva, pensando che il ragazzo avrebbe saputo aiutarsi, quando fosse rimasto solo.
I giorni in cui la febbre cessava per qualche ora, compare Menu si alzava tutto stravolto e col capo stretto nel fazzoletto, e si metteva sull'uscio ad aspettare Jeli, mentre il sole era ancora caldo. Come Jeli lasciava cadere accanto all'uscio il fascio della legna, e posava sulla tavola il fiasco e le uova, ei gli diceva: - Metti a bollire l'ecalibbiso per stanotte -; oppure; - Guarda che l'oro di tua madre l'ha in consegna la zia Agata, quando non ci sar� pi� io -. E Jeli diceva di s� col capo.
- � inutile - ripeteva massaro Agrippino ogni volta che tornava a vedere compare Menu colla febbre. - Il sangue oramai � tutto una peste -. Compare Menu ascoltava senza batter palpebra, col viso pi� bianco della sua berretta.
Diggi� non si alzava pi�. Jeli si metteva a piangere quando non gli bastavano le forze per aiutarlo a voltarsi da un lato all'altro; poco per volta compare Menu fin� per non parlare nemmen pi�. Le ultime parole che disse al suo ragazzo furono:
- Quando sar� morto, andrai dal padrone delle vacche, a Ragoleti, e ti farai dare le tre onze e i dodici tumoli di frumento che avanzo da maggio a questa parte.
- No, - rispose Jeli, - sono soltanto due onze e quindici, perch� avete lasciato le vacche che � pi� di un mese, e bisogna fare il conto giusto col padrone.
- � vero! - afferm� compare Menu socchiudendo gli occhi.
- Ora son proprio solo al mondo come un puledro smarrito, che se lo possono mangiare i lupi! - pens� Jeli quando gli ebbero portato il babbo al cimitero di Licodia.
Mara era venuta a vedere anche lei la casa del morto, colla curiosit� inquieta che destano le cose spaventose.
- Vedi come son rimasto? - le disse Jeli.
La ragazzetta si tir� indietro sbigottita, per paura che non la facesse entrare nella casa dove era stato il morto.
Jeli and� a riscuotere il danaro del babbo, e se ne part� coll'armento per Passanitello, dove l'erba era gi� alta sul terreno lasciato pel maggese, e il mangime era abbondante; perci� i puledri vi restarono a pascolarvi per molto tempo. Frattanto Jeli s'era fatto grande, ed anche Mara doveva esser cresciuta, pensava egli sovente, mentre suonava il suo zufolo; poi quando torn� a Tebidi, dopo tanto tempo, spingendosi innanzi adagio adagio le giumente per i viottoli sdrucciolevoli della fontana dello zio Cosimo, andava cercando cogli occhi il ponticello del vallone, e il casolare nella valle del Jacitano, e il tetto delle case grandi, su cui svolazzavano sempre i colombi. Ma in quel tempo il padrone aveva licenziato massaro Agrippino e tutta la famiglia di Mara stava soleggiando. Jeli trov� la ragazza, la quale s'era fatta grandicella e belloccia, alla porta del cortile, che teneva d'occhio la sua roba, mentre la caricavano sulla carretta. Ora la stanza vuota sembrava pi� scura e affumicata del solito. La tavola, e il letto, e il cassettone, e le immagini della Vergine e di San Giovanni, e fino i chiodi per appendiervi le zucche delle sementi, ci avevano lasciato il segno sulle pareti dove erano state per tanti anni. - Andiamo via, - gli disse Mara come lo vide osservare. - Ce ne andiamo laggi� a Marineo, dove c'� quel gran casamento, nella pianura -.
Jeli si diede ad aiutare massaro Agrippino e la gn� Lia nel caricare la carretta, e allorch� non ci fu altro da portare via dalla stanza, and� a sedere con Mara sul parapetto dell'abbeveratojo. - Anche le case, - le disse, quand'ebbe visto accatastare l'ultima cesta sulla carretta, - anche le case, come se ne toglie via la loro roba, non sembrono pi� quelle.
- A Marineo, - rispose Mara, - ci avremo una camera pi� bella, ha detto la mamma, e grande come il magazzino dei formaggi.
- Ora che tu sarai via, non voglio venirci pi� qui; ch� mi parr� di esser tornato l'inverno, a veder quell'uscio chiuso.
- A Marineo invece troveremo dell'altra gente, Pudda la rossa, e la figlia del campiere; si star� allegri, per la messe verranno pi� di ottanta mietitori, colla cornamusa, e si baller� sull'aja -.
Massaro Agrippino e sua moglie si erano avviati colla carretta, Mara correva loro dietro tutta allegra, portando il paniere coi piccioni. Jeli volle accompagnarla sino al ponticello, e quando Mara stava per scomparire nella vallata la chiam�: - Mara! oh, Mara!
- Che vuoi? - disse Mara.
Egli non lo sapeva che voleva. - O tu, cosa farai qui tutto solo? - gli domand� allora la ragazza.
- Io resto coi puledri -.
Mara se ne and� saltellando, e lui rimase l� fermo, finch� pot� udire il rumore della carretta che rimbalzava sui sassi. Il sole toccava le rocce alte del poggio alla croce, le chiome grigie degli ulivi sfumavano nel crepuscolo, e per la campagna vasta, lontan lontano, non si udiva altro che il campanaccio della bianca nel silenzio che si allargava.
Mara, come se ne fu andata a Marineo, in mezzo alla gente nuova, e alle faccende della vendemmia, si scord� di lui; ma Jeli ci pensava sempre a lei, perch� non aveva altro da fare, nelle lunghe giornate che passava a guardare la coda delle sue bestie. Adesso non aveva poi motivo alcuno per calar nella valle, di l� del ponticello, e nessuno lo vedeva pi� alla fattoria. In tal modo ignor� per un pezzo che Mara si era fatta sposa, giacch� dell'acqua intanto ne era passata e passata sotto il ponticello. Egli rivide soltanto la ragazza il d� della festa di San Giovanni, come and� alla fiera coi puledri da vendere: una festa che gli si mut� tutta in veleno, e gli fece cascar il pan di bocca, per un accidente toccato ad uno dei puledri del padrone, Dio ne scampi.
Il giorno della fiera il fattore aspettava i puledri sin dall'alba, andando su e gi� cogli stivali inverniciati dietro le groppe dei cavalli e dei muli, messi in fila di qua e di l� dello stradone. La fiera era gi� sul finire, n� Jeli spuntava ancora colle bestie, di l� del gomito che faceva lo stradone. Sulle pendici riarse del calvario e del mulino a vento, rimaneva tuttora qualche branco di pecore, strette in cerchio col muso a terra e l'occhio spento, e qualche pariglia di buoi dal pelo lungo, di quegli che si vendono per pagare il fitto delle terre, che aspettavano immobili, sotto il sole cocente. Laggi�, verso la valle, la campana di San Giovanni suonava la messa grande, accompagnata dal lungo crepit�o dei mortaletti. Allora il campo della fiera sembrava trasalire, e correva un grid�o che si prolungava fra le tende dei trecconi schierate nella salita dei Galli, scendeva per le vie del paese, e sembrava ritornare dalla valle dov'era la chiesa. - Viva San Giovanni! - Santo diavolone! - strillava il fattore, - quell'assassino di Jeli mi far� perdere la fiera! -
Le pecore levavano il muso attonito, e si mettevano a belare tutte in una volta, e anche i buoi facevano qualche passo lentamente, guardando in giro, con grandi occhi intenti.
Il fattore era cos� in collera perch� quel giorno dovevasi pagare il fitto delle chiuse grandi, �come San Giovanni fosse arrivato sotto l'olmo�, diceva il contratto, e a completare la somma si era fatto assegnamento sulla vendita dei puledri. Intanto di puledri, e cavalli, e muli, ce n'erano quanti il Signore ne aveva fatti, tutti strigliati e lucenti, e ornati di fiocchi, e nappine, e sonagli, che scodinzolavano per scacciare la noia, e voltavano la testa verso ognuno che passava, come aspettassero un'anima caritatevole che volesse comprarli.
- Si sar� messo a dormire, quell'assassino! - seguita a gridare il fattore; - e mi lascia i puledri sulla pancia! -
Invece Jeli aveva camminato tutta la notte, acciocch� i puledri arrivassero freschi alla fiera, e prendessero un buon posto nell'arrivare, ed era giunto al piano del corvo che ancora i tre re non erano tramontati, e luccicavano sul monte Arturo, colle braccia in croce. Per la strada passavano continuamente carri, e gente a cavallo, che andavano alla festa; per questo il giovanetto teneva ben aperti gli occhi, acci� i puledri, spaventati dall'insolito via vai, non si sbandassero, ma andassero uniti lungo il ciglione della strada, dietro la bianca che camminava diritta e tranquilla, col campanaccio al collo. Di tanto in tanto, allorch� la strada correva sulla sommit� delle colline, si udiva sin lass� la campana di San Giovanni, che anche nel bujo e nel silenzio della campagna arrivava la festa, e per tutto lo stradone, lontan lontano, sin dove c'era gente a piedi o a cavallo che andava a Vizzini, si udiva gridare: - Viva San Giovanni! - e i razzi salivano diritti e lucenti dietro i monti della Canziria, come le stelle che piovono in agosto.
- � come la notte di Natale! - andava dicendo Jeli al ragazzo che l'aiutava a condurre il branco, - che in ogni fattoria si fa festa e luminaria, e per tutta la campagna si vedono qua e l� dei fuochi -.
Il ragazzo sonnecchiava, spingendo adagio adagio una gamba dietro l'altra, e non rispondeva nulla; ma Jeli che si sentiva rimescolare tutto il sangue da quella campana, non poteva star zitto, come se ognuno di quei razzi che strisciavano sul bujo taciti e lucenti dietro il monte gli sbocciassero dall'anima.
- Mara sar� andata anche lei alla festa di San Giovanni, - diceva, - perch� ci va tutti gli anni -.
E senza curarsi che Alfio, il ragazzo, non rispondesse nulla:
- Tu non sai? ora Mara � alta cos�, che � pi� grande di sua madre che l'ha fatta, e quando l'ho rivista non mi pareva vero che fosse proprio quella stessa con cui si andava a cogliere i fichidindia, e a bacchiare le noci -.
E si mise a cantare ad alta voce tutte le canzoni che sapeva.
- O Alfio, che dormi? - gli grid� quando ebbe finito. - Bada che la bianca ti vien sempre dietro, bada!
- No, non dormo! - rispose Alfio con voce rauca.
- La vedi la puddara, che sta ad ammiccarci lass�, verso Granvilla, come sparassero dei razzi anche a Santa Domenica? Poco pu� passare a romper l'alba; pure alla fiera arriveremo in tempo per trovare un buon posto. Ehi, morellino bello! che ci avrai la cavezza nuova, colle nappine rosse, per la fiera! e anche tu, stellato!
Cos� andava parlando all'uno e all'altro dei puledri, perch� si rinfrancassero sentendo la sua voce al bujo. Ma gli doleva che lo stellato e il morellino andassero alla fiera per esser venduti.
- Quando saran venduti, se ne andranno col padrone nuovo, e non si vedranno pi� nella mandria, com'� stato di Mara, dopo che se ne fu andata a Marineo.
- Suo padre sta benone laggi� a Marineo; ch� quando andai a trovarli mi misero dinanzi pane, vino, formaggio, e ogni ben di Dio, perch� egli � quasi il fattore, ed ha le chiavi di ogni cosa, e avrei potuto mangiarmi tutta la fattoria, se avessi voluto. Mara non mi conosceva quasi pi� da tanto che non mi vedeva! e si mise a gridare: �Oh! guarda! � Jeli, il guardiano dei cavalli, quello di Tebidi!�. Gli � come quando uno torna da lontano, che al vedere soltanto il cocuzzolo di un monte, gli basta a riconoscere subito il paese dove � cresciuto. La gn� Lia non voleva che le dessi pi� del tu, alla Mara, ora che sua figlia si � fatta grande, perch� la gente che non sa nulla, chiacchiera facilmente. Mara invece rideva, e sembrava che avesse infornato il pane allora allora, tanto era rossa; apparecchiava la tavola, e spiegava la tovaglia che non pareva pi� quella. �O che ti rammenti pi� di Tebidi?� le chiesi appena la gn� Lia fu sortita per spillare del vino fresco dalla botte. �S�, s�, me ne rammento�, mi disse ella �a Tebidi c'era la campana, col campanile che pareva un manico di saliera, e si suonava dal ballatoio, e c'erano pure due gatti di sasso, che facevano le fusa sul cancello del giardino�. Io me le sentivo qui dentro tutte quelle cose, come ella andava dicendole. Mara mi guardava da capo a piedi con tanto d'occhi, e tornava a dire: �Come ti sei fatto grande!� e si mise pure a ridere, e mi diede uno scapaccione qui, sulla testa -.
In tal modo Jeli, il guardiano dei cavalli, perdette il pane, perch� giusto in quel punto sopravveniva all'improvviso una carrozza che non si era udita prima, mentre saliva l'erta passo passo, e si era messa al trotto com'era giunta al piano, con gran strepito di frusta e di sonagli, quasi la portasse il diavolo. I puledri, spaventati, si sbandarono in un lampo, che pareva un terremoto, e ce ne vollero delle chiamate, e delle grida e degli ohi! ohi! ohi! di Jeli e del ragazzo prima di raccoglierli attorno alla bianca, la quale anch'essa trotterellava svogliatamente, col campanaccio al collo. Appena Jeli ebbe contato le sue bestie, si accorse che mancava lo stellato, e si cacci� le mani nei capelli, perch� in quel posto la strada correva lungo il burrone, e fu nel burrone che lo stellato si fracass� le reni, un puledro che valeva dodici onze come dodici angeli del paradiso! Piangendo e gridando Jeli andava chiamando il puledro - ahu! ahu! ahu! - che non ci si vedeva ancora. Lo stellato rispose finalmente dal fondo del burrone, con un nitrito doloroso, come avesse avuto la parola, povera bestia!
- Oh! mamma mia! - andavano gridando Jeli e il ragazzo. - Oh! che disgrazia, mamma mia! -
I viandanti che andavano alla festa, e sentivano piangere a quel modo in mezzo al buio, domandavano cosa avessero perso, e poi, come sapevano di che si trattava, andavano per la loro strada.
Lo stellato rimaneva immobile dove era caduto, colle zampe in aria, e mentre Jeli l'andava tastando per ogni dove, piangendo e parlandogli quasi avesse potuto farsi intendere, la povera bestia rizzava il collo penosamente, e voltava la testa verso di lui, che si udiva l'anelito rotto dallo spasimo.
- Qualche cosa si sar� rotto! - piagnucolava Jeli, disperato di non poter vedere nulla pel buio; e il puledro inerte come un sasso lasciava ricadere il capo di peso. Alfio rimasto sulla strada a custodia del branco, s'era rasserenato per il primo, e aveva tirato fuori il pane dalla sacca. Ora il cielo s'era fatto bianchiccio, e i monti tutto intorno parevano che spuntassero ad uno ad uno, neri ed alti. Dalla svolta dello stradone si cominciava a scorgere il paese, col monte del calvario e del mulino a vento stampato sull'albore, ancora foschi, seminati dalle chiazze bianche delle pecore, e come i buoi che pascolavano sul cocuzzolo del monte, nell'azzurro, andavano di qua e di l�, sembrava che il profilo del monte stesso si animasse e formicolasse di vita. La campana, dal fondo del burrone, non si udiva pi�, i viandanti si erano fatti pi� rari, e quei pochi che passavano avevano fretta di arrivare alla fiera. Il povero Jeli non sapeva a qual santo votarsi in quella solitudine: lo stesso Alfio, da solo, non poteva giovargli per niente; perci� costui andava sbocconcellando pian piano il suo pezzo di pane.
Finalmente si vede venire a cavallo il fattore, il quale da lontano stripitava e bestemmiava accorrendo, al vedere gli animali fermi sulla strada, sicch� lo stesso Alfio se la diede a gambe per la collina. Ma Jeli non si mosse d'accanto allo stellato. Il fattore lasci� la mula sulla strada, e scese nel burrone anche lui, cercando di aiutare il puledro ad alzarsi, e tirandolo per la coda. - Lasciatelo stare! - diceva Jeli, bianco in viso come se si fosse fracassate le reni lui. - Lasciatelo stare! Non vedete che non si pu� muovere, povera bestia? -
Lo stellato infatti ad ogni movimento, e ad ogni sforzo che gli facevano fare, metteva un rantolo che pareva un cristiano. Il fattore si sfogava a calci e scapaccioni su di Jeli, e tirava pei piedi gli angeli e i santi del paradiso. Allora Alfio pi� rassicurato era tornato sulla strada, per non lasciare le bestie senza custodia, e badava a scolparsi dicendo:
- Io non ci ho colpa. Io andavo innanzi colla bianca.
- Qui non c'� pi� nulla da fare, - disse alfine il fattore, dopo che si persuase che era tutto tempo perso. - Qui non se ne pu� prendere altro che la pelle, finch'� buona -.
Jeli si mise a tremare come una foglia, quando vide il fattore andare a staccare lo schioppo dal basto della mula. - Levati di l�, paneperso! - gli url� il fattore, - che non so chi mi tenga dallo stenderti per terra accanto a quel puledro che valeva assai pi� di te, con tutto il battesimo porco che ti diede quel prete ladro! -
Lo stellato, non potendosi muovere, volgeva il capo con grandi occhi sbarrati, quasi avesse inteso ogni cosa, e il pelo gli si arricciava ad onde, lungo le costole; sembrava ci corresse sotto un brivido. In tal modo il fattore uccise sul luogo lo stellato, per cavarne almeno la pelle, e il rumore fiacco che fece dentro le carni vive il colpo tirato a bruciapelo parve a Jeli di sentirselo dentro di s�.
- Ora, se vuoi sapere il mio consiglio, - gli lasci� detto il fattore, - cerca di non farti vedere pi� dal padrone per quel salario che avanzi, perch� te lo pagherebbe salato assai! -
Il fattore se ne and� insieme ad Alfio, cogli altri puledri che non si voltavano nemmeno a vedere dove rimanesse lo stellato, e andavano strappando l'erba dal ciglione. E lo stellato rimase solo nel burrone, aspettando che venissero a scuoiarlo, cogli occhi ancora spalancati, e le quattro zampe distese, beato lui, che non penava pi� infine.
Jeli, ora che aveva visto con qual ceffo il fattore aveva preso di mira il puledro e tirato il colpo, mentre la povera bestia volgeva la testa penosamente, quasi avesse il giudizio, smise di piangere, e se ne stette a guardare lo stellato, duro duro, seduto sul sasso, fin quando arrivarono gli uomini che dovevano prendersi la pelle.
Adesso poteva andarsene a spasso, a godersi la festa, o starsene in piazza tutto il giorno, a vedere i galantuomini nel casino, come meglio gli piaceva, ch� non aveva pi� n� pane, n� tetto, e bisognava cercarsi un padrone, se pure qualcuno lo voleva, dopo la disgrazia dello stellato.
Le cose del mondo vanno cos�: mentre Jeli andava cercando un padrone, colla sacca ad armacollo e il bastone in mano, la banda suonava in piazza allegramente, coi pennacchi sul cappello, in mezzo a una folla di berrette bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti nel casino. Tutta la gente era vestita da festa, come gli animali della fiera, e in un canto della piazza c'era una donna colla gonnella corta e le calze color di carne che pareva colle gambe nude, e picchiava sulla gran cassa, davanti a un gran lenzuolo dipinto, dove si vedeva una carneficina di cristiani, col sangue che colava a fiumi, e nella folla che stava a guardare a bocca aperta c'era pure massaro Cola, il quale conosceva Jeli da quando stava a Passanitello, e gli disse che il padrone glielo avrebbe trovato lui, poich� compare Isidoro Macca cercava un guardiano per i porci. - Per� non dir nulla dello stellato, - gli raccomand� massaro Cola. - Una disgrazia come quella pu� accadere a tutti, nel mondo, ma � meglio non parlarne -.
Andarono perci� a cercare compare Macca, il quale era al ballo, e nel tempo che massaro Cola entr� a fare l'ambasciata, Jeli aspett� sulla strada, in mezzo alla folla che stava a guardare dalla porta della bottega. Nella stanzaccia c'era un mondo di gente, che saltava e si divertiva, tutti rossi e scalmanati, e facevano un gran pestare di scarponi sull'ammattonato, che non si udiva nemmeno il ron-ron del contrabasso, e appena finiva una suonata, che costava un grano, levavano il dito per far segno che ne volevano un'altra; e quello del contrabasso faceva una croce col carbone sulla parete, per memoria, e cominciava da capo. - Questi li spendono senza pensarci, - s'andava dicendo Jeli, - e vuol dire che hanno la tasca piena, e non sono in angustia come me, per difetto di un padrone, se sudano e s'affannano a saltare per loro piacere, quasi fossero presi a giornata! - Massaro Cola torn� dicendo che compare Macca non aveva bisogno di nulla. Allora Jeli volse le spalle e se ne and� mogio mogio.
Ma stava di casa verso Sant'Antonio, dove le case s'arrampicano sul monte, di fronte al vallone della Canziria, tutto verde di fichidindia, e colle ruote dei mulini che spumeggiavano in fondo, nel torrente; ma Jeli non ebbe il coraggio di andare da quelle parti, ora che non l'avevano voluto nemmeno per guardare i porci e girandolando in mezzo alla folla che lo urtava e lo spingeva senza curarsi di lui, gli pareva di essere pi� solo di quando era coi puledri nelle lande di Passanitello, e si sentiva voglia di piangere. Finalmente massaro Agrippino lo incontr� nella piazza, che andava di qua e di l� colle braccia ciondoloni, godendosi la festa, e cominci� a gridargli dietro: - Oh Jeli! oh! - e se lo men� a casa. Mara era in gran gala, con tanto d'orecchini che le sbattevano sulle guance, e stava sull'uscio, colle mani sulla pancia, cariche d'anelli, ad aspettare che imbrunisse per andare a vedere i fuochi. - Oh! - gli disse Mara, - sei venuto anche tu per la festa di San Giovanni! -
Jeli veramente non osava entrare, perch� era vestito male; per� massaro Agrippino lo spinse per le spalle, dicendogli che non si vedevano allora per la prima volta, e che si sapeva che era venuto per la fiera coi puledri del padrone. La gn� Lia gli vers� un bel bicchiere di vino, e vollero condurlo con loro a veder la luminaria, insieme alle comari ed ai vicini.
Arrivando in piazza, Jeli rimase a bocca aperta dalla meraviglia: tutta quanta era un mare di fuoco, come quando s'incendiano le stoppie, per il gran numero di razzi che i devoti accendevano in cospetto del santo, il quale stava a goderseli dall'imboccatura del Rosario, tutto nero sotto il baldacchino d'argento. I devoti andavano e venivano fra le fiamme come tanti diavoli, e c'era persino una donna discinta, spettinata, cogli occhi fuori della testa, che accendeva i razzi anch'essa, e un prete colla sottana in aria, senza cappello, che pareva un ossesso dalla devozione.
- Quello l� � il figliuolo di massaro Neri, il fattore della Salonia, e spende pi� di dieci lire di razzi! - diceva la gn� Lia, accennando a un giovinotto che andava in giro per la piazza tenendo due razzi alla volta nelle mani, come due candele, sicch� tutte le donne se lo mangiavano cogli occhi, e gli gridavano: - Viva San Giovanni.
- Suo padre � ricco e possiede pi� di venti capi di bestiame, - aggiunse massaro Agrippino.
Mara sapeva pure che aveva portato lo stendardo grande nella processione, e lo reggeva diritto come un fuso, tanto era forte e bel giovane.
Il figlio di massaro Neri pareva che sentisse quei discorsi, e accendesse i razzi per la Mara, facendo la ruota dinanzi a lei; tanto che dopo i fuochi si accompagn� con loro, e li condusse al ballo, e al cosmorama, dove si vedeva il mondo vecchio e il mondo nuovo, pagando lui, beninteso, anche per Jeli, il quale andava dietro la comitiva come un cane senza padrone, a veder ballare il figlio di massaro Neri colla Mara, la quale girava in tondo e si accoccolava come una colombella in amore, e teneva tesa con bel garbo una cocca del grembiale. Il figlio di massaro Neri, lui, saltava come un puledro, tanto che la gn� Lia piangeva dalla consolazione, e massaro Agrippino faceva cenno di s� col capo, che la cosa andava bene.
Infine, quando furono stanchi, se ne andarono di qua e di l� nel passeggio, trascinati dalla folla quasi fossero in mezzo a una fiumana, a vedere i trasparenti illuminati, dove tagliavano il collo a San Giovanni, che avrebbe fatto piet� agli stessi turchi, e il santo sgambettava come un capriuolo sotto la mannaia. L� vicino c'era la banda che suonava, sotto un gran paracqua di legno tutto illuminato, e nella piazza una folla tanto stipata che mai s'erano visti tanti cristiani a una fiera.
Mara andava al braccio del figlio di massaro Neri come una signorina, e gli parlava nell'occhio, e rideva che pareva si divertisse assai. Jeli non ne poteva pi� dalla stanchezza, e si mise a dormire seduto sul marciapiede, fin quando lo svegliarono i primi petardi del fuoco d'artifizio. In quel momento Mara era sempre al fianco del figlio di massaro Neri, gli si appoggiava colle due mani intrecciate sulla spalla, e al lume dei fuochi colorati sembrava ora tutta bianca ed ora tutta rossa. Quando scapparono pel cielo gli ultimi razzi in mucchio, il figlio di massaro Neri, si volt� verso di lei, bianca in viso, e le diede un bacio.
Jeli non disse nulla, ma in quel punto gli si cambi� in veleno tutta la festa che aveva goduto sin allora, e torn� a pensare a tutte le sue disgrazie, che gli erano uscite di mente - e che era rimasto senza padrone, e che non sapeva pi� che fare n� dove andare, e che non aveva pi� n� pane n� tetto, - insomma che era meglio andare a buttarsi nel burrone, come lo stellato, che se lo mangiavano i cani a quell'ora.
Intanto attorno a lui la gente era allegra. Mara colle compagne saltava, e cantava per la stradicciuola sassosa, mentre tornavano a casa.
- Buona notte! Buona notte! - andavano dicendo le compagne, a misura che si lasciavano per la strada.
Mara dava la buona notte, che pareva che cantasse, tanta contentezza ci aveva nella voce, e il figlio di massaro Neri poi sembrava proprio imbestialito e non volesse lasciarla pi�, mentre massaro Agrippino e la gn� Lia litigavano nell'aprire l'uscio di casa. Nessuno badava a Jeli, soltanto massaro Agrippino si ramment� di lui, e gli chiese:
- Ed ora dove andrai?
- Non lo so, - disse Jeli.
- Domani vieni a trovarmi, e t'aiuter� a cercar d'allogarti. Per stanotte torna in piazza dove siamo stati a sentir suonare la banda; un posto su qualche panchetta lo troverai, e a dormire allo scoperto tu devi esserci avvezzo -.
S� che c'era avvezzo, ma quello che gli dava maggior pena era che Mara non gli dicesse nulla, e lo lasciasse a quel modo sull'uscio come un pezzente; tanto che glielo disse, il giorno dopo, appena pot� trovarla in casa un momento sola:
- Oh, gn� Mara! come li scordate gli amici!
- Oh, sei tu Jeli? - disse Mara. - No, io non ti ho scordato. Ma ero cos� stanca dopo i fuochi!
- Gli volete bene almeno, al figlio di massaro Neri? - chiese lui voltando e rivoltando il bastone fra le mani.
- Che discorsi andate facendo! - rispose bruscamente la gn� Mara. - Mia madre � di l� che sente tutto -.
Massaro Agrippino gli trov� da allogarlo come pecoraio alla Salonia, dov'era fattore massaro Neri, ma siccome Jeli era poco pratico del mestiere si dovette contentare di un salario assai magro.
Adesso badava alle sue pecore, e ad imparare come si fa il formaggio, e la ricotta, e il caciocavallo, e ogni altro frutto di mandra; ma fra le chiacchiere che correvano alla sera nel cortile tra gli altri pastori e contadini, mentre le donne sbucciavano le fave della minestra, se si veniva a parlare del figlio di massaro Neri, il quale si prendeva in moglie Mara di massaro Agrippino, Jeli non diceva pi� nulla, e nemmeno osava di aprir bocca. Una volta che il campaio lo motteggi�, dicendogli che Mara non aveva voluto saperne pi� di lui, dopo che tutti avevano detto che sarebbero stati marito e moglie, Jeli che badava alla pentola in cui bolliva il latte, rispose facendo sciogliere il caglio adagio adagio:
- Ora Mara si � fatta pi� bella col crescere, che sembra una signora -.
Per� siccome egli era paziente e laborioso, impar� presto ogni cosa del mestiere meglio di uno che ci fosse nato, e siccome era avvezzo a star colle bestie, amava le sue pecore come se le avesse fatte lui, e quindi il male alla Salonia non faceva tanta strage, e la mandra prosperava ch'era un piacere per massaro Neri, tutte le volte che veniva alla fattoria, tanto che ad anno nuovo si persuase ad indurre il padrone perch� aumentasse il salario di Jeli, sicch� costui venne ad avere quasi quello che prendeva col fare il guardiano dei cavalli. Ed erano danari bene spesi, ch� Jeli non badava a contar le miglia e le miglia per cercare i migliori pascoli ai suoi animali, e se le pecore figliavano o erano malate se le portava a pascolare dentro le bisacce dell'asinello, e si recava in collo gli agnelli che gli belavano sulla faccia, col muso fuori del sacco, e gli poppavano le orecchie. Nella nevigata famosa della notte di Santa Lucia la neve cadde alta quattro palmi nel lago morto alla Salonia, e tutto all'intorno per miglia e miglia che non si vedeva altro per tutta la campagna, come venne il giorno. - Quella volta sarebbe stata la rovina di massaro Neri, come fu per tanti altri del paese, se Jeli non si fosse alzato nella notte tre o quattro volte a cacciare le pecore pel chiuso, cos� le povere bestie si scuotevano la neve di dosso, e non rimasero seppellite come tante ce ne furono nelle mandre vicine - a quel che disse massaro Agrippino quando venne a dare un'occhiata ad un campicello di fave che ci aveva alla Salonia, e disse pure che di quell'altra storia del figlio di massaro Neri, il quale doveva sposare sua figlia Mara, non era vero niente, ch� Mara aveva tutt'altro per il capo.
- Se avevano detto che dovevano sposarsi a Natale! - disse Jeli.
- Non vero niente, non dovevano sposare nessuno! tutte chiacchiere di gente invidiosa che si immischia negli affari altrui! - rispose massaro Agrippino.
Per� il campaio, il quale la sapeva pi� lunga, per averne sentito parlare in piazza, quando andava in paese la domenica, raccont� invece la cosa tale e quale com'era, dopo che massaro Agrippino se ne fu andato: non si sposavano pi� perch� il figlio di massaro Neri aveva risaputo che Mara di massaro Agrippino se la intendeva con don Alfonso, il signorino, il quale aveva conosciuta Mara da piccola; e massaro Neri aveva detto che il suo ragazzo voleva che fosse onorato come suo padre, e delle corna in casa non le voleva altre che quelle dei suoi buoi.
Jeli era l� presente anche lui, seduto in circolo cogli altri a colezione, e in quel momento stava affettando il pane. Egli non disse nulla, ma l'appetito gli and� via per quel giorno.
Mentre conduceva al pascolo le pecore torn� a pensare a Mara, quando era ragazzina, che stavano insieme tutto il giorno e andavano nella valle del Jacitano e sul poggio alla croce, ed ella stava a guardarlo col mento in aria mentre egli si arrampicava a prendere i nidi sulle cime degli alberi; e pensava anche a don Alfonso, il quale veniva a trovarlo dalla villa vicina, e si sdraiavano bocconi sull'erba a stuzzicare con un fuscellino i nidi di grilli. Tutte quelle cose andava rimuginando per ore ed ore, seduto sull'orlo del fossato, tenendosi i ginocchi fra le braccia, e i noci alti di Tebidi, e le folte macchie dei valloni, e le pendici delle colline verdi di sommacchi, e gli ulivi grigi che si addossavano nella valle come nebbia, e i tetti rossi del casamento, e il campanile �che sembrava un manico di saliera� fra gli aranci del giardino. - Qui la campagna gli si stendeva dinanzi brulla, deserta, chiazzata dall'erba riarsa, sfumando silenziosa nell'afa lontana.
In primavera, appena i baccelli delle fave cominciavano a piegare il capo, Mara venne alla Salonia col babbo e la mamma, e il ragazzo e l'asinello, a raccogliere le fave, e tutti insieme vennero a dormire alla fattoria pei due o tre giorni che dur� la raccolta. Jeli in tal modo vedeva la ragazza mattina e sera, e spesso sedevano accanto al muricciolo dell'ovile, a discorrere insieme, mentre il ragazzo contava le pecore.
- Mi pare d'essere a Tebidi, - diceva Mara, - quando eravamo piccoli, e stavamo sul ponticello della viottola -.
Jeli si rammentava di ogni cosa anche lui, sebbene non dicesse nulla, perch� era stato sempre un ragazzo giudizioso e di poche parole.
Finita la raccolta, alla vigilia della partenza, Mara venne a salutare il giovanotto, nel tempo che ei stava facendo la ricotta, ed era tutto intento a raccogliere il siero colla cazza.
- Ora ti dico addio, - gli disse ella, - poich� domani torniamo a Vizzini.
- Come sono andate le fave?
- Male sono andate! la lupa le ha mangiate tutte, quest'anno.
- Dipende dalla pioggia che � stata scarsa, - disse Jeli. - Figurati che si � dovuto uccidere anche le agnelle perch� non avevano da mangiare; su tutta la Salonia non venne tre dita di erba.
- Ma a te poco te ne importa. Il salario l'hai sempre, buona o mal'annata!
- S�, � vero, - disse lui; - ma mi rincresce dare quelle povere bestie in mano al beccaio.
- Ti ricordi quando sei venuto per la festa di San Giovanni, ed eri rimasto senza padrone?
- S�, me lo ricordo.
- Fu mio padre che ti allog� qui, da massaro Neri.
- E tu perch� non l'hai sposato il figlio di massaro Neri?
- Perch� non c'era la volont� di Dio. - Mio padre � stato sfortunato, - riprese di l� a poco. - Dacch� ce ne siamo andati a Marineo ogni cosa ci � riuscita male. La fava, il seminato, quel pezzetto di vigna che ci abbiamo lass�. Poi, mio fratello � partito soldato, e ci � morta pure una mula che valeva quarant'onze.
- Lo so, - rispose Jeli, - la mula baia!
- Ora che abbiamo perso la roba, chi vuoi che mi sposi? -
Mara andava sminuzzando uno sterpolino di pruno, mentre parlava, col mento sul seno, e gli occhi bassi, e col gomito stuzzicava un po' il gomito di Jeli, senza badarci. Ma jeli, cogli occhi sulla zangola anche lui, non rispondeva nulla; sicch� ella riprese:
- A Tebidi dicevano che saremmo stati marito e moglie, lo rammenti?
- S�, - disse Jeli, e pos� la cazza sull'orlo della zangola. - Ma io sono un povero pecoraio, e non posso pretendere alla figlia di un massaro come sei tu -.
La Mara rimase un pochino zitta e poi disse:
- Se tu mi vuoi, io per me ti piglio volentieri.
- Davvero?
- S�, davvero.
- E massaro Agrippino cosa dir�?
- Mio padre dice che ora il mestiere lo sai, e tu non sei di quelli che vanno a spendere il loro salario, ma di un soldo ne fai due, e non mangi per non consumare il pane, cos� arriverai ad aver delle pecore anche tu, e ti farai ricco.
- Se � cosi, - conchiuse Jeli, - ti piglio volentieri anch'io.
- To'! - gli disse Mara, come si era fatto buio, e le pecore andavano tacendosi a poco a poco, - se vuoi un bacio adesso te lo do, poich� saremo marito e moglie -.
Jeli se lo prese in santa pace, e non sapendo che dire aggiunse:
- Io t'ho sempre voluto bene, anche quando volevi lasciarmi pel figlio di massaro Neri... - Ma non ebbe cuore di dirgli di quell'altro.
- Non lo vedi? eravamo destinati! - conchiuse Mara.
Massaro Agrippino infatti disse di s�, e la gn� Lia mise insieme presto un giubbone nuovo, e un paio di brache di velluto per il genero. Mara era bella e fresca come una rosa, con quella mantellina bianca che sembrava l'agnello pasquale, e quella collana d'ambra che le faceva il collo bianco; sicch� Jeli, quando andava per le strade al fianco di lei, camminava impalato, tutto vestito di panno e di velluto nuovo, e non osava soffiarsi il naso col fazzoletto di seta rosso, per non farsi scorgere; ma i vicini e tutti quelli che sapevano la storia di don Alfonso gli ridevano sul naso. Quando Mara disse sissignore, e il prete gliela diede in moglie con un gran crocione, Jeli se la condusse a casa, e gli parve che gli avessero dato tutto l'oro della Madonna, e tutte le terre che aveva visto cogli occhi.
- Ora che siamo marito e moglie, - le disse giunti a casa, seduto di faccia a lei, e facendosi piccino piccino, - ora che siamo marito e moglie, posso dirtelo che non mi par vero che tu m'abbia voluto... mentre avresti potuto prenderne tanti meglio di me... cos� bella come tu sei!... -
Il poveraccio non sapeva dirle altro, e non capiva nei panni nuovi dalla contentezza di vedersi Mara per casa, che rassettava e toccava ogni cosa, e faceva la padrona. Egli non trovava il verso di spiccicarsi dall'uscio per tornarsene alla Salonia; quando fu venuto il luned�, indugiava nell'assettare sul basto dell'asinello le bisacce, e il tabarro, e il paracqua d'incerata.
- Tu dovresti venirtene alla Salonia anche te! - disse alla moglie che stava a guardarlo dalla soglia. - Tu dovresti venirtene con me -.
Ma la donna si mise a ridere, e gli rispose che ella non era nata a far la pecoraia, e non aveva nulla da andare a farci alla Salonia.
Infatti Mara non era nata a far la pecoraia, e non ci era avvezza alla tramontana di gennaio, quando le mani si irrigidiscono sul bastone, e sembra che vi caschino le unghie, e ai furiosi acquazzoni, in cui l'acqua vi penetra fino alle ossa, e alla polvere soffocante delle strade, quando le pecore camminano sotto il sole cocente, e al giaciglio duro e al pane muffito, e alle lunghe giornate silenziose e solitarie, in cui per la campagna arsa non si vede altro di lontano, rare volte, che qualche contadino nero dal sole, il quale si spinge innanzi silenzioso l'asinello, per la strada bianca e interminabile. Almeno Jeli sapeva che Mara stava al caldo sotto le coltri, o filava davanti al fuoco, in crocchio colle vicine, o si godeva il sole sul ballatoio, mentre egli tornava dal pascolo stanco ed assetato, o fradicio di pioggia, o quando il vento spingeva la neve dentro il casolare, e spegneva il fuoco di sommacchi. Ogni mese Mara andava a riscuotere il salario dal padrone, e non le mancavano n� le uova nel pollaio, n� l'olio nella lucerna, n� il vino nel fiasco. Due volte al mese poi Jeli andava a trovarla, ed ella lo aspettava sul ballatoio, col fuso in mano; poi quando gli aveva legato l'asino nella stalla e toltogli il basto e messogli la biada nella greppia, e riposta la legna sotto la tettoia nel cortile, o quel che portava in cucina, Mara l'aiutava ad appendere il tabarro al chiodo, e a togliersi le gambiere fradice, davanti al focolare, e gli versava il vino, mentre la minestra bolliva allegramente, ed ella apparecchiava il desco, cheta cheta e previdente come una brava massaia, nel tempo stesso che gli parlava di questo e di quello, della chioccia che aveva messo a covare, della tela che era sul telaio, del vitello che allevavano, senza dimenticare una sola delle faccenduole di casa, ch� Jeli si sentiva di starci come un Papa.
Ma la notte di Santa Barbara torn� a casa ad ora insolita, che tutti i lumi erano spenti nella stradicciuola, e l'orologio della citt� suonava la mezzanotte. Una notte da lupi, che proprio il lupo gli era entrato in casa, mentre lui andava all'acqua e al vento per amor del salario, e della giumenta del padrone ch'era ammalata, e ci voleva il maniscalco subito subito. Buss� e tempest� all'uscio, chiamando Mara ad alta voce, mentre l'acqua gli pioveva addosso dalla grondaia, e gli usciva dalle calcagna. Sua moglie venne ad aprirgli finalmente, e cominci� a strapazzarlo quasi fosse stata lei a scorrazzare pei campi con quel tempaccio, con una faccia che lui chiese: - Che c'�? Cos'hai?
- Ho che m'hai fatto paura a quest'ora! che ti par ora da cristiani questa? Domani sar� ammalata!
- Va a coricarti, il fuoco l'accendo io.
- No, bisogna che vada a prender la legna.
- Andr� io.
- No, ti dico! -
Quando Mara ritorn� colla legna nelle braccia Jeli le disse:
- Perch� hai aperto l'uscio del cortile? Non ce n'era pi� di legna in cucina?
- No, sono andata a prenderla sotto la tettoja -.
Ella si lasci� baciare, fredda fredda, e volse il capo dall'altra parte.
- Sua moglie lo lascia a infradiciare dietro l'uscio, - dicevano i vicini, - quando in casa c'� il tordo! -
Ma Jeli non sapeva nulla, ch'era becco, n� gli altri si curavano di dirglielo, perch� a lui non gliene importava niente, e s'era accollata la donna col danno, dopo che il figlio di massaro Neri l'aveva piantata per aver saputo la storia di don Alfonso. Jeli invece ci viveva beato e contento nel vituperio, e s'ingrassava come un maiale, �ch� le corna sono magre, ma mantengono la casa grassa!�.
Una volta infine il ragazzo della mandra glielo disse in faccia, una volta che vennero alle brutte, per certe pezze di formaggio tosate. - Ora che don Alfonso vi ha preso la moglie, vi pare di essere suo cognato, e avete messo superbia che vi par di esser un re di corona, con quelle corna che avete in testa -.
Il fattore e il campaio si aspettavano di veder scorrere il sangue allora; ma invece Jeli stette zitto quasi non fosse fatto suo, con una faccia di grullo che le corna gli stavano bene davvero.
Ora si avvicinava la Pasqua e il fattore mandava tutti gli uomini della fattoria a confessarsi, colla speranza che pel timor di Dio non rubassero pi�. Jeli and� anche lui, e all'uscir di chiesa cerc� del ragazzo con cui erano corse le male parole e gli butt� le braccia al collo dicendogli:
- Il confessore mi ha detto di perdonarti; ma io non sono in collera con te per quelle chiacchiere; e se tu non toserai pi� il formaggio a me non me ne importa nulla di quello che mi hai detto nella collera -.
Fu da quel momento che lo chiamarono per soprannome Corna d'oro, e il soprannome gli rimase, a lui e tutti i suoi, anche dopo che ci si lav� le corna, nel sangue.
La Mara era andata a confessarsi anche lei, e tornava di chiesa tutta raccolta nella mantellina, cogli occhi bassi che sembrava una Santa Maria Maddalena. Jeli che l'aspettava taciturno sul ballatoio, come la vide venire a quel modo, che si vedeva come ci avesse il Signore in corpo, la stava a guardare pallido pallido dai piedi alla testa, quasi la vedesse per la prima volta, o gliela avessero cambiata, la sua Mara, e neppure osava alzare gli occhi su di lei, mentre ella sciorinava la tovaglia, e metteva in tavola le scodelle, tranquilla e pulita al suo solito. Egli, dopo averci pensato su un poco, le domand� freddo freddo:
- � vero che te la intendi con don Alfonso? -
Mara gli piant� in faccia i suoi begli occhi limpidi, e si fece il segno della croce.
- Perch� volete farmi far peccato in questo giorno! - esclam�.
- No! non voglio crederci ancora!... perch� con don Alfonso eravamo sempre insieme, quando eravamo ragazzi, e non passava giorno ch'ei non venisse a Tebidi, proprio come due fratelli... Poi egli � ricco che i denari li ha a palate, e se volesse delle donne potrebbe maritarsi, n� gli mancherebbe la roba, o il pane da mangiare -.
Mara invece andavasi riscaldando, e cominci� a strapazzarlo in malo modo, tanto che lui non alzava pi� il naso dal piatto.
Infine perch� quella grazia di Dio che stavano mangiando non andasse in tossico, Mara cambi� discorso, e gli domand� se ci avesse pensato a far zappare quel po' di lino che avevano seminato nel campo delle fave.
- S�, - rispose Jeli, - e il lino verr� bene.
- Se � cos�, - disse Mara, - in questo inverno ti far� due camicie nuove che ti terranno caldo -.
Insomma Jeli non lo capiva quello che vuol dire becco, e non sapeva cosa fosse la gelosia; ogni cosa nuova stentava ad entrargli in capo, e questa poi gli riusciva cos� grossa che addirittura faceva una fatica del diavolo ad entrarci, massime allorch� si vedeva dinanzi la sua Mara, tanto bella, e bianca, e pulita, che l'aveva voluto lei stessa, e le voleva tanto bene, e aveva pensato a lei tanto tempo, tanti anni, fin da quando era ragazzo, che il giorno in cui gli avevano detto com'ella volesse sposarne un altro, non aveva avuto pi� cuore di mangiare o di bere tutta la giornata. - Ed anche se pensava a don Alfonso, non poteva credere a una birbonata simile, lui che gli pareva di vederlo ancora, cogli occhi buoni e la boccuccia ridente con cui veniva a portargli i dolci e il pane bianco a Tebidi, tanto tempo fa - un'azionaccia cos� nera! e dacch� non lo aveva pi� visto, perch� egli era un povero pecoraio, e stava tutto l'anno in campagna, gli era sempre rimasto in cuore a quel modo. Ma la prima volta che per sua disgrazia rivide don Alfonso gi� uomo fatto, Jeli sent� come una botta allo stomaco. Come s'era fatto grande e bello! con quella catena d'oro sul panciotto, e la giacca di velluto, e la barba liscia che pareva d'oro anch'essa. Niente superbo poi, tanto che gli batt� sulla spalla salutandolo per nome. Era venuto col padrone della fattoria insieme a una brigata d'amici, a fare una scampagnata nel tempo che si tosavano le pecore; ed era venuta pure Mara all'improvviso, col pretesto che era incinta e aveva voglia di ricotta fresca.
Era una bella giornata calda, nei campi biondi, colle siepi in fiore, e i lunghi filari verdi delle vigne. Le pecore saltellavano e belavano dal piacere, al sentirsi spogliate da tutta quella lana, e nella cucina le donne facevano un bel fuoco per cuocere la gran roba che il padrone aveva portato per il desinare. I signori intanto che aspettavano si erano messi all'ombra, sotto i carrubi, e facevano suonare i tamburelli e le cornamuse, o ballavano colle donne della fattoria, chi ne aveva voglia. Jeli mentre andava tosando le pecore, si sentiva rodere dentro di s�, senza sapere perch�, come uno spino, un chiodo fitto, una forbice fine che gli lavorasse dentro minuta minuta, peggio di un veleno. Il padrone aveva ordinato che si sgozzassero due capretti, e il castrato di un anno, e dei polli, e un tacchino. Insomma voleva fare le cose in grande, senza risparmio, per farsi onore coi suoi amici, e mentre tutte quelle bestie schiamazzavano dal dolore, e i capretti strillavano sotto il coltello, Jeli si sentiva tremare le ginocchia e di tratto in tratto gli pareva che la lana che andava tosando e l'erba in cui le pecore saltellavano avvampassero di sangue.
- Non andare! - disse egli a Mara, come don Alfonso la chiamava perch� venisse a ballare cogli altri. - Non andare, Mara!
- Perch�?
- Non voglio che tu vada! Non andare!
- Lo senti che mi chiamano? -
Egli non disse altro, fattosi brutto come la malanuova, mentre stava curvo sulle pecore che tosava. Mara si strinse nelle spalle, e se ne and� a ballare. Ella era rossa ed allegra, cogli occhi neri che sembravano due stelle, e rideva che le si vedevano i denti bianchi, e tutto l'oro che aveva indosso le sbatteva e le scintillava sulle guance e sul petto che pareva la Madonna tale e quale. Jeli un tratto si rizz� sulla vita, colla lunga forbice in pugno, cos� bianco in viso, cos� bianco come era una volta suo padre il vaccajo, quando tremava dalla febbre accanto al fuoco, nel casolare. Guard� don Alfonso, colla bella barba ricciuta, e la giacchetta di velluto e la catenella d'oro sul panciotto, che prendeva Mara per la mano e l'invitava a ballare; lo vide che allungava il braccio, quasi per stringersela al petto, e lei che lo lasciava fare - allora, Signore perdonategli, non ci vide pi�, e gli tagli� la gola di un sol colpo, proprio come un capretto.
Pi� tardi, mentre lo conducevano dinanzi al giudice, legato, disfatto, senza che avesse osato opporre la minima resistenza:
- Come, - diceva - non dovevo ucciderlo nemmeno?... Se mi aveva preso la Mara!... �

 

RIASSUNTO

Jeli � un giovane pastore che passa tutto il tempo pascolando i puledri del padrone nelle pianure e sui monti attorno a Tebiti . � per� solo perch� i genitori sono lontani a lavorare. L� intorno lo conoscono tutti e gli vogliono tutti bene, poich� � un ragazzo gentile e disponibile. Un giorno conosce e stringe amicizia con don Alfonso , detto il signorino perch� figlio di un ricco signore che si trova l� in villeggiatura.

Stanno spesso insieme ed entrambi invidiano qualcosa dell'altro : don Alfonso ama la vita all'aria aperta e vorrebbe poter fare quello che fa il giovane pastore, mentre a Jeli piacerebbe saper scrivere, ma "non riesce che si possa poi ripetere sulle carta quelle parole che egli ha dette".
Parlano spesso assieme e un giorno il pastorello dice al signorino di aver conosciuto tempo addietro una bella ragazza, Mara di massaro Agrippino , che abitava anch'ella a Tebiti. In quel periodo gli erano morti anche i genitori e lei e lo sua famiglia lo avevano aiutato ad andare avanti. Poi per� si erano spostati in valle a cercare fortuna e lei lo aveva dimenticato. Lui per� pensa sempre a lei e ne � ancora innamorato.

Arriva il giorno della festa di San Giovanni, in cui Jeli deve vendere i puledri del padrone. Durante il viaggio verso la valle per� un cavallo scappa e cade in un burrone, rompendosi le reni. Giunge il fattore e vedendo che il cavallo � ormai carne da macello, gli spara e consiglia al giovane pastore di non farsi pi� vedere dal suo padrone.

Jeli � un giovane pastore che passa tutto il tempo pascolando i puledri del padrone nelle pianure e sui monti attorno a Tebiti . � per� solo perch� i genitori sono lontani a lavorare. L� intorno lo conoscono tutti e gli vogliono tutti bene, poich� � un ragazzo gentile e disponibile. Un giorno conosce e stringe amicizia con don Alfonso , detto il signorino perch� figlio di un ricco signore che si trova l� in villeggiatura.

Stanno spesso insieme ed entrambi invidiano qualcosa dell'altro : don Alfonso ama la vita all'aria aperta e vorrebbe poter fare quello che fa il giovane pastore, mentre a Jeli piacerebbe saper scrivere, ma "non riesce che si possa poi ripetere sulle carta quelle parole che egli ha dette".
Parlano spesso assieme e un giorno il pastorello dice al signorino di aver conosciuto tempo addietro una bella ragazza, Mara di massaro Agrippino , che abitava anch'ella a Tebiti. In quel periodo gli erano morti anche i genitori e lei e lo sua famiglia lo avevano aiutato ad andare avanti. Poi per� si erano spostati in valle a cercare fortuna e lei lo aveva dimenticato. Lui per� pensa sempre a lei e ne � ancora innamorato.

Arriva il giorno della festa di San Giovanni, in cui Jeli deve vendere i puledri del padrone. Durante il viaggio verso la valle per� un cavallo scappa e cade in un burrone, rompendosi le reni. Giunge il fattore e vedendo che il cavallo � ormai carne da macello, gli spara e consiglia al giovane pastore di non farsi pi� vedere dal suo padrone.

 

ANALISI

 

I temi

 

I terni che troviamo nella novella li possiamo riunire in tre gruppi:

    natura (cf. rapporto di Jeli  con la natura)

solitudine (cf. lavoro di Jeli: pastore)

povert� (cf. la situazione di Jeli)

    famiglia (cf. morte dei genitori e matrimonio di Jeli)

onore e gelosia (cf. atteggiamento di Jeli  verso Mara)

ricchezza (cf. situazione di Alfonso)

    destino:(cf. lo svolgimento generale della vicenda)

 

 

I personaggi

 

I personaggi principali sono tre :

    Jeli, protagonista

    Alfonso, antagonista (cio� personaggio che si oppone a Jeli)

    Mara, personaggio attorno ai quale si oppongono i primi due

 

Se si cerca di mettere di mettere assieme questi due punti (temi e personaggi), si ottiene questo schema:

 

DESTINO

natura

societ�

SOLITUDINE

FAMIGLIA

 

ONORE, GELOSIA

POVERT�

RICCHEZZA

(ignoranza)

(cultura)

Jeli

Alfonso

(Mara)

 

Dallo schema si vede che Jeli ha un rapporto privilegiato con la natura, Alfonso con la societ�; Jeli � povero e ignorante, Alfonso � ricco e istruito, Jeli  non capisce le leggi della societ� (alla fine non capisce perch� non doveva uccidere Alfonso), Alfonso non sa capire la natura (e Jeli all�inizio gli insegna qualche cosa). Proprio per questo Jeli � un marginale (vive ai margini della societ�), non riuscir� a inserirsi nella societ�., sar� sempre escluso, avr� sempre torto.

Cerchiamo per� di approfondire questi problemi avvicinandoci al testo.

 

 

ANALISI

 

Prendiamo come esempio l�ultima pagina della novella ( da Era una bella giornata � alla fine).

Analizzando il primo paragrafo si nota che la natura � qui presentata sotto due aspetti contraddittori: prima � bella, buona d� piacere (bella giornata calda; campi biondi; le pecore saltellavano dal piacere; bel fuoco; gran roba; ecc.) poi � brutta, violenta, ostile, porta dolore e morte (scena dell�uccisione dei capretti: le bestie schiamazzavano dal dolore; i capretti strillavano, ecc.).

La natura ha dunque due facce: una accogliente e piacevole (� la faccia che si vede a prima vista) l�altra ostile e dolorosa (ed � questa la faccia vera). Questa opposizione, natura positiva natura negativa, la osserviamo anche a livello di tutta la novella: dapprima il rapporto di Jeli con la natura � piacevole (pagine. iniziali), poi, per�, la natura si rivela ostile: uno dei cavalli di Jeli muore e Jeli  perde il posto...

Jeli si trova (nella pagina che analizziamo ma anche in generale) tra i due aspetti della natura, la dove finisce quello positivo e inizia quello negativo (cf. la frase: Jeli mentre andava tosando le pecore�con la quale inizia la descrizione dell�aspetto negativo della natura). Jeli sar� dunque da una parte buono, dall�altra crudele e violento (per questo sgozza Alfonso come se fosse un capretto.).

� ora necessario considerare la novella globalmente.

 

 

Se  osserviamo le informazioni attentamente vediamo che non sono nell�ordine logico e cronologico, per esempio Jeli conosce prima Mara (numero 4 sulle sinistra) che don Alfonso (numero 5), ma nella novella si racconta prima l�amicizia con Alfonso poi quella con Mara. Vediamo cos� che questa novella (come tutti i racconti in generale) non � semplicemente i1 racconto di una storia: � un racconto particolare dove alcuni fatti sono detti prima del tempo (anticipi) altri sono detti dopo (ritardi) altri sono ripetuti (ripetizioni). Ci� si vede bene leggendo dall�alto verso il basso i numeri notati sulla sinistra: si nota che questi numeri sono nell�ordine naturale solo raramente. Sono proprio questi meccanismi (anticipi, ritardi, ripetizioni) che permettono allo scrittore di attirare l�attenzione e l�interesse del lettore, di sottolineare i fatti importanti, ecc.

Le lettere (A,B,C) indicano invece i personaggi interessati dall�informazione: A � Jeli, B Alfonso, C Mara.

Se osserviamo ora tutte le informazioni, scopriamo che sono di tre tipi:

    quelle che fanno avanzare la storia (segnate con il +)

    quelle che la rallentano (sognato con il -)

    quelle che la lasciano al punto in cui le trovano

Le informazioni dei primi due tipi sono dinamiche (accelerano o frenano le storia) le altre sono statiche.

Si nota allora che le informazioni che riguardano Jeli (A), il protagonista, sono tutte statiche: � solo con l�incontro degli altri personaggi (incontri A-B, A-C, A-B-C) che le storia si muove, progredisce. Tutto ci� che riguarda Jeli, la sua povert�, il suo lavoro, il suo rapporto con la natura, le ingiustizie che subisce, resta immobile, statico.

Nel rapporto di Jeli con la societ� (incontri con Alfonso e con Mara) c�� invece un movimento, ma � un movimento negativo: la situazione di Jeli peggiora sempre.

 

 

Verga e la descrizione delle realt� (Verismo)

 

Possiamo ora tirare qualche conclusione generale.

 

    Verga descrive una natura fondamentalmente ostile e negativa e una societ� profondamente ingiusta.

 

    Ma il mondo descritto dal Verga � un mondo immobile, statico, dove se capita qualcosa si tratta sempre di un peggioramento. Per esempio Jeli, all�inizio � solo, povero, ignorante ma ha una sua libert�, alla fine � solo, povero, ignorante e ha anche perso la sua libert�.

 

    Si pu� dire infine che per Verga la societ� � ingiusta perch� la natura � ingiusta: nulla si pu� fare per cambiare la societ�, perch� nulla si pu� fare per cambiare la natura.

 

 




 

 



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