Jeli il pastore
G.VERGA
HOME PAGE | RACCONTI AUTORI VARI | POESIE INTROSPETTIVE DI B.BRUNO | NARRATIVA | AFORISMI |
RIASSUNTO Jeli � un giovane pastore che passa tutto il tempo
pascolando i puledri del padrone nelle pianure e sui monti attorno a Tebiti
. � per� solo perch� i genitori sono lontani a lavorare. L� intorno lo
conoscono tutti e gli vogliono tutti bene, poich� � un ragazzo gentile e
disponibile. Un giorno conosce e stringe amicizia con don Alfonso , detto il
signorino perch� figlio di un ricco signore che si trova l� in
villeggiatura. Jeli � un giovane pastore che passa tutto il tempo
pascolando i puledri del padrone nelle pianure e sui monti attorno a Tebiti
. � per� solo perch� i genitori sono lontani a lavorare. L� intorno lo
conoscono tutti e gli vogliono tutti bene, poich� � un ragazzo gentile e
disponibile. Un giorno conosce e stringe amicizia con don Alfonso , detto il
signorino perch� figlio di un ricco signore che si trova l� in
villeggiatura. ANALISI
I temi
I terni che troviamo nella novella li
possiamo riunire in tre gruppi: �
natura (cf. rapporto di
Jeli con la natura)
solitudine (cf. lavoro di
Jeli:
pastore)
povert� (cf. la situazione di
Jeli) �
famiglia (cf. morte dei genitori e matrimonio di
Jeli)
onore e gelosia (cf. atteggiamento di
Jeli verso Mara)
ricchezza (cf. situazione di Alfonso) �
destino:(cf. lo svolgimento generale della vicenda)
I personaggi
I personaggi principali sono tre : �
Jeli, protagonista �
Alfonso, antagonista (cio� personaggio che si oppone a
Jeli) �
Mara, personaggio attorno ai quale si oppongono i primi due
Se si cerca di mettere di mettere assieme
questi due punti (temi e personaggi), si ottiene questo schema:
DESTINO
natura
societ�
SOLITUDINE
FAMIGLIA
ONORE, GELOSIA
POVERT�
RICCHEZZA
(ignoranza)
(cultura)
Jeli
Alfonso
(Mara)
Dallo schema si vede che
Jeli ha un rapporto
privilegiato con la natura, Alfonso con la societ�;
Jeli � povero e
ignorante, Alfonso � ricco e istruito,
Jeli non capisce le
leggi della societ� (alla fine non capisce perch� non doveva uccidere
Alfonso), Alfonso non sa capire la natura (e
Jeli all�inizio gli
insegna qualche cosa). Proprio per questo
Jeli � un marginale
(vive ai margini della societ�), non riuscir� a inserirsi nella societ�.,
sar� sempre escluso, avr� sempre torto.
Cerchiamo per� di approfondire questi
problemi avvicinandoci al testo.
ANALISI
Prendiamo come esempio l�ultima pagina
della novella ( da Era una bella giornata � alla fine).
Analizzando il primo paragrafo si nota
che la natura � qui presentata sotto due aspetti contraddittori: prima �
bella, buona d� piacere (bella giornata calda; campi biondi; le pecore
saltellavano dal piacere; bel fuoco; gran roba; ecc.) poi � brutta,
violenta, ostile, porta dolore e morte (scena dell�uccisione dei capretti:
le bestie schiamazzavano dal dolore; i capretti strillavano, ecc.).
La natura ha dunque due facce: una
accogliente e piacevole (� la faccia che si vede a prima vista) l�altra
ostile e dolorosa (ed � questa la faccia vera). Questa opposizione, natura
positiva � natura negativa, la
osserviamo anche a livello di tutta la novella: dapprima il rapporto di
Jeli con la natura �
piacevole (pagine. iniziali), poi, per�, la natura si rivela ostile: uno dei
cavalli di Jeli muore
e Jeli perde il
posto...
Jeli
si trova (nella pagina che analizziamo ma anche in generale) tra i due
aspetti della natura, la dove finisce quello positivo e inizia quello
negativo (cf. la frase:
Jeli mentre andava tosando le pecore�con la quale inizia la
descrizione dell�aspetto negativo della natura).
Jeli sar� dunque da
una parte buono, dall�altra crudele e violento (per questo sgozza Alfonso
come se fosse un capretto.).
� ora necessario considerare la novella
globalmente.
Se osserviamo le informazioni
attentamente vediamo che non sono nell�ordine logico e cronologico, per
esempio Jeli conosce
prima Mara (numero 4 sulle sinistra) che don Alfonso (numero 5), ma nella
novella si racconta prima l�amicizia con Alfonso poi quella con Mara.
Vediamo cos� che questa novella (come tutti i racconti in generale) non �
semplicemente i1 racconto di una storia: � un racconto particolare dove
alcuni fatti sono detti prima del tempo (anticipi) altri sono detti dopo
(ritardi) altri sono ripetuti (ripetizioni). Ci� si vede bene leggendo
dall�alto verso il basso i numeri notati sulla sinistra: si nota che questi
numeri sono nell�ordine naturale solo raramente. Sono proprio questi
meccanismi (anticipi, ritardi, ripetizioni) che permettono allo scrittore di
attirare l�attenzione e l�interesse del lettore, di sottolineare i fatti
importanti, ecc.
Le lettere (A,B,C) indicano invece i
personaggi interessati dall�informazione: A �
Jeli, B Alfonso, C
Mara.
Se osserviamo ora tutte le informazioni,
scopriamo che sono di tre tipi: �
quelle che fanno avanzare la storia (segnate con il +) �
quelle che la rallentano (sognato con il -) �
quelle che la lasciano al punto in cui le trovano
Le informazioni dei primi due tipi sono
dinamiche (accelerano o frenano le storia) le altre sono statiche.
Si nota allora che le informazioni che
riguardano Jeli (A),
il protagonista, sono tutte statiche: � solo con l�incontro degli altri
personaggi (incontri A-B, A-C, A-B-C) che le storia si muove,
progredisce. Tutto ci� che riguarda
Jeli, la sua povert�,
il suo lavoro, il suo rapporto con la natura, le ingiustizie che subisce,
resta immobile, statico.
Nel rapporto di
Jeli con la societ�
(incontri con Alfonso e con Mara) c�� invece un movimento, ma � un movimento
negativo: la situazione di
Jeli peggiora sempre.
Verga e la
descrizione delle realt� (Verismo)
Possiamo ora tirare qualche conclusione
generale.
�
Verga
descrive una natura fondamentalmente ostile e negativa e una societ�
profondamente ingiusta.
�
Ma il mondo descritto dal
Verga � un mondo
immobile, statico, dove se capita qualcosa si tratta sempre di un
peggioramento. Per esempio
Jeli, all�inizio � solo, povero, ignorante ma ha una sua libert�,
alla fine � solo, povero, ignorante e ha anche perso la sua libert�.
�
Si pu� dire infine che per
Verga la societ� �
ingiusta perch� la natura � ingiusta: nulla si pu� fare per cambiare la
societ�, perch� nulla si pu� fare per cambiare la natura.
Jeli, il guardiano di cavalli, aveva tredici anni quando conobbe don
Alfonso, il signorino; ma era cos� piccolo che non arrivava alla pancia
della Bianca, la vecchia giumenta che portava il campanaccio della
mandra. Lo si vedeva sempre di qua e di l�, pei monti e nella pianura, dove
pascolavano le sue bestie, ritto ed immobile su qualche greppo, o
accoccolato su di un gran sasso. Il suo amico don Alfonso, mentre era in
villeggiatura, andava a trovarlo tutti i giorni che Dio mandava a Tebidi,
e dividevano fra di loro i buoni bocconi del padroncino, e il pane d'orzo
del pastorello, o le frutta rubate al vicino. Dapprincipio, Jeli dava dell'eccellenza
al signorino, come si usa in Sicilia, ma dopo che si furono accapigliati per
bene, la loro amicizia fu stabilita solidamente. Jeli insegnava al suo amico
come si fa ad arrampicarsi sino ai nidi delle gazze, sulle cime dei noci pi�
alti del campanile di Licodia, a cogliere un passero a volo con una sassata,
a montare correndo di salto sul dorso nudo delle giumente ancora indomite,
acciuffando per la criniera la prima che passasse a tiro, senza lasciarsi
sbigottire dai nitriti di collera dei puledri indomiti, e dai loro salti
disperati. Ah! le belle scappate pei campi mietuti, colle criniere al vento!
i bei giorni d'aprile, quando il vento accavallava ad onde l'erba verde, e
le cavalle nitrivano nei pascoli! i bei meriggi d'estate, in cui la
campagna, bianchiccia, taceva, sotto il cielo fosco, e i grilli
scoppiettavano fra le zolle, come se le stoppie si incendiassero! il bel
cielo d'inverno attraverso i rami nudi del mandorlo, che rabbrividivano al
rovajo, e il viottolo che suonava gelato sotto lo zoccolo dei cavalli, e le
allodole che trillavano in alto, al caldo, nell'azzurro! le belle sere di
estate che salivano adagio adagio come la nebbia, il buon odore del fieno in
cui si affondavano i gomiti, e il ronz�o malinconico degli insetti della
sera, e quelle due note dello zufolo di Jeli, sempre le stesse - iuh! iuh!
iuh! - che facevano pensare alle cose lontane, alla festa di San Giovanni,
alla notte di Natale, all'alba della scampagnata, a tutti quei grandi
avvenimenti trascorsi, che sembrano mesti, cos� lontani, e facevano guardare
in alto, cogli occhi umidi, quasi tutte le stelle che andavano accendendosi
in cielo vi piovessero in cuore, e l'allagassero!
Jeli, lui, non pativa di quelle malinconie; se ne stava accoccolato sul
ciglione, colle gote enfiate, intentissimo a suonare - iuh! iuh! iuh! - Poi
radunava il branco a furia di gridi e di sassate, e lo spingeva nella
stalla, di l� del poggio alla croce.
Ansando, saliva la costa, di l� dal vallone, e gridava qualche volta al suo
amico Alfonso: - Chiamati il cane! oh�, chiamati il cane! - oppure: - Tirami
una buona sassata allo zaino, che mi fa il capriccioso, e se ne viene
adagio adagio, gingillandosi colle macchie del vallone -; oppure: -
Domattina portami un ago grosso, di quelli della gn� Lia -.
Ei sapeva fare ogni sorta di lavori coll'ago; e ci aveva un batuffoletto di
cenci nella sacca di tela, per rattoppare al bisogno le brache e le maniche
del giubbone; sapeva anche tessere dei treccioli di crini di cavallo, e si
lavava anche da s� colla creta del vallone il fazzoletto che si metteva al
collo, quando aveva freddo. Insomma, purch� ci avesse la sua sacca ad
armacollo, non aveva bisogno di nessuno al mondo, fosse stato nei boschi di
Resecone, o perduto in fondo alla piana di Caltagirone. La gn� Lia,
soleva dire: - Vedete Jeli il pastore? � stato sempre solo pei campi, come
se l'avessero figliato le sue cavalle, ed e perci� che sa farsi la croce con
le due mani! -
Del rimanente � vero che Jeli non aveva bisogno di nessuno, ma tutti quelli
della fattoria avrebbero fatto volentieri qualche cosa per lui, poich� era
un ragazzo servizievole, e ci era sempre il caso di buscarci qualche cosa da
lui. La gn� Lia gli cuoceva il pane per amor del prossimo, ed ei la
ricambiava con bei panierini di vimini per le ova, arcolai di canna, ed
altre coserelle. - Facciamo come fanno le sue bestie, - diceva la gn� Lia, -
che si grattano il collo a vicenda -.
A Tebidi tutti lo conoscevano da piccolo, che non si vedeva fra le
code dei cavalli, quando pascolavano nel piano del lettighiere, ed
era cresciuto, si pu� dire, sotto i loro occhi, sebbene nessuno lo vedesse
mai, e ramingasse sempre di qua e di l� col suo armento! �Era piovuto dal
cielo, e la terra l'aveva raccolto� come dice il proverbio; proprio di
quelli che non hanno n� casa n� parenti. La sua mamma stava a servire a
Vizzini, e non lo vedeva altro che una volta all'anno, quando egli andava
coi puledri alla fiera di San Giovanni; e il giorno in cui era morta, erano
venuti a chiamarlo - un sabato sera - che il luned� Jeli torn� alla mandra,
sicch� non ci rimise neppure la giornata; ma il povero ragazzo era ritornato
cos� sconvolto che alle volte lasciava scappare i puledri nel seminato.
- Oh�, Jeli! - gli gridava allora massaro Agrippino dall'aja; - o che vuoi
assaggiare le nerbate delle feste, figlio di cagna? - Jeli si metteva a
correre dietro i puledri sbrancati, e li spingeva mogio mogio verso la
collina. Per� davanti agli occhi ci aveva sempre la sua mamma, col capo
avvolto nel fazzoletto bianco, che non parlava pi�.
Suo padre faceva il vaccaro a Ragoleti di l� di Licodia, �dove la
malaria si poteva mietere� dicevano i contadini dei dintorni; ma nei terreni
di malaria i pascoli sono grassi, e le vacche non prendono le febbri. Jeli
quindi se ne stava nei campi tutto l'anno, o a Donferrante, o nelle
chiuse della commenda, o nella valle del Jacitano, e i
cacciatori, o i viandanti che prendevano le scorciatoie, lo vedevano sempre
qua e l�, come un cane senza padrone. Ei non ci pativa, perche era avvezzo a
stare coi cavalli che gli camminavano dinanzi, passo passo, brucando il
trifoglio, e cogli uccelli che girovagavano a stormi, attorno a lui, tutto
il tempo che il sole faceva il suo viaggio lento lento, sino a che le ombre
si allungavano e poi si dileguavano; egli avea il tempo di veder le nuvole
accavallarsi a poco a poco, e figurar monti e vallate; conosceva come spira
il vento quando porta il temporale, e di che colore sia il nuvolo quando sta
per nevicare. Ogni cosa aveva il suo aspetto e il suo significato, e c'era
sempre che vedere e che ascoltare in tutte le ore del giorno. Cos�, verso il
tramonto quando il pastore si metteva a suonare collo zufolo di sambuco, la
cavalla mora si accostava masticando il trifoglio svogliatamente, e stava
anch'essa a guardarlo, con i suoi grandi occhi pensierosi.
Dove soffriva soltanto un po' di malinconia era nelle lande deserte di
Passanitello, in cui non sorge macchia n� arbusto, e ne' mesi caldi non
ci vola un uccello. I cavalli si radunavano in cerchio colla testa
ciondoloni, per farsi ombra l'un l'altro, e nei lunghi giorni della
trebbiatura quella gran luce silenziosa pioveva sempre uguale ed afosa per
sedici ore.
Per� dove il mangime era abbondante, e i cavalli indugiavano volentieri, il
ragazzo si occupava con qualche altra cosa: faceva delle gabbie di canna per
i grilli, delle pipe intagliate, e dei panierini di giunco, con quattro
ramoscelli; sapeva rizzare un po' di tettoia, quando la tramontana spingeva
per la valle le lunghe file dei corvi, o quando le cicale battevano le ali
nel sole che abbruciava le stoppie; arrostiva le ghiande del querceto nella
brace de' sarmenti di sommacco, che pareva di mangiare delle bruciate, o vi
abbrustoliva le larghe fette di pane allorch� cominciava ad avere la barba
dalla muffa - poich� quando si trovava a Passanitello nell'inverno,
le strade erano cos� cattive che alle volte passavano quindici giorni senza
che si vedesse passare anima viva.
Don Alfonso, che era tenuto nel cotone dai suoi genitori, invidiava al suo
amico Jeli la tasca di tela, dove ci aveva tutta la sua roba, il pane, le
cipolle, il fiaschetto del vino, il fazzoletto pel freddo, il batuffoletto
dei cenci col refe e gli aghi rossi, la scatoletta di latta coll'esca e la
pietra focaja; gli invidiava pure la superba cavalla vajata, quella
bestia dal ciuffetto di peli irti sulla fronte, che aveva gli occhi cattivi,
e gonfiava le froge al pari di un mastino ringhioso quando qualcuno voleva
montarla.
Da Jeli invece si lasciava montare e grattare le orecchie di cui era gelosa
e l'andava fiutando per ascoltare quello che ei voleva dirle.
- Lascia stare la vajata, - gli raccomandava Jeli, - non � cattiva,
ma non ti conosce -.
Dopo che Scordu il bucchierese si men� via la giumenta calabrese che
aveva comprato a San Giovanni, col patto che gliela tenessero nell'armento
sino alla vendemmia, il puledro zaino, rimasto orfano, non voleva darsi
pace, e scorrazzava su pei greppi del monte, con lunghi nitriti lamentevoli,
e colle froge al vento. Jeli gli correva dietro, chiamandolo con forti
grida, e il puledro si fermava ad ascoltare, col collo teso e le orecchie
irrequiete, sferzandosi i fianchi colla coda. - � perch� gli hanno portato
via la madre, e non sa pi� cosa si faccia - osservava il pastore. - Adesso
bisogna tenerlo d'occhio, perch� sarebbe capace di lasciarsi andar gi� nel
precipizio. Anch'io, quando mi � morta la mia mamma, non ci vedevo pi� dagli
occhi -.
Poi, dopo che il puledro ricominci� a fiutare il trifoglio, e a darvi
qualche boccata di malavoglia, - Vedi, a poco a poco comincia a
dimenticarsene.
- Ma anch'esso sar� venduto. I cavalli sono fatti per essere venduti; come
gli agnelli nascono per andare al macello, e le nuvole portano la pioggia.
Solo gli uccelli non hanno a far altro che cantare e volare tutto il giorno
-.
Le idee non gli venivano nette e filate l'una dietro l'altra, ch� di rado
aveva avuto con chi parlare, e perci� non aveva fretta di scovarle e
distrigarle in fondo alla testa, dove era abituato a lasciare che
sbucciassero e spuntassero fuori a poco a poco, come fanno le gemme dei
ramoscelli sotto il sole. - Anche gli uccelli, - soggiunse, - devono
buscarsi il cibo, e quando la neve copre la terra se ne muoiono -.
Poi ci pens� su un pezzetto. - Tu sei come gli uccelli; ma quando arriva
l'inverno, te ne puoi stare al fuoco, senza far nulla -.
Don Alfonso per� rispondeva che anche lui andava a scuola, a imparare. Jeli
allora sgranava gli occhi, e stava tutto orecchi se il signorino si metteva
a leggere, e guardava il libro e lui in aria sospettosa, stando ad
ascoltare, con quel lieve ammiccar di palpebre che indica l'intensit�
dell'attenzione nelle bestie che pi� si accostano all'uomo. Gli piacevano i
versi che gli accarezzavano l'udito con l'armonia di una canzone
incomprensibile, e alle volte aggrottava le ciglia, appuntava il mento, e
sembrava che un gran lavor�o si stesse facendo nel suo interno; allora
accennava di s� e di s� col capo, con un sorriso furbo, e si grattava la
testa. Quando poi il signorino mettevasi a scrivere per far vedere quante
cose sapeva fare, Jeli sarebbe rimasto delle giornate intiere a guardarlo, e
tutto a un tratto lasciava scappare un'occhiata sospettosa. Non poteva
capacitarsi che si potesse poi ripetere sulla carta quelle parole che egli
aveva dette, o che aveva dette don Alfonso, ed anche quelle cose che non gli
erano uscite di bocca, talch� lui finiva per tirarsi indietro, incredulo, e
con un sorriso furbo.
Ogni idea nuova che gli picchiasse nella testa per entrare, lo metteva in
sospetto, e pareva la fiutasse colla diffidenza selvaggia della sua
vajata. Per� non mostrava meraviglia di nulla al mondo: gli avessero
detto che in citt� i cavalli andavano in carrozza, egli sarebbe rimasto
impassibile, con quella maschera d'indifferenza orientale che � la dignit�
del contadino siciliano. Pareva che istintivamente si trincerasse nella sua
ignoranza, come fosse la forza della povert�. Tutte le volte che rimaneva a
corto di argomenti ripeteva: - Io non ne so nulla. - Io sono povero - con
quel sorriso ostinato che voleva essere malizioso.
Aveva chiesto al suo amico Alfonso di scrivergli il nome di Mara su di un
pezzetto di carta che aveva trovato chi sa dove, perch� egli raccattava
tutto quello che vedeva per terra, e se l'era messo nel batuffoletto dei
cenci. Un giorno, dopo di esser stato un po' zitto, a guardare di qua e di
l� soprappensiero, gli disse serio serio:
- Io ci ho l'innamorata -.
Alfonso, malgrado che sapesse leggere, sgranava gli occhi. - S�, - ripet�
Jeli, - Mara, la figlia di massaro Agrippino che era qui; ed ora sta a
Marineo, in quel gran casamento della pianura che si vede dal piano
del lettighiere, lass�.
- O ti mariti dunque?
- S�, quando sar� grande e avr� sei onze all'anno di salario. Mara non ne sa
nulla ancora.
- Perch� non gliel'hai detto? -
Jeli tentenn� il capo, e si mise a riflettere. Poi svolse il batuffoletto e
spieg� la carta che s'era fatta scrivere.
- � proprio vero che dice Mara; l'ha letto pure don Gesualdo, il
campiere, e fra Cola, quando venne gi� per la cerca delle fave.
- Uno che sappia scrivere, - osserv� poi, - � come uno che serbasse le
parole nella scatola dell'acciarino, e potesse portarsele in tasca, ed anche
mandarle di qua e di l�.
- Ora che ne farai di quel pezzetto di carta, tu che non sai leggere? - gli
domand� Alfonso.
Jeli si strinse nelle spalle, ma continu� ad avvolgere accuratamente il suo
fogliolino scritto nel batuffoletto dei cenci.
La Mara l'aveva conosciuta da bambina, che avevano cominciato dal picchiarsi
ben bene, una volta che s'erano incontrati lungo il vallone, a cogliere le
more nelle siepi di rovo. La ragazzina, la quale sapeva di essere �nel fatto
suo�, aveva agguantato pel collo Jeli, come un ladro. Per un po' s'erano
scambiati dei pugni nella schiena, uno tu ed uno io, come fa il bottaio sui
cerchi delle botti, ma quando furono stanchi andarono calmandosi a poco a
poco, tenendosi sempre acciuffati.
- Tu chi sei? - gli domand� Mara.
E come Jeli, pi� selvatico, non diceva chi fosse:
- Io sono Mara, la figlia di massaro Agrippino, che � il campaio di tutti
questi campi qui -.
Jeli allora lasci� la presa senza dir nulla, e la ragazzina si mise a
raccattare le more che le erano cadute per terra, sbirciando di tanto il
tanto il suo avversario con curiosit�.
- Di l� del ponticello, nella siepe dell'orto, ci son tante more grosse; -
aggiunse la piccina, - e se le mangiano le galline -.
Jeli intanto si allontanava quatto quatto, e Mara, dopo che stette ad
accompagnarlo cogli occhi finch� pot� vederlo nel querceto, volse le spalle
anche lei, e se la diede a gambe verso casa.
Ma da quel giorno in poi cominciarono ad addomesticarsi. Mara andava a
filare la stoppa sul parapetto del ponticello, e Jeli adagio adagio spingeva
l'armento verso le falde del poggio del bandito. Da prima se ne stava
in disparte ronzandole attorno, guardandola da lontano in aria sospettosa, e
a poco a poco andava accostandosi coll'andatura guardinga del cane avvezzo
alle sassate. Quando finalmente si trovavano accanto, ci stavano delle
lunghe ore senza aprir bocca. Jeli osservando attentamente l'intricato
lavorio della calza che la mamma aveva dato in compito alla Mara, oppure
costei gli vedeva intagliare i bei zig zag sui bastoni del mandorlo. Poi se
ne andavano l'uno di qua e l'altro di l�, senza dirsi una parola, e la
bambina, com'era in vista della casa, si metteva a correre, facendo levar
alta la sottanella sulle gambette rosse.
Al tempo dei fichidindia poi si fissarono nel folto delle macchie,
sbucciando dei fichi tutto il santo giorno. Vagabondavano insieme sotti i
noci secolari, e Jeli bacchiava tante delle noci, che piovevano fitte come
la gragnuola; la ragazzina si affaticava a raccattarne con grida di giubilo
pi� che ne poteva, e poi scappava via, lesta lesta, tenendo tese le due
cocche del grembiule, dondolandosi come una vecchietta.
Durante l'inverno Mara non os� mettere fuori il naso, in quel gran freddo.
Alle volte, verso sera, si vedeva il fumo dei fuocherelli di sommacchi che
Jeli andava facendo nel piano del lettighiere, o sul poggio di
Macca, per non rimanere intirizzito al pari di quelle cinciallegre che
la mattina trovava dietro un sasso, o al riparo di una zolla. Anche i
cavalli ci trovavano piacere a ciondolare un po' la coda attorno al fuoco, e
si stringevano fra di loro per star pi� caldi.
Col marzo tornarono le allodole nel piano, i passeri sul tetto, le foglie e
i nidi nelle siepi, Mara riprese ad andare a spasso, in compagnia di Jeli,
nell'erba soffice, tra le macchie in fiore, sotto gli alberi ancora nudi che
cominciavano a punteggiarsi di verde. Jeli si ficcava negli spineti come un
segugio, per andare a scovare delle nidiate di merli che guardavano
sbalorditi coi loro occhietti di pepe; i due fanciulli portavano spesso nel
petto della camicia dei piccoli conigli allora stanati, quasi nudi, ma dalle
lunghe orecchie diggi� inquiete; scorazzavano pei campi al seguito del
branco dei cavalli, entrando nelle stoppie dietro i mietitori, passo passo
coll'armento, fermandosi ogni volta che una giumenta si fermava a strappare
una boccata d'erba. La sera, giunti al ponticello, se ne andavano l'una di
qua e l'altro di l�, senza dirsi addio.
Cos� passarono tutta l'estate. Intanto il sole cominciava a tramontare
dietro il poggio alla croce, e i pettirossi gli andavano dietro verso
la montagna, come imbruniva, seguendolo fra le macchie dei fichidindia. I
grilli e le cicale non si udivano pi�, e in quell'ora per l'aria si spandeva
come una gran malinconia.
In quel tempo arriv� al casolare di Jeli suo padre, il vaccaro, che aveva
preso la malaria a Ragoleti, e non poteva nemmen reggersi sull'asino
che lo portava. Jeli accese il fuoco, lesto lesto, e corse �alle case� per
cercargli qualche uovo di gallina. - Piuttosto stendi un po' di strame
vicino al fuoco, - gli disse suo padre, - ch� mi sento tornare la febbre -.
Il ribrezzo della febbre era cos� forte che compare Menu, seppellito sotto
il suo gran tabarro, la bisaccia dell'asino, e la sacca di Jeli, tremava
come fanno le foglie in novembre, davanti alla gran vampa di sarmenti che
gli faceva il viso bianco bianco come un morto. I contadini della fattoria
venivano a domandargli: - Come vi sentite, compare Menu? - Il poveretto non
rispondeva altro che con un guaito, come fa un cagnuolo di latte. - �
malaria di quella che ammazza meglio di una schioppettata - dicevano gli
amici, scaldandosi le mani al fuoco.
Fu chiamato anche il medico, ma erano tutti denari sprecati, perch� la
malattia era di quelle chiare e conosciute che anche un ragazzo saprebbe
curarla, e se la febbre non era di quelle che ammazzano ad ogni modo, col
solfato si sarebbe guarita subito. Compare Menu ci spese gli occhi della
testa in tanto solfato, ma era come buttarlo nel pozzo. - Prendete un buon
decotto di ecalibbiso che non costa nulla, - suggeriva mastro
Agrippino, - e se non serve a nulla come il solfato, almeno non vi rovinate
a spendere -. Si prendeva anche il decotto di eucaliptus, eppure la febbre
tornava sempre, anche pi� forte. Jeli assisteva il genitore come meglio
sapeva. Ogni mattina, prima d'andarsene coi puledri, gli lasciava il decotto
preparato nella ciotola, il fascio di sarmenti sotto la mano, le uova nella
cenere calda, e tornava presto alla sera, colle altre legne per la notte, e
il fiaschetto di vino, e qualche pezzetto di carne di montone che era corso
a comperare sino a Licodia. Il povero ragazzo faceva ogni cosa con garbo,
come una brava massaia, e suo padre, accompagnandolo cogli occhi stanchi
nelle sue faccenduole qua e l� pel casolare, di tanto in tanto sorrideva,
pensando che il ragazzo avrebbe saputo aiutarsi, quando fosse rimasto solo.
I giorni in cui la febbre cessava per qualche ora, compare Menu si alzava
tutto stravolto e col capo stretto nel fazzoletto, e si metteva sull'uscio
ad aspettare Jeli, mentre il sole era ancora caldo. Come Jeli lasciava
cadere accanto all'uscio il fascio della legna, e posava sulla tavola il
fiasco e le uova, ei gli diceva: - Metti a bollire l'ecalibbiso per
stanotte -; oppure; - Guarda che l'oro di tua madre l'ha in consegna la zia
Agata, quando non ci sar� pi� io -. E Jeli diceva di s� col capo.
- � inutile - ripeteva massaro Agrippino ogni volta che tornava a vedere
compare Menu colla febbre. - Il sangue oramai � tutto una peste -. Compare
Menu ascoltava senza batter palpebra, col viso pi� bianco della sua
berretta.
Diggi� non si alzava pi�. Jeli si metteva a piangere quando non gli
bastavano le forze per aiutarlo a voltarsi da un lato all'altro; poco per
volta compare Menu fin� per non parlare nemmen pi�. Le ultime parole che
disse al suo ragazzo furono:
- Quando sar� morto, andrai dal padrone delle vacche, a Ragoleti, e
ti farai dare le tre onze e i dodici tumoli di frumento che avanzo da maggio
a questa parte.
- No, - rispose Jeli, - sono soltanto due onze e quindici, perch� avete
lasciato le vacche che � pi� di un mese, e bisogna fare il conto giusto col
padrone.
- � vero! - afferm� compare Menu socchiudendo gli occhi.
- Ora son proprio solo al mondo come un puledro smarrito, che se lo possono
mangiare i lupi! - pens� Jeli quando gli ebbero portato il babbo al cimitero
di Licodia.
Mara era venuta a vedere anche lei la casa del morto, colla curiosit�
inquieta che destano le cose spaventose.
- Vedi come son rimasto? - le disse Jeli.
La ragazzetta si tir� indietro sbigottita, per paura che non la facesse
entrare nella casa dove era stato il morto.
Jeli and� a riscuotere il danaro del babbo, e se ne part� coll'armento per
Passanitello, dove l'erba era gi� alta sul terreno lasciato pel
maggese, e il mangime era abbondante; perci� i puledri vi restarono a
pascolarvi per molto tempo. Frattanto Jeli s'era fatto grande, ed anche Mara
doveva esser cresciuta, pensava egli sovente, mentre suonava il suo zufolo;
poi quando torn� a Tebidi, dopo tanto tempo, spingendosi innanzi
adagio adagio le giumente per i viottoli sdrucciolevoli della fontana
dello zio Cosimo, andava cercando cogli occhi il ponticello del vallone,
e il casolare nella valle del Jacitano, e il tetto delle case
grandi, su cui svolazzavano sempre i colombi. Ma in quel tempo il
padrone aveva licenziato massaro Agrippino e tutta la famiglia di Mara stava
soleggiando. Jeli trov� la ragazza, la quale s'era fatta grandicella e
belloccia, alla porta del cortile, che teneva d'occhio la sua roba, mentre
la caricavano sulla carretta. Ora la stanza vuota sembrava pi� scura e
affumicata del solito. La tavola, e il letto, e il cassettone, e le immagini
della Vergine e di San Giovanni, e fino i chiodi per appendiervi le zucche
delle sementi, ci avevano lasciato il segno sulle pareti dove erano state
per tanti anni. - Andiamo via, - gli disse Mara come lo vide osservare. - Ce
ne andiamo laggi� a Marineo, dove c'� quel gran casamento, nella
pianura -.
Jeli si diede ad aiutare massaro Agrippino e la gn� Lia nel caricare la
carretta, e allorch� non ci fu altro da portare via dalla stanza, and� a
sedere con Mara sul parapetto dell'abbeveratojo. - Anche le case, - le
disse, quand'ebbe visto accatastare l'ultima cesta sulla carretta, - anche
le case, come se ne toglie via la loro roba, non sembrono pi� quelle.
- A Marineo, - rispose Mara, - ci avremo una camera pi� bella, ha
detto la mamma, e grande come il magazzino dei formaggi.
- Ora che tu sarai via, non voglio venirci pi� qui; ch� mi parr� di esser
tornato l'inverno, a veder quell'uscio chiuso.
- A Marineo invece troveremo dell'altra gente, Pudda la rossa,
e la figlia del campiere; si star� allegri, per la messe verranno pi� di
ottanta mietitori, colla cornamusa, e si baller� sull'aja -.
Massaro Agrippino e sua moglie si erano avviati colla carretta, Mara correva
loro dietro tutta allegra, portando il paniere coi piccioni. Jeli volle
accompagnarla sino al ponticello, e quando Mara stava per scomparire nella
vallata la chiam�: - Mara! oh, Mara!
- Che vuoi? - disse Mara.
Egli non lo sapeva che voleva. - O tu, cosa farai qui tutto solo? - gli
domand� allora la ragazza.
- Io resto coi puledri -.
Mara se ne and� saltellando, e lui rimase l� fermo, finch� pot� udire il
rumore della carretta che rimbalzava sui sassi. Il sole toccava le rocce
alte del poggio alla croce, le chiome grigie degli ulivi sfumavano
nel crepuscolo, e per la campagna vasta, lontan lontano, non si udiva altro
che il campanaccio della bianca nel silenzio che si allargava.
Mara, come se ne fu andata a Marineo, in mezzo alla gente nuova, e
alle faccende della vendemmia, si scord� di lui; ma Jeli ci pensava sempre a
lei, perch� non aveva altro da fare, nelle lunghe giornate che passava a
guardare la coda delle sue bestie. Adesso non aveva poi motivo alcuno per
calar nella valle, di l� del ponticello, e nessuno lo vedeva pi� alla
fattoria. In tal modo ignor� per un pezzo che Mara si era fatta sposa,
giacch� dell'acqua intanto ne era passata e passata sotto il ponticello.
Egli rivide soltanto la ragazza il d� della festa di San Giovanni, come and�
alla fiera coi puledri da vendere: una festa che gli si mut� tutta in
veleno, e gli fece cascar il pan di bocca, per un accidente toccato ad uno
dei puledri del padrone, Dio ne scampi.
Il giorno della fiera il fattore aspettava i puledri sin dall'alba, andando
su e gi� cogli stivali inverniciati dietro le groppe dei cavalli e dei muli,
messi in fila di qua e di l� dello stradone. La fiera era gi� sul finire, n�
Jeli spuntava ancora colle bestie, di l� del gomito che faceva lo stradone.
Sulle pendici riarse del calvario e del mulino a vento,
rimaneva tuttora qualche branco di pecore, strette in cerchio col muso a
terra e l'occhio spento, e qualche pariglia di buoi dal pelo lungo, di
quegli che si vendono per pagare il fitto delle terre, che aspettavano
immobili, sotto il sole cocente. Laggi�, verso la valle, la campana di San
Giovanni suonava la messa grande, accompagnata dal lungo crepit�o dei
mortaletti. Allora il campo della fiera sembrava trasalire, e correva un
grid�o che si prolungava fra le tende dei trecconi schierate nella salita
dei Galli, scendeva per le vie del paese, e sembrava ritornare dalla
valle dov'era la chiesa. - Viva San Giovanni! - Santo diavolone! - strillava
il fattore, - quell'assassino di Jeli mi far� perdere la fiera! -
Le pecore levavano il muso attonito, e si mettevano a belare tutte in una
volta, e anche i buoi facevano qualche passo lentamente, guardando in giro,
con grandi occhi intenti.
Il fattore era cos� in collera perch� quel giorno dovevasi pagare il fitto
delle chiuse grandi, �come San Giovanni fosse arrivato sotto l'olmo�,
diceva il contratto, e a completare la somma si era fatto assegnamento sulla
vendita dei puledri. Intanto di puledri, e cavalli, e muli, ce n'erano
quanti il Signore ne aveva fatti, tutti strigliati e lucenti, e ornati di
fiocchi, e nappine, e sonagli, che scodinzolavano per scacciare la noia, e
voltavano la testa verso ognuno che passava, come aspettassero un'anima
caritatevole che volesse comprarli.
- Si sar� messo a dormire, quell'assassino! - seguita a gridare il fattore;
- e mi lascia i puledri sulla pancia! -
Invece Jeli aveva camminato tutta la notte, acciocch� i puledri arrivassero
freschi alla fiera, e prendessero un buon posto nell'arrivare, ed era giunto
al piano del corvo che ancora i tre re non erano tramontati, e
luccicavano sul monte Arturo, colle braccia in croce. Per la strada
passavano continuamente carri, e gente a cavallo, che andavano alla festa;
per questo il giovanetto teneva ben aperti gli occhi, acci� i puledri,
spaventati dall'insolito via vai, non si sbandassero, ma andassero uniti
lungo il ciglione della strada, dietro la bianca che camminava
diritta e tranquilla, col campanaccio al collo. Di tanto in tanto, allorch�
la strada correva sulla sommit� delle colline, si udiva sin lass� la campana
di San Giovanni, che anche nel bujo e nel silenzio della campagna arrivava
la festa, e per tutto lo stradone, lontan lontano, sin dove c'era gente a
piedi o a cavallo che andava a Vizzini, si udiva gridare: - Viva San
Giovanni! - e i razzi salivano diritti e lucenti dietro i monti della
Canziria, come le stelle che piovono in agosto.
- � come la notte di Natale! - andava dicendo Jeli al ragazzo che l'aiutava
a condurre il branco, - che in ogni fattoria si fa festa e luminaria, e per
tutta la campagna si vedono qua e l� dei fuochi -.
Il ragazzo sonnecchiava, spingendo adagio adagio una gamba dietro l'altra, e
non rispondeva nulla; ma Jeli che si sentiva rimescolare tutto il sangue da
quella campana, non poteva star zitto, come se ognuno di quei razzi che
strisciavano sul bujo taciti e lucenti dietro il monte gli sbocciassero
dall'anima.
- Mara sar� andata anche lei alla festa di San Giovanni, - diceva, - perch�
ci va tutti gli anni -.
E senza curarsi che Alfio, il ragazzo, non rispondesse nulla:
- Tu non sai? ora Mara � alta cos�, che � pi� grande di sua madre che l'ha
fatta, e quando l'ho rivista non mi pareva vero che fosse proprio quella
stessa con cui si andava a cogliere i fichidindia, e a bacchiare le noci -.
E si mise a cantare ad alta voce tutte le canzoni che sapeva.
- O Alfio, che dormi? - gli grid� quando ebbe finito. - Bada che la
bianca ti vien sempre dietro, bada!
- No, non dormo! - rispose Alfio con voce rauca.
- La vedi la puddara, che sta ad ammiccarci lass�, verso Granvilla,
come sparassero dei razzi anche a Santa Domenica? Poco pu� passare a
romper l'alba; pure alla fiera arriveremo in tempo per trovare un buon
posto. Ehi, morellino bello! che ci avrai la cavezza nuova, colle
nappine rosse, per la fiera! e anche tu, stellato!
Cos� andava parlando all'uno e all'altro dei puledri, perch� si
rinfrancassero sentendo la sua voce al bujo. Ma gli doleva che lo
stellato e il morellino andassero alla fiera per esser venduti.
- Quando saran venduti, se ne andranno col padrone nuovo, e non si vedranno
pi� nella mandria, com'� stato di Mara, dopo che se ne fu andata a
Marineo.
- Suo padre sta benone laggi� a Marineo; ch� quando andai a trovarli
mi misero dinanzi pane, vino, formaggio, e ogni ben di Dio, perch� egli �
quasi il fattore, ed ha le chiavi di ogni cosa, e avrei potuto mangiarmi
tutta la fattoria, se avessi voluto. Mara non mi conosceva quasi pi� da
tanto che non mi vedeva! e si mise a gridare: �Oh! guarda! � Jeli, il
guardiano dei cavalli, quello di Tebidi!�. Gli � come quando uno
torna da lontano, che al vedere soltanto il cocuzzolo di un monte, gli basta
a riconoscere subito il paese dove � cresciuto. La gn� Lia non voleva che le
dessi pi� del tu, alla Mara, ora che sua figlia si � fatta grande, perch� la
gente che non sa nulla, chiacchiera facilmente. Mara invece rideva, e
sembrava che avesse infornato il pane allora allora, tanto era rossa;
apparecchiava la tavola, e spiegava la tovaglia che non pareva pi� quella.
�O che ti rammenti pi� di Tebidi?� le chiesi appena la gn� Lia fu
sortita per spillare del vino fresco dalla botte. �S�, s�, me ne rammento�,
mi disse ella �a Tebidi c'era la campana, col campanile che pareva un
manico di saliera, e si suonava dal ballatoio, e c'erano pure due gatti di
sasso, che facevano le fusa sul cancello del giardino�. Io me le sentivo qui
dentro tutte quelle cose, come ella andava dicendole. Mara mi guardava da
capo a piedi con tanto d'occhi, e tornava a dire: �Come ti sei fatto
grande!� e si mise pure a ridere, e mi diede uno scapaccione qui, sulla
testa -.
In tal modo Jeli, il guardiano dei cavalli, perdette il pane, perch� giusto
in quel punto sopravveniva all'improvviso una carrozza che non si era udita
prima, mentre saliva l'erta passo passo, e si era messa al trotto com'era
giunta al piano, con gran strepito di frusta e di sonagli, quasi la portasse
il diavolo. I puledri, spaventati, si sbandarono in un lampo, che pareva un
terremoto, e ce ne vollero delle chiamate, e delle grida e degli ohi! ohi!
ohi! di Jeli e del ragazzo prima di raccoglierli attorno alla bianca,
la quale anch'essa trotterellava svogliatamente, col campanaccio al collo.
Appena Jeli ebbe contato le sue bestie, si accorse che mancava lo
stellato, e si cacci� le mani nei capelli, perch� in quel posto la
strada correva lungo il burrone, e fu nel burrone che lo stellato si
fracass� le reni, un puledro che valeva dodici onze come dodici angeli del
paradiso! Piangendo e gridando Jeli andava chiamando il puledro - ahu! ahu!
ahu! - che non ci si vedeva ancora. Lo stellato rispose finalmente
dal fondo del burrone, con un nitrito doloroso, come avesse avuto la parola,
povera bestia!
- Oh! mamma mia! - andavano gridando Jeli e il ragazzo. - Oh! che disgrazia,
mamma mia! -
I viandanti che andavano alla festa, e sentivano piangere a quel modo in
mezzo al buio, domandavano cosa avessero perso, e poi, come sapevano di che
si trattava, andavano per la loro strada.
Lo stellato rimaneva immobile dove era caduto, colle zampe in aria, e
mentre Jeli l'andava tastando per ogni dove, piangendo e parlandogli quasi
avesse potuto farsi intendere, la povera bestia rizzava il collo
penosamente, e voltava la testa verso di lui, che si udiva l'anelito rotto
dallo spasimo.
- Qualche cosa si sar� rotto! - piagnucolava Jeli, disperato di non poter
vedere nulla pel buio; e il puledro inerte come un sasso lasciava ricadere
il capo di peso. Alfio rimasto sulla strada a custodia del branco, s'era
rasserenato per il primo, e aveva tirato fuori il pane dalla sacca. Ora il
cielo s'era fatto bianchiccio, e i monti tutto intorno parevano che
spuntassero ad uno ad uno, neri ed alti. Dalla svolta dello stradone si
cominciava a scorgere il paese, col monte del calvario e del
mulino a vento stampato sull'albore, ancora foschi, seminati dalle
chiazze bianche delle pecore, e come i buoi che pascolavano sul cocuzzolo
del monte, nell'azzurro, andavano di qua e di l�, sembrava che il profilo
del monte stesso si animasse e formicolasse di vita. La campana, dal fondo
del burrone, non si udiva pi�, i viandanti si erano fatti pi� rari, e quei
pochi che passavano avevano fretta di arrivare alla fiera. Il povero Jeli
non sapeva a qual santo votarsi in quella solitudine: lo stesso Alfio, da
solo, non poteva giovargli per niente; perci� costui andava sbocconcellando
pian piano il suo pezzo di pane.
Finalmente si vede venire a cavallo il fattore, il quale da lontano
stripitava e bestemmiava accorrendo, al vedere gli animali fermi sulla
strada, sicch� lo stesso Alfio se la diede a gambe per la collina. Ma Jeli
non si mosse d'accanto allo stellato. Il fattore lasci� la mula sulla
strada, e scese nel burrone anche lui, cercando di aiutare il puledro ad
alzarsi, e tirandolo per la coda. - Lasciatelo stare! - diceva Jeli, bianco
in viso come se si fosse fracassate le reni lui. - Lasciatelo stare! Non
vedete che non si pu� muovere, povera bestia? -
Lo stellato infatti ad ogni movimento, e ad ogni sforzo che gli
facevano fare, metteva un rantolo che pareva un cristiano. Il fattore si
sfogava a calci e scapaccioni su di Jeli, e tirava pei piedi gli angeli e i
santi del paradiso. Allora Alfio pi� rassicurato era tornato sulla strada,
per non lasciare le bestie senza custodia, e badava a scolparsi dicendo:
- Io non ci ho colpa. Io andavo innanzi colla bianca.
- Qui non c'� pi� nulla da fare, - disse alfine il fattore, dopo che si
persuase che era tutto tempo perso. - Qui non se ne pu� prendere altro che
la pelle, finch'� buona -.
Jeli si mise a tremare come una foglia, quando vide il fattore andare a
staccare lo schioppo dal basto della mula. - Levati di l�, paneperso! - gli
url� il fattore, - che non so chi mi tenga dallo stenderti per terra accanto
a quel puledro che valeva assai pi� di te, con tutto il battesimo porco che
ti diede quel prete ladro! -
Lo stellato, non potendosi muovere, volgeva il capo con grandi occhi
sbarrati, quasi avesse inteso ogni cosa, e il pelo gli si arricciava ad
onde, lungo le costole; sembrava ci corresse sotto un brivido. In tal modo
il fattore uccise sul luogo lo stellato, per cavarne almeno la pelle,
e il rumore fiacco che fece dentro le carni vive il colpo tirato a
bruciapelo parve a Jeli di sentirselo dentro di s�.
- Ora, se vuoi sapere il mio consiglio, - gli lasci� detto il fattore, -
cerca di non farti vedere pi� dal padrone per quel salario che avanzi,
perch� te lo pagherebbe salato assai! -
Il fattore se ne and� insieme ad Alfio, cogli altri puledri che non si
voltavano nemmeno a vedere dove rimanesse lo stellato, e andavano
strappando l'erba dal ciglione. E lo stellato rimase solo nel
burrone, aspettando che venissero a scuoiarlo, cogli occhi ancora
spalancati, e le quattro zampe distese, beato lui, che non penava pi�
infine.
Jeli, ora che aveva visto con qual ceffo il fattore aveva preso di mira il
puledro e tirato il colpo, mentre la povera bestia volgeva la testa
penosamente, quasi avesse il giudizio, smise di piangere, e se ne stette a
guardare lo stellato, duro duro, seduto sul sasso, fin quando
arrivarono gli uomini che dovevano prendersi la pelle.
Adesso poteva andarsene a spasso, a godersi la festa, o starsene in piazza
tutto il giorno, a vedere i galantuomini nel casino, come meglio gli
piaceva, ch� non aveva pi� n� pane, n� tetto, e bisognava cercarsi un
padrone, se pure qualcuno lo voleva, dopo la disgrazia dello stellato.
Le cose del mondo vanno cos�: mentre Jeli andava cercando un padrone, colla
sacca ad armacollo e il bastone in mano, la banda suonava in piazza
allegramente, coi pennacchi sul cappello, in mezzo a una folla di berrette
bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti
nel casino. Tutta la gente era vestita da festa, come gli animali della
fiera, e in un canto della piazza c'era una donna colla gonnella corta e le
calze color di carne che pareva colle gambe nude, e picchiava sulla gran
cassa, davanti a un gran lenzuolo dipinto, dove si vedeva una carneficina di
cristiani, col sangue che colava a fiumi, e nella folla che stava a guardare
a bocca aperta c'era pure massaro Cola, il quale conosceva Jeli da quando
stava a Passanitello, e gli disse che il padrone glielo avrebbe
trovato lui, poich� compare Isidoro Macca cercava un guardiano per i porci.
- Per� non dir nulla dello stellato, - gli raccomand� massaro Cola. -
Una disgrazia come quella pu� accadere a tutti, nel mondo, ma � meglio non
parlarne -.
Andarono perci� a cercare compare Macca, il quale era al ballo, e nel tempo
che massaro Cola entr� a fare l'ambasciata, Jeli aspett� sulla strada, in
mezzo alla folla che stava a guardare dalla porta della bottega. Nella
stanzaccia c'era un mondo di gente, che saltava e si divertiva, tutti rossi
e scalmanati, e facevano un gran pestare di scarponi sull'ammattonato, che
non si udiva nemmeno il ron-ron del contrabasso, e appena finiva una
suonata, che costava un grano, levavano il dito per far segno che ne
volevano un'altra; e quello del contrabasso faceva una croce col carbone
sulla parete, per memoria, e cominciava da capo. - Questi li spendono senza
pensarci, - s'andava dicendo Jeli, - e vuol dire che hanno la tasca piena, e
non sono in angustia come me, per difetto di un padrone, se sudano e
s'affannano a saltare per loro piacere, quasi fossero presi a giornata! -
Massaro Cola torn� dicendo che compare Macca non aveva bisogno di nulla.
Allora Jeli volse le spalle e se ne and� mogio mogio.
Ma stava di casa verso Sant'Antonio, dove le case s'arrampicano sul monte,
di fronte al vallone della Canziria, tutto verde di fichidindia, e
colle ruote dei mulini che spumeggiavano in fondo, nel torrente; ma Jeli non
ebbe il coraggio di andare da quelle parti, ora che non l'avevano voluto
nemmeno per guardare i porci e girandolando in mezzo alla folla che lo
urtava e lo spingeva senza curarsi di lui, gli pareva di essere pi� solo di
quando era coi puledri nelle lande di Passanitello, e si sentiva
voglia di piangere. Finalmente massaro Agrippino lo incontr� nella piazza,
che andava di qua e di l� colle braccia ciondoloni, godendosi la festa, e
cominci� a gridargli dietro: - Oh Jeli! oh! - e se lo men� a casa. Mara era
in gran gala, con tanto d'orecchini che le sbattevano sulle guance, e stava
sull'uscio, colle mani sulla pancia, cariche d'anelli, ad aspettare che
imbrunisse per andare a vedere i fuochi. - Oh! - gli disse Mara, - sei
venuto anche tu per la festa di San Giovanni! -
Jeli veramente non osava entrare, perch� era vestito male; per� massaro
Agrippino lo spinse per le spalle, dicendogli che non si vedevano allora per
la prima volta, e che si sapeva che era venuto per la fiera coi puledri del
padrone. La gn� Lia gli vers� un bel bicchiere di vino, e vollero condurlo
con loro a veder la luminaria, insieme alle comari ed ai vicini.
Arrivando in piazza, Jeli rimase a bocca aperta dalla meraviglia: tutta
quanta era un mare di fuoco, come quando s'incendiano le stoppie, per il
gran numero di razzi che i devoti accendevano in cospetto del santo, il
quale stava a goderseli dall'imboccatura del Rosario, tutto nero sotto il
baldacchino d'argento. I devoti andavano e venivano fra le fiamme come tanti
diavoli, e c'era persino una donna discinta, spettinata, cogli occhi fuori
della testa, che accendeva i razzi anch'essa, e un prete colla sottana in
aria, senza cappello, che pareva un ossesso dalla devozione.
- Quello l� � il figliuolo di massaro Neri, il fattore della Salonia,
e spende pi� di dieci lire di razzi! - diceva la gn� Lia, accennando a un
giovinotto che andava in giro per la piazza tenendo due razzi alla volta
nelle mani, come due candele, sicch� tutte le donne se lo mangiavano cogli
occhi, e gli gridavano: - Viva San Giovanni.
- Suo padre � ricco e possiede pi� di venti capi di bestiame, - aggiunse
massaro Agrippino.
Mara sapeva pure che aveva portato lo stendardo grande nella processione, e
lo reggeva diritto come un fuso, tanto era forte e bel giovane.
Il figlio di massaro Neri pareva che sentisse quei discorsi, e accendesse i
razzi per la Mara, facendo la ruota dinanzi a lei; tanto che dopo i fuochi
si accompagn� con loro, e li condusse al ballo, e al cosmorama, dove si
vedeva il mondo vecchio e il mondo nuovo, pagando lui, beninteso, anche per
Jeli, il quale andava dietro la comitiva come un cane senza padrone, a veder
ballare il figlio di massaro Neri colla Mara, la quale girava in tondo e si
accoccolava come una colombella in amore, e teneva tesa con bel garbo una
cocca del grembiale. Il figlio di massaro Neri, lui, saltava come un
puledro, tanto che la gn� Lia piangeva dalla consolazione, e massaro
Agrippino faceva cenno di s� col capo, che la cosa andava bene.
Infine, quando furono stanchi, se ne andarono di qua e di l� nel
passeggio, trascinati dalla folla quasi fossero in mezzo a una fiumana,
a vedere i trasparenti illuminati, dove tagliavano il collo a San Giovanni,
che avrebbe fatto piet� agli stessi turchi, e il santo sgambettava come un
capriuolo sotto la mannaia. L� vicino c'era la banda che suonava, sotto un
gran paracqua di legno tutto illuminato, e nella piazza una folla tanto
stipata che mai s'erano visti tanti cristiani a una fiera.
Mara andava al braccio del figlio di massaro Neri come una signorina, e gli
parlava nell'occhio, e rideva che pareva si divertisse assai. Jeli non ne
poteva pi� dalla stanchezza, e si mise a dormire seduto sul marciapiede, fin
quando lo svegliarono i primi petardi del fuoco d'artifizio. In quel momento
Mara era sempre al fianco del figlio di massaro Neri, gli si appoggiava
colle due mani intrecciate sulla spalla, e al lume dei fuochi colorati
sembrava ora tutta bianca ed ora tutta rossa. Quando scapparono pel cielo
gli ultimi razzi in mucchio, il figlio di massaro Neri, si volt� verso di
lei, bianca in viso, e le diede un bacio.
Jeli non disse nulla, ma in quel punto gli si cambi� in veleno tutta la
festa che aveva goduto sin allora, e torn� a pensare a tutte le sue
disgrazie, che gli erano uscite di mente - e che era rimasto senza padrone,
e che non sapeva pi� che fare n� dove andare, e che non aveva pi� n� pane n�
tetto, - insomma che era meglio andare a buttarsi nel burrone, come lo
stellato, che se lo mangiavano i cani a quell'ora.
Intanto attorno a lui la gente era allegra. Mara colle compagne saltava, e
cantava per la stradicciuola sassosa, mentre tornavano a casa.
- Buona notte! Buona notte! - andavano dicendo le compagne, a misura che si
lasciavano per la strada.
Mara dava la buona notte, che pareva che cantasse, tanta contentezza ci
aveva nella voce, e il figlio di massaro Neri poi sembrava proprio
imbestialito e non volesse lasciarla pi�, mentre massaro Agrippino e la gn�
Lia litigavano nell'aprire l'uscio di casa. Nessuno badava a Jeli, soltanto
massaro Agrippino si ramment� di lui, e gli chiese:
- Ed ora dove andrai?
- Non lo so, - disse Jeli.
- Domani vieni a trovarmi, e t'aiuter� a cercar d'allogarti. Per stanotte
torna in piazza dove siamo stati a sentir suonare la banda; un posto su
qualche panchetta lo troverai, e a dormire allo scoperto tu devi esserci
avvezzo -.
S� che c'era avvezzo, ma quello che gli dava maggior pena era che Mara non
gli dicesse nulla, e lo lasciasse a quel modo sull'uscio come un pezzente;
tanto che glielo disse, il giorno dopo, appena pot� trovarla in casa un
momento sola:
- Oh, gn� Mara! come li scordate gli amici!
- Oh, sei tu Jeli? - disse Mara. - No, io non ti ho scordato. Ma ero cos�
stanca dopo i fuochi!
- Gli volete bene almeno, al figlio di massaro Neri? - chiese lui voltando e
rivoltando il bastone fra le mani.
- Che discorsi andate facendo! - rispose bruscamente la gn� Mara. - Mia
madre � di l� che sente tutto -.
Massaro Agrippino gli trov� da allogarlo come pecoraio alla Salonia,
dov'era fattore massaro Neri, ma siccome Jeli era poco pratico del mestiere
si dovette contentare di un salario assai magro.
Adesso badava alle sue pecore, e ad imparare come si fa il formaggio, e la
ricotta, e il caciocavallo, e ogni altro frutto di mandra; ma fra le
chiacchiere che correvano alla sera nel cortile tra gli altri pastori e
contadini, mentre le donne sbucciavano le fave della minestra, se si veniva
a parlare del figlio di massaro Neri, il quale si prendeva in moglie Mara di
massaro Agrippino, Jeli non diceva pi� nulla, e nemmeno osava di aprir
bocca. Una volta che il campaio lo motteggi�, dicendogli che Mara non aveva
voluto saperne pi� di lui, dopo che tutti avevano detto che sarebbero stati
marito e moglie, Jeli che badava alla pentola in cui bolliva il latte,
rispose facendo sciogliere il caglio adagio adagio:
- Ora Mara si � fatta pi� bella col crescere, che sembra una signora -.
Per� siccome egli era paziente e laborioso, impar� presto ogni cosa del
mestiere meglio di uno che ci fosse nato, e siccome era avvezzo a star colle
bestie, amava le sue pecore come se le avesse fatte lui, e quindi il male
alla Salonia non faceva tanta strage, e la mandra prosperava ch'era
un piacere per massaro Neri, tutte le volte che veniva alla fattoria, tanto
che ad anno nuovo si persuase ad indurre il padrone perch� aumentasse il
salario di Jeli, sicch� costui venne ad avere quasi quello che prendeva col
fare il guardiano dei cavalli. Ed erano danari bene spesi, ch� Jeli non
badava a contar le miglia e le miglia per cercare i migliori pascoli ai suoi
animali, e se le pecore figliavano o erano malate se le portava a pascolare
dentro le bisacce dell'asinello, e si recava in collo gli agnelli che gli
belavano sulla faccia, col muso fuori del sacco, e gli poppavano le
orecchie. Nella nevigata famosa della notte di Santa Lucia la neve cadde
alta quattro palmi nel lago morto alla Salonia, e tutto
all'intorno per miglia e miglia che non si vedeva altro per tutta la
campagna, come venne il giorno. - Quella volta sarebbe stata la rovina di
massaro Neri, come fu per tanti altri del paese, se Jeli non si fosse alzato
nella notte tre o quattro volte a cacciare le pecore pel chiuso, cos� le
povere bestie si scuotevano la neve di dosso, e non rimasero seppellite come
tante ce ne furono nelle mandre vicine - a quel che disse massaro Agrippino
quando venne a dare un'occhiata ad un campicello di fave che ci aveva alla
Salonia, e disse pure che di quell'altra storia del figlio di massaro
Neri, il quale doveva sposare sua figlia Mara, non era vero niente, ch� Mara
aveva tutt'altro per il capo.
- Se avevano detto che dovevano sposarsi a Natale! - disse Jeli.
- Non vero niente, non dovevano sposare nessuno! tutte chiacchiere di gente
invidiosa che si immischia negli affari altrui! - rispose massaro Agrippino.
Per� il campaio, il quale la sapeva pi� lunga, per averne sentito parlare in
piazza, quando andava in paese la domenica, raccont� invece la cosa tale e
quale com'era, dopo che massaro Agrippino se ne fu andato: non si sposavano
pi� perch� il figlio di massaro Neri aveva risaputo che Mara di massaro
Agrippino se la intendeva con don Alfonso, il signorino, il quale aveva
conosciuta Mara da piccola; e massaro Neri aveva detto che il suo ragazzo
voleva che fosse onorato come suo padre, e delle corna in casa non le voleva
altre che quelle dei suoi buoi.
Jeli era l� presente anche lui, seduto in circolo cogli altri a colezione, e
in quel momento stava affettando il pane. Egli non disse nulla, ma
l'appetito gli and� via per quel giorno.
Mentre conduceva al pascolo le pecore torn� a pensare a Mara, quando era
ragazzina, che stavano insieme tutto il giorno e andavano nella valle del
Jacitano e sul poggio alla croce, ed ella stava a guardarlo col
mento in aria mentre egli si arrampicava a prendere i nidi sulle cime degli
alberi; e pensava anche a don Alfonso, il quale veniva a trovarlo dalla
villa vicina, e si sdraiavano bocconi sull'erba a stuzzicare con un
fuscellino i nidi di grilli. Tutte quelle cose andava rimuginando per ore ed
ore, seduto sull'orlo del fossato, tenendosi i ginocchi fra le braccia, e i
noci alti di Tebidi, e le folte macchie dei valloni, e le pendici
delle colline verdi di sommacchi, e gli ulivi grigi che si addossavano nella
valle come nebbia, e i tetti rossi del casamento, e il campanile �che
sembrava un manico di saliera� fra gli aranci del giardino. - Qui la
campagna gli si stendeva dinanzi brulla, deserta, chiazzata dall'erba
riarsa, sfumando silenziosa nell'afa lontana.
In primavera, appena i baccelli delle fave cominciavano a piegare il capo,
Mara venne alla Salonia col babbo e la mamma, e il ragazzo e
l'asinello, a raccogliere le fave, e tutti insieme vennero a dormire alla
fattoria pei due o tre giorni che dur� la raccolta. Jeli in tal modo vedeva
la ragazza mattina e sera, e spesso sedevano accanto al muricciolo
dell'ovile, a discorrere insieme, mentre il ragazzo contava le pecore.
- Mi pare d'essere a Tebidi, - diceva Mara, - quando eravamo piccoli,
e stavamo sul ponticello della viottola -.
Jeli si rammentava di ogni cosa anche lui, sebbene non dicesse nulla, perch�
era stato sempre un ragazzo giudizioso e di poche parole.
Finita la raccolta, alla vigilia della partenza, Mara venne a salutare il
giovanotto, nel tempo che ei stava facendo la ricotta, ed era tutto intento
a raccogliere il siero colla cazza.
- Ora ti dico addio, - gli disse ella, - poich� domani torniamo a Vizzini.
- Come sono andate le fave?
- Male sono andate! la lupa le ha mangiate tutte, quest'anno.
- Dipende dalla pioggia che � stata scarsa, - disse Jeli. - Figurati che si
� dovuto uccidere anche le agnelle perch� non avevano da mangiare; su tutta
la Salonia non venne tre dita di erba.
- Ma a te poco te ne importa. Il salario l'hai sempre, buona o mal'annata!
- S�, � vero, - disse lui; - ma mi rincresce dare quelle povere bestie in
mano al beccaio.
- Ti ricordi quando sei venuto per la festa di San Giovanni, ed eri rimasto
senza padrone?
- S�, me lo ricordo.
- Fu mio padre che ti allog� qui, da massaro Neri.
- E tu perch� non l'hai sposato il figlio di massaro Neri?
- Perch� non c'era la volont� di Dio. - Mio padre � stato sfortunato, -
riprese di l� a poco. - Dacch� ce ne siamo andati a Marineo ogni cosa
ci � riuscita male. La fava, il seminato, quel pezzetto di vigna che ci
abbiamo lass�. Poi, mio fratello � partito soldato, e ci � morta pure una
mula che valeva quarant'onze.
- Lo so, - rispose Jeli, - la mula baia!
- Ora che abbiamo perso la roba, chi vuoi che mi sposi? -
Mara andava sminuzzando uno sterpolino di pruno, mentre parlava, col mento
sul seno, e gli occhi bassi, e col gomito stuzzicava un po' il gomito di
Jeli, senza badarci. Ma jeli, cogli occhi sulla zangola anche lui, non
rispondeva nulla; sicch� ella riprese:
- A Tebidi dicevano che saremmo stati marito e moglie, lo rammenti?
- S�, - disse Jeli, e pos� la cazza sull'orlo della zangola. - Ma io sono un
povero pecoraio, e non posso pretendere alla figlia di un massaro come sei
tu -.
La Mara rimase un pochino zitta e poi disse:
- Se tu mi vuoi, io per me ti piglio volentieri.
- Davvero?
- S�, davvero.
- E massaro Agrippino cosa dir�?
- Mio padre dice che ora il mestiere lo sai, e tu non sei di quelli che
vanno a spendere il loro salario, ma di un soldo ne fai due, e non mangi per
non consumare il pane, cos� arriverai ad aver delle pecore anche tu, e ti
farai ricco.
- Se � cosi, - conchiuse Jeli, - ti piglio volentieri anch'io.
- To'! - gli disse Mara, come si era fatto buio, e le pecore andavano
tacendosi a poco a poco, - se vuoi un bacio adesso te lo do, poich� saremo
marito e moglie -.
Jeli se lo prese in santa pace, e non sapendo che dire aggiunse:
- Io t'ho sempre voluto bene, anche quando volevi lasciarmi pel figlio di
massaro Neri... - Ma non ebbe cuore di dirgli di quell'altro.
- Non lo vedi? eravamo destinati! - conchiuse Mara.
Massaro Agrippino infatti disse di s�, e la gn� Lia mise insieme presto un
giubbone nuovo, e un paio di brache di velluto per il genero. Mara era bella
e fresca come una rosa, con quella mantellina bianca che sembrava l'agnello
pasquale, e quella collana d'ambra che le faceva il collo bianco; sicch�
Jeli, quando andava per le strade al fianco di lei, camminava impalato,
tutto vestito di panno e di velluto nuovo, e non osava soffiarsi il naso col
fazzoletto di seta rosso, per non farsi scorgere; ma i vicini e tutti quelli
che sapevano la storia di don Alfonso gli ridevano sul naso. Quando Mara
disse sissignore, e il prete gliela diede in moglie con un gran
crocione, Jeli se la condusse a casa, e gli parve che gli avessero dato
tutto l'oro della Madonna, e tutte le terre che aveva visto cogli occhi.
- Ora che siamo marito e moglie, - le disse giunti a casa, seduto di faccia
a lei, e facendosi piccino piccino, - ora che siamo marito e moglie, posso
dirtelo che non mi par vero che tu m'abbia voluto... mentre avresti potuto
prenderne tanti meglio di me... cos� bella come tu sei!... -
Il poveraccio non sapeva dirle altro, e non capiva nei panni nuovi dalla
contentezza di vedersi Mara per casa, che rassettava e toccava ogni cosa, e
faceva la padrona. Egli non trovava il verso di spiccicarsi dall'uscio per
tornarsene alla Salonia; quando fu venuto il luned�, indugiava
nell'assettare sul basto dell'asinello le bisacce, e il tabarro, e il
paracqua d'incerata.
- Tu dovresti venirtene alla Salonia anche te! - disse alla moglie
che stava a guardarlo dalla soglia. - Tu dovresti venirtene con me -.
Ma la donna si mise a ridere, e gli rispose che ella non era nata a far la
pecoraia, e non aveva nulla da andare a farci alla Salonia.
Infatti Mara non era nata a far la pecoraia, e non ci era avvezza alla
tramontana di gennaio, quando le mani si irrigidiscono sul bastone, e sembra
che vi caschino le unghie, e ai furiosi acquazzoni, in cui l'acqua vi
penetra fino alle ossa, e alla polvere soffocante delle strade, quando le
pecore camminano sotto il sole cocente, e al giaciglio duro e al pane
muffito, e alle lunghe giornate silenziose e solitarie, in cui per la
campagna arsa non si vede altro di lontano, rare volte, che qualche
contadino nero dal sole, il quale si spinge innanzi silenzioso l'asinello,
per la strada bianca e interminabile. Almeno Jeli sapeva che Mara stava al
caldo sotto le coltri, o filava davanti al fuoco, in crocchio colle vicine,
o si godeva il sole sul ballatoio, mentre egli tornava dal pascolo stanco ed
assetato, o fradicio di pioggia, o quando il vento spingeva la neve dentro
il casolare, e spegneva il fuoco di sommacchi. Ogni mese Mara andava a
riscuotere il salario dal padrone, e non le mancavano n� le uova nel
pollaio, n� l'olio nella lucerna, n� il vino nel fiasco. Due volte al mese
poi Jeli andava a trovarla, ed ella lo aspettava sul ballatoio, col fuso in
mano; poi quando gli aveva legato l'asino nella stalla e toltogli il basto e
messogli la biada nella greppia, e riposta la legna sotto la tettoia nel
cortile, o quel che portava in cucina, Mara l'aiutava ad appendere il
tabarro al chiodo, e a togliersi le gambiere fradice, davanti al focolare, e
gli versava il vino, mentre la minestra bolliva allegramente, ed ella
apparecchiava il desco, cheta cheta e previdente come una brava massaia, nel
tempo stesso che gli parlava di questo e di quello, della chioccia che aveva
messo a covare, della tela che era sul telaio, del vitello che allevavano,
senza dimenticare una sola delle faccenduole di casa, ch� Jeli si sentiva di
starci come un Papa.
Ma la notte di Santa Barbara torn� a casa ad ora insolita, che tutti i lumi
erano spenti nella stradicciuola, e l'orologio della citt� suonava la
mezzanotte. Una notte da lupi, che proprio il lupo gli era entrato in casa,
mentre lui andava all'acqua e al vento per amor del salario, e della
giumenta del padrone ch'era ammalata, e ci voleva il maniscalco subito
subito. Buss� e tempest� all'uscio, chiamando Mara ad alta voce, mentre
l'acqua gli pioveva addosso dalla grondaia, e gli usciva dalle calcagna. Sua
moglie venne ad aprirgli finalmente, e cominci� a strapazzarlo quasi fosse
stata lei a scorrazzare pei campi con quel tempaccio, con una faccia che lui
chiese: - Che c'�? Cos'hai?
- Ho che m'hai fatto paura a quest'ora! che ti par ora da cristiani questa?
Domani sar� ammalata!
- Va a coricarti, il fuoco l'accendo io.
- No, bisogna che vada a prender la legna.
- Andr� io.
- No, ti dico! -
Quando Mara ritorn� colla legna nelle braccia Jeli le disse:
- Perch� hai aperto l'uscio del cortile? Non ce n'era pi� di legna in
cucina?
- No, sono andata a prenderla sotto la tettoja -.
Ella si lasci� baciare, fredda fredda, e volse il capo dall'altra parte.
- Sua moglie lo lascia a infradiciare dietro l'uscio, - dicevano i vicini, -
quando in casa c'� il tordo! -
Ma Jeli non sapeva nulla, ch'era becco, n� gli altri si curavano di
dirglielo, perch� a lui non gliene importava niente, e s'era accollata la
donna col danno, dopo che il figlio di massaro Neri l'aveva piantata per
aver saputo la storia di don Alfonso. Jeli invece ci viveva beato e contento
nel vituperio, e s'ingrassava come un maiale, �ch� le corna sono magre, ma
mantengono la casa grassa!�.
Una volta infine il ragazzo della mandra glielo disse in faccia, una volta
che vennero alle brutte, per certe pezze di formaggio tosate. - Ora che don
Alfonso vi ha preso la moglie, vi pare di essere suo cognato, e avete messo
superbia che vi par di esser un re di corona, con quelle corna che avete in
testa -.
Il fattore e il campaio si aspettavano di veder scorrere il sangue allora;
ma invece Jeli stette zitto quasi non fosse fatto suo, con una faccia di
grullo che le corna gli stavano bene davvero.
Ora si avvicinava la Pasqua e il fattore mandava tutti gli uomini della
fattoria a confessarsi, colla speranza che pel timor di Dio non rubassero
pi�. Jeli and� anche lui, e all'uscir di chiesa cerc� del ragazzo con cui
erano corse le male parole e gli butt� le braccia al collo dicendogli:
- Il confessore mi ha detto di perdonarti; ma io non sono in collera con te
per quelle chiacchiere; e se tu non toserai pi� il formaggio a me non me ne
importa nulla di quello che mi hai detto nella collera -.
Fu da quel momento che lo chiamarono per soprannome Corna d'oro, e il
soprannome gli rimase, a lui e tutti i suoi, anche dopo che ci si lav� le
corna, nel sangue.
La Mara era andata a confessarsi anche lei, e tornava di chiesa tutta
raccolta nella mantellina, cogli occhi bassi che sembrava una Santa Maria
Maddalena. Jeli che l'aspettava taciturno sul ballatoio, come la vide venire
a quel modo, che si vedeva come ci avesse il Signore in corpo, la stava a
guardare pallido pallido dai piedi alla testa, quasi la vedesse per la prima
volta, o gliela avessero cambiata, la sua Mara, e neppure osava alzare gli
occhi su di lei, mentre ella sciorinava la tovaglia, e metteva in tavola le
scodelle, tranquilla e pulita al suo solito. Egli, dopo averci pensato su un
poco, le domand� freddo freddo:
- � vero che te la intendi con don Alfonso? -
Mara gli piant� in faccia i suoi begli occhi limpidi, e si fece il segno
della croce.
- Perch� volete farmi far peccato in questo giorno! - esclam�.
- No! non voglio crederci ancora!... perch� con don Alfonso eravamo sempre
insieme, quando eravamo ragazzi, e non passava giorno ch'ei non venisse a
Tebidi, proprio come due fratelli... Poi egli � ricco che i denari li ha
a palate, e se volesse delle donne potrebbe maritarsi, n� gli mancherebbe la
roba, o il pane da mangiare -.
Mara invece andavasi riscaldando, e cominci� a strapazzarlo in malo modo,
tanto che lui non alzava pi� il naso dal piatto.
Infine perch� quella grazia di Dio che stavano mangiando non andasse in
tossico, Mara cambi� discorso, e gli domand� se ci avesse pensato a far
zappare quel po' di lino che avevano seminato nel campo delle fave.
- S�, - rispose Jeli, - e il lino verr� bene.
- Se � cos�, - disse Mara, - in questo inverno ti far� due camicie nuove che
ti terranno caldo -.
Insomma Jeli non lo capiva quello che vuol dire becco, e non sapeva cosa
fosse la gelosia; ogni cosa nuova stentava ad entrargli in capo, e questa
poi gli riusciva cos� grossa che addirittura faceva una fatica del diavolo
ad entrarci, massime allorch� si vedeva dinanzi la sua Mara, tanto bella, e
bianca, e pulita, che l'aveva voluto lei stessa, e le voleva tanto bene, e
aveva pensato a lei tanto tempo, tanti anni, fin da quando era ragazzo, che
il giorno in cui gli avevano detto com'ella volesse sposarne un altro, non
aveva avuto pi� cuore di mangiare o di bere tutta la giornata. - Ed anche se
pensava a don Alfonso, non poteva credere a una birbonata simile, lui che
gli pareva di vederlo ancora, cogli occhi buoni e la boccuccia ridente con
cui veniva a portargli i dolci e il pane bianco a Tebidi, tanto tempo
fa - un'azionaccia cos� nera! e dacch� non lo aveva pi� visto, perch� egli
era un povero pecoraio, e stava tutto l'anno in campagna, gli era sempre
rimasto in cuore a quel modo. Ma la prima volta che per sua disgrazia rivide
don Alfonso gi� uomo fatto, Jeli sent� come una botta allo stomaco. Come
s'era fatto grande e bello! con quella catena d'oro sul panciotto, e la
giacca di velluto, e la barba liscia che pareva d'oro anch'essa. Niente
superbo poi, tanto che gli batt� sulla spalla salutandolo per nome. Era
venuto col padrone della fattoria insieme a una brigata d'amici, a fare una
scampagnata nel tempo che si tosavano le pecore; ed era venuta pure Mara
all'improvviso, col pretesto che era incinta e aveva voglia di ricotta
fresca.
Era una bella giornata calda, nei campi biondi, colle siepi in fiore, e i
lunghi filari verdi delle vigne. Le pecore saltellavano e belavano dal
piacere, al sentirsi spogliate da tutta quella lana, e nella cucina le donne
facevano un bel fuoco per cuocere la gran roba che il padrone aveva portato
per il desinare. I signori intanto che aspettavano si erano messi all'ombra,
sotto i carrubi, e facevano suonare i tamburelli e le cornamuse, o ballavano
colle donne della fattoria, chi ne aveva voglia. Jeli mentre andava tosando
le pecore, si sentiva rodere dentro di s�, senza sapere perch�, come uno
spino, un chiodo fitto, una forbice fine che gli lavorasse dentro minuta
minuta, peggio di un veleno. Il padrone aveva ordinato che si sgozzassero
due capretti, e il castrato di un anno, e dei polli, e un tacchino. Insomma
voleva fare le cose in grande, senza risparmio, per farsi onore coi suoi
amici, e mentre tutte quelle bestie schiamazzavano dal dolore, e i capretti
strillavano sotto il coltello, Jeli si sentiva tremare le ginocchia e di
tratto in tratto gli pareva che la lana che andava tosando e l'erba in cui
le pecore saltellavano avvampassero di sangue.
- Non andare! - disse egli a Mara, come don Alfonso la chiamava perch�
venisse a ballare cogli altri. - Non andare, Mara!
- Perch�?
- Non voglio che tu vada! Non andare!
- Lo senti che mi chiamano? -
Egli non disse altro, fattosi brutto come la malanuova, mentre stava curvo
sulle pecore che tosava. Mara si strinse nelle spalle, e se ne and� a
ballare. Ella era rossa ed allegra, cogli occhi neri che sembravano due
stelle, e rideva che le si vedevano i denti bianchi, e tutto l'oro che aveva
indosso le sbatteva e le scintillava sulle guance e sul petto che pareva la
Madonna tale e quale. Jeli un tratto si rizz� sulla vita, colla lunga
forbice in pugno, cos� bianco in viso, cos� bianco come era una volta suo
padre il vaccajo, quando tremava dalla febbre accanto al fuoco, nel
casolare. Guard� don Alfonso, colla bella barba ricciuta, e la giacchetta di
velluto e la catenella d'oro sul panciotto, che prendeva Mara per la mano e
l'invitava a ballare; lo vide che allungava il braccio, quasi per
stringersela al petto, e lei che lo lasciava fare - allora, Signore
perdonategli, non ci vide pi�, e gli tagli� la gola di un sol colpo, proprio
come un capretto.
Pi� tardi, mentre lo conducevano dinanzi al giudice, legato, disfatto, senza
che avesse osato opporre la minima resistenza:
- Come, - diceva - non dovevo ucciderlo nemmeno?... Se mi aveva preso la
Mara!... �
Stanno spesso insieme ed entrambi invidiano qualcosa dell'altro : don
Alfonso ama la vita all'aria aperta e vorrebbe poter fare quello che fa il
giovane pastore, mentre a Jeli piacerebbe saper scrivere, ma "non riesce che
si possa poi ripetere sulle carta quelle parole che egli ha dette".
Parlano spesso assieme e un giorno il pastorello dice al signorino di aver
conosciuto tempo addietro una bella ragazza, Mara di massaro Agrippino , che
abitava anch'ella a Tebiti. In quel periodo gli erano morti anche i genitori
e lei e lo sua famiglia lo avevano aiutato ad andare avanti. Poi per� si
erano spostati in valle a cercare fortuna e lei lo aveva dimenticato. Lui
per� pensa sempre a lei e ne � ancora innamorato.
Arriva il giorno della festa di San Giovanni, in cui Jeli deve vendere i
puledri del padrone. Durante il viaggio verso la valle per� un cavallo
scappa e cade in un burrone, rompendosi le reni. Giunge il fattore e vedendo
che il cavallo � ormai carne da macello, gli spara e consiglia al giovane
pastore di non farsi pi� vedere dal suo padrone.
Stanno spesso insieme ed entrambi invidiano qualcosa dell'altro : don
Alfonso ama la vita all'aria aperta e vorrebbe poter fare quello che fa il
giovane pastore, mentre a Jeli piacerebbe saper scrivere, ma "non riesce che
si possa poi ripetere sulle carta quelle parole che egli ha dette".
Parlano spesso assieme e un giorno il pastorello dice al signorino di aver
conosciuto tempo addietro una bella ragazza, Mara di massaro Agrippino , che
abitava anch'ella a Tebiti. In quel periodo gli erano morti anche i genitori
e lei e lo sua famiglia lo avevano aiutato ad andare avanti. Poi per� si
erano spostati in valle a cercare fortuna e lei lo aveva dimenticato. Lui
per� pensa sempre a lei e ne � ancora innamorato.
Arriva il giorno della festa di San Giovanni, in cui Jeli deve vendere i
puledri del padrone. Durante il viaggio verso la valle per� un cavallo
scappa e cade in un burrone, rompendosi le reni. Giunge il fattore e vedendo
che il cavallo � ormai carne da macello, gli spara e consiglia al giovane
pastore di non farsi pi� vedere dal suo padrone.