Nedda
Il focolare domestico era sempre ai miei occhi una figura
rettorica, buona per incorniciarvi gli affetti pi� miti e sereni,
come il raggio di luna per baciare le chiome bionde; ma sorridevo
allorquando sentivo dirmi che il fuoco del camino � quasi un amico.
Sembravami in verit� un amico troppo necessario, a volte uggioso e
dispotico, che a poco a poco avrebbe voluto prendervi per le mani o
per i piedi, e tirarvi dentro il suo antro affumicato, per baciarvi
alla maniera di Giuda. Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la
legna, n� la volutt� di sentirsi inondare dal riverbero della
fiamma; non comprendevo il linguaggio del cepperello che scoppietta
dispettoso, o brontola fiammeggiando; non avevo l'occhio assuefatto
ai bizzarri disegni delle scintille correnti come lucciole sui
tizzoni anneriti, alle fantastiche figure che assume la legna
carbonizzandosi, alle mille gradazioni di chiaroscuro della fiamma
azzurra e rossa che lambisce quasi timida, accarezza graziosamente,
per divampare con sfacciata petulanza. Quando mi fui iniziato ai
misteri delle molle e del soffietto, m'innamorai con trasporto della
voluttuosa pigrizia del caminetto. Io lascio il mio corpo su quella
poltroncina, accanto al fuoco, come vi lascierei un abito,
abbandonando alla fiamma la cura di far circolare pi� caldo il mio
sangue e di far battere pi� rapido il mio cuore; e incaricando le
faville fuggenti, che folleggiano come farfalle innamorate, di farmi
tenere gli occhi aperti, e di far errare capricciosamente del pari i
miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che svolazza
vagabondo intorno a voi, che vi lascia per correre lontano, e per
gettarvi a vostra insaputa quasi dei soffi di dolce e d'amaro in
cuore, ha attrattive indefinibili. Col sigaro semispento, cogli
occhi socchiusi, le molle fuggendovi dalle dita allentate, vedete
l'altra parte di voi andar lontano, percorrere vertiginose distanze:
vi par di sentirvi passar per i nervi correnti di atmosfere
sconosciute: provate, sorridendo, senza muovere un dito o fare un
passo, l'effetto di mille sensazioni che farebbero incanutire i
vostri capelli, e solcherebbero di rughe la vostra fronte.
E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito, la
fiamma che scoppiettava, troppo vicina forse, mi fece rivedere
un'altra fiamma gigantesca che avevo visto ardere nell'immenso
focolare della fattoria del Pino, alle falde dell'Etna. Pioveva, e
il vento urlava incollerito; le venti o trenta donne che
raccoglievano le olive del podere, facevano fumare le loro vesti
bagnate dalla pioggia dinanzi al fuoco; le allegre, quelle che
avevano dei soldi in tasca, o quelle che erano innamorate,
cantavano; le altre ciarlavano della raccolta delle olive, che era
stata cattiva, dei matrimoni della parrocchia, o della pioggia che
rubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda filava, tanto
perch� la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per
nulla; il grosso cane color di lupo allungava il muso sulle zampe
verso il fuoco, rizzando le orecchie ad ogni diverso ululato del
vento. Poi, nel tempo che cuocevasi la minestra, il pecoraio si mise
a suonare certa arietta montanina che pizzicava le gambe, e le
ragazze incominciarono a saltare sull'ammattonato sconnesso della
vasta cucina affumicata, mentre il cane brontolava per paura che gli
pestassero la coda. I cenci svolazzavano allegramente, e le fave
ballavano anch'esse nella pentola, borbottando in mezzo alla schiuma
che faceva sbuffare la fiamma. Quando le ragazze furono stanche,
venne la volta delle canzonette: - Nedda! Nedda la varannisa!
- sclamarono parecchie. - Dove s'� cacciata la varannisa?
- Son qua - rispose una voce breve dall'angolo pi� buio, dove
s'era accoccolata una ragazza su di un fascio di legna.
- O che fai tu cost�?
- Nulla.
- Perch� non hai ballato?
- Perch� son stanca.
- Cantaci una delle tue belle canzonette.
- No, non voglio cantare.
- Che hai?
- Nulla.
- Ha la mamma che sta per morire, - rispose una delle sue
compagne, come se avesse detto che aveva male ai denti.
La ragazza, che teneva il mento sui ginocchi, alz� su quella che
aveva parlato certi occhioni neri, scintillanti, ma asciutti, quasi
impassibili, e torn� a chinarli, senza aprir bocca, sui suoi piedi
nudi.
Allora due o tre si volsero verso di lei, mentre le altre si
sbandavano ciarlando tutte in una volta come gazze che festeggiano
il lauto pascolo, e le dissero: - O allora perch� hai lasciato tua
madre?
- Per trovar del lavoro.
- Di dove sei?
- Di Viagrande, ma sto a Ravanusa -.
Una delle spiritose, la figlioccia del castaldo, che doveva
sposare il terzo figlio di massaro Jacopo a Pasqua, e aveva una
bella crocetta d'oro al collo, le disse volgendole le spalle: - Eh!
non � lontano! la cattiva nuova dovrebbe recartela proprio l'uccello
-.
Nedda le lanci� dietro un'occhiata simile a quella che il cane
accovacciato dinanzi al fuoco lanciava agli zoccoli che minacciavano
la sua coda.
- No! lo zio Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi! - esclam� come
rispondendo a se stessa.
- Chi � lo zio Giovanni?
- � lo zio Giovanni di Ravanusa; lo chiamano tutti cos�.
- Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovanni, e
non lasciare tua madre, - disse un'altra.
- Lo zio Giovanni non � ricco, e gli dobbiamo diggi� dieci lire! E
il medico? e le medicine? e il pane di ogni giorno? Ah! si fa presto
a dire! - aggiunse Nedda scrollando la testa, e lasciando trapelare
per la prima volta un'intonazione pi� dolente nella voce rude e
quasi selvaggia: - ma a veder tramontare il sole dall'uscio,
pensando che non c'� pane nell'armadio, n� olio nella lucerna, n�
lavoro per l'indomani, la � una cosa assai amara, quando si ha una
povera vecchia inferma, l� su quel lettuccio! -
E scuoteva sempre il capo dopo aver taciuto, senza guardar
nessuno, con occhi aridi, asciutti, che tradivano tale inconscio
dolore, quale gli occhi pi� abituati alle lagrime non saprebbero
esprimere.
- Le vostre scodelle, ragazze! - grid� la castalda scoperchiando
la pentola in aria trionfale.
Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda
distribuiva con paziente parsimonia le mestolate di fave. Nedda
aspettava ultima, colla sua scodelletta sotto il braccio. Finalmente
ci fu posto anche per lei, e la fiamma l'illumin� tutta.
Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell'attitudine
timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe
stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato
profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi
anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati,
appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come avorio, e
una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente
il suo sorriso. Gli occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido
azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera
figliuola raggomitolata sull'ultimo gradino della scala umana, se
non fossero stati offuscati dall'ombrosa timidezza della miseria, o
non fossero sembrati stupidi per una triste e continua
rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o
sviluppate violentemente da sforzi penosi, erano diventate
grossolane, senza esser robuste. Ella faceva da manovale, quando non
aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando; o
portava dei carichi in citt� per conto altrui, o faceva di quegli
altri lavori pi� duri che da quelle parti stimansi inferiori al
c�mpito dell'uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive
per lei erano delle feste, dei giorni di baldoria, un passatempo,
anzich� una fatica. � vero bens� che fruttavano appena la met� di
una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi!
I cenci sovrapposti in forma di vesti rendevano grottesca quella che
avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre. L'immaginazione
pi� vivace non avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad
un'aspra fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o la terra
bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi abituati ad andar
nudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle
spine, o ad indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli.
Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse cotesta creatura
umana; la miseria l'aveva schiacciata da bambina con tutti gli
stenti che deformano e induriscono il corpo, l'anima e
l'intelligenza. - Cos� era stato di sua madre, cos� di sua nonna,
cos� sarebbe stato di sua figlia. - E dei suoi fratelli in Eva
bastava che le rimanesse quel tanto che occorreva per comprenderne
gli ordini, e per prestar loro i pi� umili, i pi� duri servigi.
Nedda sporse la sua scodella, e la castalda ci vers� quello che
rimaneva di fave nella pentola, e non era molto.
- Perch� vieni sempre l'ultima? Non sai che gli ultimi hanno quel
che avanza? - le disse a mo' di compenso la castalda.
La povera ragazza chin� gli occhi sulla broda nera che fumava
nella sua scodella, come se meritasse il rimprovero, e and� pian
pianino perch� il contenuto non si versasse.
- Io te ne darei volentieri delle mie, - disse a Nedda una delle
sue compagne che aveva miglior cuore; - ma se domani continuasse a
piovere... davvero!... oltre a perdere la mia giornata non vorrei
anche mangiare tutto il mio pane.
- Io non ho questo timore! - rispose Nedda con un triste sorriso.
- Perch�?
- Perch� non ho pane di mio. Quel po' che ci avevo, insieme a quei
pochi quattrini, li ho lasciati alla mamma.
- E vivi della sola minestra?
- S�, ci sono avvezza; - rispose Nedda semplicemente.
- Maledetto tempaccio, che ci ruba la nostra giornata! - imprec�
un'altra.
- To', prendi dalla mia scodella.
- Non ho pi� fame; - rispose la varannisa ruvidamente, a
mo' di ringraziamento.
- Tu che bestemmi la pioggia del buon Dio, non mangi forse del
pane anche tu? - disse la castalda a colei che aveva imprecato
contro il cattivo tempo. - E non sai che pioggia d'autunno vuol dire
buon anno? -
Un mormorio generale approv� quelle parole.
- S�, ma intanto son tre buone mezze giornate che vostro marito
toglier� dal conto della settimana! -
Altro mormorio d'approvazione.
- Hai forse lavorato in queste tre mezze, perch� ti s'abbiano a
pagare? - rispose trionfalmente la vecchia.
- � vero! � vero! - risposero le altre, con quel sentimento
istintivo di giustizia che c'� nelle masse, anche quando questa
giustizia danneggia gli individui.
La castalda intuon� il rosario, le avemarie si seguirono col loro
monotono brontolio, accompagnate da qualche sbadiglio. Dopo le
litanie si preg� per i vivi e per i morti, e allora gli occhi della
povera Nedda si riempirono di lagrime, e dimentic� di rispondere
amen.
- Che modo � cotesto di non rispondere amen? - le disse la
vecchia in tuono severo.
- Pensava alla mia povera mamma che � tanto lontana; - balbett�
Nedda timidamente.
Poi la castalda diede la santa notte, prese la lucerna e
and� via. Qua e l�, per la cucina o attorno al fuoco,
s'improvvisarono i giacigli in forme pittoresche. Le ultime fiamme
gettarono vacillanti chiaroscuri sui gruppi e su gli atteggiamenti
diversi. Era una buona fattoria quella, e il padrone non
risparmiava, come tant'altri, fave per la minestra, n� legna pel
focolare, n� strame pei giacigli. Le donne dormivano in cucina, e
gli uomini nel fienile.
Dove poi il padrone � avaro, o la fattoria � piccola, uomini e
donne dormono alla rinfusa, come meglio possono, nella stalla, o
altrove, sulla paglia o su pochi cenci, i figliuoli accanto ai
genitori, e quando il genitore � ricco, e ha una coperta di suo, la
distende sulla sua famigliuola; chi ha freddo si addossa al vicino,
o mette i piedi nella cenere calda, o si copre di paglia, s'ingegna
come pu�; dopo un giorno di fatica, e per ricominciare un altro
giorno di fatica, il sonno � profondo, al pari di un despota
benefico, e la moralit� del padrone non � permalosa che per negare
il lavoro alla ragazza la quale, essendo prossima a divenir madre,
non potesse compiere le sue dieci ore di fatica.
Prima di giorno le pi� mattiniere erano uscite per vedere che
tempo facesse, e l'uscio che sbatteva ad ogni momento sugli stipiti,
spingeva turbini di pioggia e di vento freddissimo su quelli che
intirizziti dormivano ancora. Ai primi albori il castaldo era venuto
a spalancare l'uscio, per svegliare i pigri, giacch� non � giusto
defraudare il padrone di un minuto della giornata lunga dieci ore,
che gli paga il suo bravo tar�, e qualche volta anche tre
carlini (sessantacinque centesimi!) oltre la minestra.
- Piove! - era la parola uggiosa che correva su tutte le bocche,
con accento di malumore. La Nedda, appoggiata all'uscio, guardava
tristemente i grossi nuvoloni color di piombo che gettavano su di
lei le livide tinte del crepuscolo. La giornata era fredda e
nebbiosa; le foglie avvizzite si staccavano strisciando lungo i
rami, e svolazzavano alquanto prima di andare a cadere sulla terra
fangosa, e il rigagnolo s'impantanava in una pozzanghera, dove
s'avvoltolavano voluttuosamente dei maiali; le vacche mostravano il
muso nero attraverso il cancello che chiudeva la stalla, e
guardavano la pioggia che cadeva con occhio malinconico; i passeri,
rannicchiati sotto le tegole della gronda, pigolavano in tono
piagnoloso.
- Ecco un'altra giornata andata a male! - mormor� una delle
ragazze, addentando un grosso pan nero.
- Le nuvole si distaccano dal mare laggi�, - disse Nedda stendendo
il braccio; - verso il mezzogiorno forse il tempo cambier�.
- Per� quel birbo del fattore non ci pagher� che un terzo della
giornata!
- Sar� tanto di guadagnato.
- S�, ma il nostro pane che mangiamo a tradimento?
- E il danno che avr� il padrone delle olive che andranno a male,
e di quelle che si perderanno fra la mota?
- � vero, - disse un'altra.
- Ma pr�vati ad andare a raccogliere una sola di quelle olive che
andranno perdute fra mezz'ora, per accompagnarla al tuo pane
asciutto, e vedrai quel che ti dar� di giunta il fattore!
- � giusto, perch� le olive non sono nostre!
- Ma non sono nemmeno della terra che se le mangia!
- La terra � del padrone, to'! - replic� Nedda trionfante di
logica, con certi occhi espressivi.
- � vero anche questo; - rispose un'altra, la quale non sapeva che
rispondere.
- Quanto a me preferirei che continuasse a piovere tutto il
giorno, piuttosto che stare una mezza giornata carponi in mezzo al
fango, con questo tempaccio, per tre o quattro soldi.
- A te non ti fanno nulla tre o quattro soldi, non ti fanno! -
esclam� Nedda tristemente.
La sera del sabato, quando fu l'ora di aggiustare il conto della
settimana, dinanzi alla tavola del fattore, tutta carica di cartacce
e di bei gruzzoletti di soldi, gli uomini pi� turbolenti furono
pagati i primi, poscia le pi� rissose delle donne, in ultimo, e
peggio, le timide e le deboli. Quando il fattore le ebbe fatto il
suo conto, Nedda venne a sapere che, detratte le due giornate e
mezza di riposo forzato, restava ad avere quaranta soldi.
La povera ragazza non os� aprir bocca. Solo le si riempirono gli
occhi di lagrime.
- E lam�ntati per giunta, piagnucolona! - grid� il fattore, il
quale gridava sempre, da fattore coscienzioso che difende i soldi
del padrone. - Dopo che ti pago come le altre, e s� che sei pi�
povera e pi� piccola delle altre! e ti pago la tua giornata come
nessun proprietario ne paga una simile in tutto il territorio di
Pedara, Nicolosi e Trecastagne! Tre carlini, oltre la minestra!
- Io non mi lamento... - disse timidamente Nedda intascando quei
pochi soldi che il fattore, ad aumentare il valore, aveva
conteggiato per grani. - La colpa � del tempo che � stato cattivo e
mi ha tolto quasi la met� di quel che avrei potuto buscarmi.
- Pigliatela col Signore! - disse il fattore ruvidamente.
- Oh, non col Signore! ma con me che son tanto povera!
- P�gagli intiera la sua settimana, a quella povera ragazza; -
disse al fattore il figliuolo del padrone, il quale assisteva alla
raccolta delle olive. - Non sono che pochi soldi di differenza.
- Non devo darle che quel ch'� giusto!
- Ma se te lo dico io!
- Tutti i proprietari del vicinato farebbero la guerra a voi e a
me se facessimo delle novit�.
- Hai ragione! - rispose il figliuolo del padrone, il quale era un
ricco proprietario, e aveva molti vicini.
Nedda raccolse quei pochi cenci che erano suoi, e disse addio alle
compagne.
- Vai a Ravanusa a quest'ora? - dissero alcune.
- La mamma sta male!
- Non hai paura?
- S�, ho paura per questi soldi che ho in tasca; ma la mamma sta
male, e adesso che non son pi� costretta a star qui a lavorare, mi
sembra che non potrei dormire, se mi fermassi anche stanotte.
- Vuoi che t'accompagni? - le disse in tuono di scherzo il giovane
pecoraio.
- Vado con Dio e con Maria - disse semplicemente la povera
ragazza, prendendo la via dei campi a capo chino.
Il sole era tramontato da qualche tempo e le ombre salivano
rapidamente verso la cima della montagna. Nedda camminava sollecita,
e quando le tenebre si fecero profonde, cominci� a cantare come un
uccelletto spaventato. Ogni dieci passi voltavasi indietro, paurosa,
e allorch� un sasso, smosso dalla pioggia che era caduta,
sdrucciolava dal muricciolo, o il vento le spruzzava bruscamente
addosso a guisa di gragnuola la pioggia raccolta nelle foglie degli
alberi, ella si fermava tutta tremante, come una capretta sbrancata.
Un assiolo la seguiva d'albero in albero col suo canto lamentoso; ed
ella, tutta lieta di quella compagnia, gli faceva il richiamo,
perch� l'uccello non si stancasse di seguirla. Quando passava
dinanzi ad una cappelletta, accanto alla porta di qualche fattoria,
si fermava un istante nella viottola per dire in fretta un'avemaria,
stando all'erta che non le saltasse addosso dal muro di cinta il
cane di guardia, che abbaiava furiosamente; poi partiva di passo pi�
lesto, rivolgendosi due o tre volte a guardare il lumicino che
ardeva in omaggio alla Santa, nello stesso tempo che faceva lume al
fattore, quando doveva tornar tardi dai campi.
Quel lumicino le dava coraggio, e la faceva pregare per la sua
povera mamma. Di tempo in tempo un pensiero doloroso le stringeva il
cuore con una fitta improvvisa, e allora si metteva a correre, e
cantava ad alta voce per stordirsi, o pensava ai giorni pi� allegri
della vendemmia, o alle sere d'estate, quando, con la pi� bella luna
del mondo, si tornava a stormi dalla Piana, dietro la cornamusa che
suonava allegramente; ma il suo pensiero correva sempre l�, dinanzi
al misero giaciglio della sua inferma. Inciamp� in una scheggia di
lava tagliente come un rasoio, e si lacer� un piede; l'oscurit� era
s� fitta che alle svolte della viottola la povera ragazza spesso
urtava contro il muro o la siepe, e cominciava a perder coraggio e a
non saper dove si trovasse. Tutt'a un tratto ud� l'orologio di Punta
che suonava le nove, cos� vicino che i rintocchi sembravano le
cadessero sul capo. Nedda sorrise, quasi un amico l'avesse chiamata
per nome in mezzo ad una folla di stranieri.
Infil� allegramente la via del villaggio, cantando a squarciagola
la sua bella canzone, e tenendo stretti nella mano, dentro la tasca
del grembiule, i suoi quaranta soldi.
Passando dinanzi alla farmacia vide lo speziale ed il notaro tutti
inferraiuolati che giocavano a carte. Alquanto pi� in l� incontr� il
povero matto di Punta, che andava su e gi� da un capo all'altro
della via, colle mani nelle tasche del vestito, canticchiando la
solita canzone che l'accompagna da venti anni, nelle notti d'inverno
e nei meriggi della canicola. Quando fu ai primi alberi del diritto
viale di Ravanusa, incontr� un paio di buoi che venivano a passo
lento ruminando tranquillamente.
- Oh�, Nedda! - grid� una voce nota.
- Sei tu, Janu?
- S�, son io, coi buoi del padrone.
- Da dove vieni? - domand� Nedda senza fermarsi.
- Vengo dalla Piana. Son passato da casa tua; tua madre t'aspetta.
- Come sta la mamma?
- Al solito.
- Che Dio ti benedica! - esclam� la ragazza come se avesse temuto
il peggio, e ricominci� a correre.
- Addio, Nedda! - le grid� dietro Janu.
- Addio, - balbett� da lontano Nedda.
E le parve che le stelle splendessero come soli, che tutti gli
alberi, noti uno per uno, stendessero i rami sulla sua testa per
proteggerla, e i sassi della via le accarezzassero i piedi
indolenziti.
Il domani, ch'era domenica, venne la visita del medico, il quale
concedeva ai suoi malati poveri il giorno che non poteva consacrare
ai suoi poderi. Una triste visita davvero! perch� il buon dottore
non era abituato a far complimenti coi suoi clienti, e nel casolare
di Nedda non c'era anticamera, n� amici di casa ai quali si potesse
annunciare il vero stato dell'inferma.
Nella giornata segu� anche una mesta funzione; venne il curato in
rocchetto, il sagrestano coll'olio santo, e due o tre comari che
borbottavano non so che preci. La campanella del sagrestano
squillava acutamente in mezzo ai campi, e i carrettieri che
l'udivano fermavano i loro muli in mezzo alla strada, e si cavavano
il berretto. Quando Nedda l'ud� per la sassosa viottola tir� su la
coperta tutta lacera dell'inferma, perch� non si vedesse che
mancavano le lenzuola, e pieg� il suo pi� bel grembiule bianco sul
deschetto zoppo, reso fermo con dei mattoni. Poi, mentre il prete
compiva il suo uffici�, and� ad inginocchiarsi fuori dell'uscio,
balbettando macchinalmente delle preci, guardando come trasognata
quel sasso dinanzi alla soglia su cui la sua vecchierella soleva
scaldarsi al sole di marzo, e ascoltando con orecchio distratto i
consueti rumori delle vicinanze, ed il via vai di tutta quella gente
che andava per i propri affari senza avere angustie pel capo. Il
curato part�, ed il sagrestano indugi� invano sull'uscio perch� gli
facessero la solita limosina pei poveri.
Lo zio Giovanni vide a tarda ora della sera la Nedda che correva
sulla strada di Punta.
- Oh�! dove vai a quest'ora?
- Vado per una medicina che ha ordinato il medico -.
Lo zio Giovanni era economo e brontolone.
- Ancora medicine! - borbott�, - dopo che ha ordinato la medicina
dell'olio santo! gi�, loro fanno a met� collo speziale, per
dissanguare la povera gente! Fai a mio modo, Nedda, risparmia quei
quattrini e vatti a star colla tua vecchia.
- Chiss� che non avesse a giovare! - rispose tristemente la
ragazza chinando gli occhi, e affrett� il passo.
Lo zio Giovanni rispose con un brontolio. Poi le grid� dietro: -
Ohe! la varannisa!
- Che volete?
- Ander� io dallo speziale. Far� pi� presto di te, non dubitare.
Intanto non lascerai sola la povera malata -.
Alla ragazza vennero le lagrime agli occhi.
- Che Dio vi benedica! - gli disse, e volle anche mettergli in
mano i denari.
- I denari me li darai poi; - rispose ruvidamente lo zio Giovanni,
e si diede a camminare colle gambe dei suoi vent'anni.
La ragazza torn� indietro e disse alla mamma: - C'� andato lo zio
Giovanni, - e lo disse con voce dolce insolitamente.
La moribonda ud� il suono dei soldi che Nedda posava sul
deschetto, e la interrog� cogli occhi.
- Mi ha detto che glieli dar� poi; - rispose la figlia.
- Che Dio gli paghi la carit�! - mormor� l'inferma, - cos�
resterai senza un quattrino.
- Oh, mamma!
- Quanto gli dobbiamo allo zio Giovanni?
- Dieci lire. Ma non abbiate paura, mamma! Io lavorer�! -
La vecchia la guard� a lungo coll'occhio semispento, e poscia
l'abbracci� senza aprir bocca. Il giorno dopo vennero i becchini, il
sagrestano e le comari. Quando Nedda ebbe acconciato la morta nella
bara, coi suoi migliori abiti, le mise tra le mani un garofano che
aveva fiorito dentro una pentola fessa, e la pi� bella treccia dei
suoi capelli; diede ai becchini quei pochi soldi che le rimanevano
perch� facessero a modo, e non scuotessero tanto la morta per la
viottola sassosa del cimitero; poi rassett� il lettuccio e la casa,
mise in alto, sullo scaffale, l'ultimo bicchiere di medicina, e and�
a sedersi sulla soglia dell'uscio, guardando il cielo.
Un pettirosso, il freddoloso uccelletto del novembre, si mise a
cantare tra le frasche e i rovi che coronavano il muricciuolo di
faccia all'uscio, e saltellando fra le spine e gli sterpi, la
guardava con certi occhietti maliziosi come se volesse dirle qualche
cosa: Nedda pens� che la sua mamma, il giorno innanzi, l'aveva udito
cantare. Nell'orto accanto c'erano delle olive per terra, e le gazze
venivano a beccarle; ella le aveva scacciate a sassate, perch� la
moribonda non ne udisse il funebre gracidare; adesso le guard�
impassibile, e non si mosse; e quando sulla strada vicina passarono
il venditore di lupini, o il vinaio, o i carrettieri, che
discorrevano ad alta voce per vincere il rumore dei loro carri e
delle sonagliere dei loro muli, ella diceva: - costui � il tale,
quegli � il tal altro -. Allorch� suon� l'avemaria, e s'accese la
prima stella della sera, si ramment� che non doveva andar gi� per le
medicine a Punta, ed a misura che i rumori andarono perdendosi nella
via, e le tenebre a calare nell'orto, pens� che non aveva pi�
bisogno d'accendere il lume.
Lo zio Giovanni la trov� ritta sull'uscio.
Ella si era alzata udendo dei passi nella viottola, perch� non
aspettava pi� nessuno.
- Che fai cost�! - le domand� lo zio Giovanni. Ella si strinse
nelle spalle, e non rispose.
Il vecchio si assise accanto a lei, sulla soglia, e non aggiunse
altro.
- Zio Giovanni, - disse la ragazza dopo un lungo silenzio, -
adesso non ho pi� nessuno, e posso andar lontano a cercar lavoro;
partir� per la Roccella, ove dura ancora la raccolta delle olive, e
al ritorno vi restituir� i denari che ci avete imprestati.
- Io non sono venuto a domandarteli i tuoi denari! - le rispose
burbero lo zio Giovanni.
Ella non disse altro, ed entrambi rimasero zitti ad ascoltare
l'assiolo che cantava. Nedda pens� che era forse quello stesso di
due sere innanzi, e sent� gonfiarsi il cuore.
- E del lavoro ne hai? - domand� finalmente lo zio Giovanni.
- No, ma qualche anima caritatevole trover�, che me ne dar�.
- Ho sentito dire che ad Aci Catena pagano le donne abili per
incartare le arance in ragione di una lira al giorno, senza
minestra, e ho subito pensato a te; tu hai gi� fatto quel mestiere
nello scorso marzo, e devi esser pratica. Vuoi andare?
- Magari!
- Bisognerebbe trovarsi domani all'alba al giardino del Merlo,
all'angolo della scorciatoia che conduce a Sant'Anna.
- Posso anche partire stanotte. La mia povera mamma non ha voluto
costarmi molti giorni di riposo.
- Sai dove andare?
- S�, poi mi informer�.
- Domanderai all'oste che sta sulla strada maestra di Valverde, al
di l� del castagneto ch'� sulla sinistra della via. Cercherai di
massaro Vinirannu, e dirai che ti mando io.
- Ci andr�, - disse la povera ragazza.
- Ho pensato che non avresti avuto del pane per la settimana, -
disse lo zio Giovanni cavando un grosso pan nero dalla profonda
tasca del suo vestito, e posandolo sul deschetto.
La Nedda si fece rossa, come se facesse lei quella buona azione.
Poi, dopo qualche istante riprese:
- Se il signor curato dicesse domani la messa per la mamma, io gli
farei due giornate di lavoro, alla raccolta delle fave.
- La messa l'ho fatta dire - rispose lo zio Giovanni.
- Oh! la povera morta pregher� anche per voi! - mormor� la ragazza
coi grossi lagrimoni agli occhi.
Infine, quando lo zio Giovanni se ne and�, e ud� perdersi in
lontananza il rumore de suoi passi pesanti, chiuse l'uscio, e accese
la candela. Allora le parve di trovarsi sola al mondo, ed ebbe paura
di dormire in quel povero lettuccio ove soleva coricarsi accanto
alla sua mamma.
Le ragazze del villaggio sparlarono di lei perch� and� a
lavorare subito il giorno dopo la morte della sua vecchia, e perch�
non aveva messo il bruno; e il signor curato la sgrid� forte, quando
la domenica successiva la vide sull'uscio del casolare, mentre si
cuciva il grembiule che aveva fatto tingere in nero, unico e povero
segno di lutto, e prese argomento da ci� per predicare in chiesa
contro il mal uso di non osservare le feste e le domeniche.
La povera fanciulla, per farsi perdonare il suo grosso peccato,
and� a lavorare due giorni nel campo del curato, acci� dicesse la
messa per la sua morta il primo luned� del mese; e la domenica,
quando le fanciulle, vestite dei loro begli abiti da festa, si
tiravano in l� sul banco, o ridevano di lei, e i giovanotti,
all'uscire di chiesa, le dicevano facezie grossolane, ella si
stringeva nella sua mantellina tutta lacera, e affrettava il passo,
chinando gli occhi, senza che un pensiero amaro venisse a turbare la
serenit� della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di
rimprovero che si fosse meritato: - Son cos� povera! - oppure,
guardando le sue due buone braccia: - Benedetto il Signore che me le
ha date! - e tirava via sorridendo.
Una sera - aveva spento da poco il lume - ud� nella viottola
una nota voce che cantava a squarciagola, e con la melanconica
cadenza orientale delle canzoni contadinesche: Picca cci voli ca
la vaju' a viju. A la mi' amanti di l'arma mia!...
- � Janu! - disse sottovoce, mentre il cuore le balzava dal petto
come un uccello spaventato, e cacci� la testa fra le coltri.
E il domani, quando apr� la finestra, vide Janu col suo bel
vestito nuovo di fustagno, nelle cui tasche cercavano entrare per
forza le sue grosse mani nere e incallite al lavoro, con un bel
fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino con
civetteria dalla scarsella del farsetto, il quale si godeva il bel
sole d'aprile appoggiato al muricciolo dell'orto.
- Oh, Janu! - diss'ella, come se non ne sapesse proprio nulla.
- Salutamu! - esclam� il giovane col suo pi� grosso
sorriso.
- O che fai qui?
- Torno dalla Piana -.
La fanciulla sorrise, e guard� le lodole che saltellavano ancora
sul verde per l'ora mattutina.
- Sei tornato colle lodole.
- Le lodole vanno dove trovano il miglio, ed io dove c'� del pane.
- O come?
- Il padrone m'ha licenziato.
- O perch�?
- Perch� avevo preso le febbri laggi�, e non potevo pi� lavorare
che tre giorni per settimana.
- Si vede, povero Janu!
- Maledetta Piana! - imprec� Janu stendendo il braccio verso la
pianura.
- Sai, la mamma!... - disse Nedda.
- Me l'ha detto lo zio Giovanni -.
Ella non aggiunse altro, e guard� l'orticello al di l� del
muricciolo. I sassi umidicci fumavano; le gocce di rugiada
luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorli fioriti sussurravano
lieve lieve e lasciavano cadere sul tettuccio del casolare i loro
fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria; una passera,
petulante e sospettosa nel tempo istesso, schiamazzava sulla gronda,
e minacciava a suo modo Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso
sospetto, di insidiare al suo nido, del quale spuntavano tra le
tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campana della chiesuola
chiamava a messa.
- Come fa piacere a sentire la nostra campana! - esclam�
Janu.
- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte, - disse Nedda facendosi
rossa, e zappando con un coccio la terra della pentola che conteneva
i suoi fiori.
Egli si volse in l�, ed accese la pipa, come deve fare un uomo.
- Addio, vado a messa! - disse bruscamente la Nedda, tirandosi
indietro dopo un lungo silenzio.
- Prendi, ti ho portato codesto dalla citt� - le disse il giovane
sciorinando il suo bel fazzoletto di seta.
- Oh! com'� bello! ma questo non fa per me!
- O perch�? se non ti costa nulla! - rispose il giovanotto con
logica contadinesca.
Ella si fece rossa, come se la grossa spesa le avesse dato idea
dei caldi sentimenti del giovane, gli lanci�, sorridente,
un'occhiata fra carezzevole e selvaggia, e scapp� in casa; e
allorch� ud� i grossi scarponi di lui sui sassi della viottola, fece
capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se ne andava.
Alla messa le ragazze del villaggio poterono vedere il bel
fazzoletto di Nedda, dove c'erano stampate delle rose che si
sarebbero mangiate, e su cui il sole, scintillante dalle
invetriate della chiesuola, mandava i suoi raggi pi� allegri. E
quand'ella pass� dinanzi a Janu, il quale stava presso il primo
cipresso del sacrato, colle spalle al muro e fumando nella sua pipa
intagliata, ella sent� gran caldo al viso, e il cuore che le faceva
un gran battere in petto, e sgusci� via alla lesta. Il giovane le
tenne dietro fischiettando, e la guardava a camminare svelta e senza
voltarsi indietro, colla sua veste nuova di fustagno che faceva
delle belle pieghe pesanti, le sue brave scarpette, e la sua
mantellina fiammante. - La povera formica, or che la mamma stando in
paradiso non l'era pi� a carico, era riuscita a farsi un po' di
corredo col suo lavoro. - Fra tutte le miserie del povero c'� anche
quella del sollievo che arrecano le perdite pi� dolorose al cuore!
Nedda sentiva dietro di s�, con gran piacere o gran sgomento (non
sapeva davvero che cosa fosse delle due), il passo pesante del
giovanotto, e guardava sulla polvere biancastra dello stradale,
tutto diritto e inondato di sole, un'altra ombra, la quale di tanto
in tanto si distaccava dalla sua. Tutt'a un tratto, quando fu in
vista della sua casuccia, senza alcun motivo, si diede a correre
come una cerbiatta spaventata. Janu la raggiunse, ella si appoggi�
all'uscio, tutta rossa e sorridente, e gli allung� un pugno sul
dorso. - To'! -
Egli ripicchi� con galanteria un po' manesca.
- O quanto l'hai pagato il tuo fazzoletto? - domand� Nedda
togliendoselo dal capo per sciorinarlo al sole e contemplarlo in
aria festosa.
- Cinque lire, - rispose Janu un po' pettoruto.
Ella sorrise senza guardarlo; ripieg� accuratamente il fazzoletto,
studiando i segni che avevano lasciato le pieghe, e si mise a
canticchiare una canzonetta che non soleva tornarle in bocca da
lungo tempo.
La pentola rotta, posta sul davanzale, era ricca di garofani in
boccio.
- Che peccato, - disse Nedda, - che non ce ne siano di fioriti! -
e spicc� il pi� grosso bocciolo e glielo diede.
- Che vuoi che ne faccia se non � sbocciato? - diss'egli senza
comprenderla, e lo butt� via. Ella si volse in l�.
- E adesso dovrai andare a lavorare? - gli domand� dopo qualche
secondo.
Egli alz� le spalle: - Dove andrai tu domani!
- A Bongiardo.
- Del lavoro ne trover�; ma bisognerebbe che non tornassero le
febbri.
- Bisognerebbe non star fuori la notte a cantare dietro gli usci!
- gli diss'ella tutta rossa, dondolandosi sullo stipite dell'uscio
con certa aria civettuola.
- Non lo far� pi�, se tu non vuoi -.
Ella gli diede un buffetto, e scapp� dentro.
- Oh�! Janu! - chiam� dalla strada lo zio Giovanni
- Vengo! - grid� Janu; e alla Nedda: - Verr� anch'io a Bongiardo,
se mi vogliono.
- Ragazzo mio, - gli disse lo zio Giovanni quando fu sulla strada,
- la Nedda non ha pi� nessuno, e tu sei un bravo giovinotto; ma
insieme non ci state proprio bene. Hai inteso?
- Ho inteso, zio Giovanni; ma se Dio vuole, dopo la messe, quando
avr� da banda quel po' di quattrini che ci vogliono, insieme ci
staremo benissimo -.
Nedda, che aveva udito da dietro il muricciolo, si fece rossa,
sebbene nessuno la vedesse.
L'indomani, prima di giorno, quand'ella si affacci� all'uscio per
partire, trov� Janu, col suo fagotto infilato al bastone.
- O dove vai? - gli domand�.
- Vengo anch'io a Bongiardo, a cercar lavoro -.
I passerotti, che si erano svegliati alle voci mattutine,
cominciarono a pigolare dietro il nido. Janu infil� al suo bastone
anche il fagotto di Nedda, e s'avviarono alacremente, mentre il
cielo si tingeva all'orizzonte delle prime fiamme del giorno, e il
venticello diveniva frizzante.
A Bongiardo c'era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il
prezzo del vino era salito, e un ricco proprietario faceva dissodare
un gran tratto di chiuse da mettere a vigneti. Le chiuse
rendevano 1200 lire all'anno in lupini ed olio; messe a vigneto
avrebbero dato, fra cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene
solo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto met� della
spesa. Era un'eccellente speculazione, come si vede, e il
proprietario pagava, di buon grado, una gran giornata ai contadini
che lavoravano al dissodamento, 30 soldi agli uomini, e 20 alle
donne, senza minestra; � vero che il lavoro era un po' faticoso, e
che ci si rimettevano anche quei pochi cenci che formavano il
vestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar
20 soldi tutti i giorni.
Il soprastante s'accorse che Janu, riempiendo i corbelli di sassi,
lasciava sempre il pi� leggiero per Nedda, e minacci� di cacciarlo
via. Il povero diavolo, tanto per non perdere il pane, dovette
accontentarsi di discendere dai 30 ai 20 soldi.
Il male era che quei poderi quasi incolti mancavano di fattoria, e
la notte uomini e donne dovevano dormire alla rinfusa nell'unico
casolare senza porta, e s� che le notti erano piuttosto fredde. Janu
diceva d'aver sempre caldo, e dava a Nedda la sua casacca di
fustagno perch� si coprisse per bene. La domenica poi tutta la
brigata si metteva in cammino per vie diverse.
Janu e Nedda avevano preso le scorciatoie, e andavano attraverso
il castagneto chiacchierando, ridendo, cantando a riprese, e facendo
risuonare nelle tasche i grossi soldoni. Il sole era caldo come in
giugno; i prati lontani cominciavano ad ingiallire, le ombre degli
alberi avevano qualche cosa di festevole, e l'erba che vi cresceva
era ancora verde e rugiadosa.
Verso il mezzogiorno sedettero al rezzo, per mangiare il loro pan
nero e le loro cipolle bianche. Janu aveva anche del vino, del buon
vino di Mascali che regalava a Nedda senza risparmio, e la povera
ragazza, la quale non c'era avvezza, si sentiva la lingua grossa, e
la testa assai pesante. Di tratto in tratto si guardavano e ridevano
senza saper perch�.
- Se fossimo marito e moglie si potrebbe tutti i giorni mangiare
il pane e bere il vino insieme; - disse Janu con la bocca piena, e
Nedda chin� gli occhi, perch� egli la guardava in un certo modo.
Regnava il profondo silenzio del meriggio; le pi� piccole foglie
erano immobili; le ombre erano rade; c'era per l'aria una calma, un
tepore, un ronzio di insetti che pesava voluttuosamente sulle
palpebre. Ad un tratto una corrente d'aria fresca, che veniva dal
mare, fece sussurrare le cime pi� alte de' castagni.
- L'annata sar� buona pel povero e pel ricco, - disse Janu, - e se
Dio vuole alla messe un po' di quattrini metter� da banda... e se tu
mi volessi bene!... - e le porse il fiasco.
- No, non voglio pi� bere. - disse ella colle guance tutte rosse.
- O perch� ti fai rossa? - diss'egli ridendo.
- Non te lo voglio dire.
- Perch� hai bevuto!
- No!
- Perch� mi vuoi bene? -
Ella gli diede un pugno sull'omero e si mise a ridere.
Da lontano si ud� il raglio di un asino che sentiva l'erba fresca.
- Sai perch� ragliano gli asini? - domand� Janu.
- Dillo tu che lo sai.
- S� che lo so; ragliano perch� sono innamorati, - disse egli con
un riso grossolano, e la guard� fiso.
Ella chin� gli occhi come se ci vedesse delle fiamme, e le sembr�
che tutto il vino che aveva bevuto le montasse alla testa, e tutto
l'ardore di quel cielo di metallo le penetrasse nelle vene.
- Andiamo via! - esclam� corrucciata, scuotendo la testa pesante.
- Che hai?
- Non lo so, ma andiamo via!
- Mi vuoi bene? -
Nedda chin� il capo.
- Vuoi essere mia moglie? -
Ella lo guard� serenamente, e gli strinse forte la mano callosa
nelle sue mani brune, ma si alz� sui ginocchi che le tremavano per
andarsene. Egli la trattenne per le vesti, tutto stravolto, e
balbettando parole sconnesse, come non sapendo quel che si facesse.
Allorch� si ud� nella fattoria vicina il gallo che cantava, Nedda
balz� in piedi di soprassalto, e si guard� attorno spaurita.
- Andiamo via! Andiamo via! - disse tutta rossa e frettolosa.
Quando fu per svoltare l'angolo della sua casuccia si ferm� un
momento trepidante, quasi temesse di trovare la sua vecchiarella
sull'uscio deserto da sei mesi.
Venne la Pasqua, la gaia festa dei campi coi suoi fal�
giganteschi, colle sue allegre processioni fra i prati verdeggianti
e sotto gli alberi carichi di fiori, colla chiesuola parata a festa,
gli usci delle casipole incoronati di festoni, e le ragazze colle
belle vesti nuove d'estate. Nedda fu vista allontanarsi piangendo
dal confessionario, e non comparve fra le fanciulle inginocchiate
dinanzi al coro che aspettavano la comunione. Da quel giorno nessuna
ragazza onesta le rivolse pi� la parola, e quando andava a messa non
trovava posto al solito banco, e bisognava che stesse tutto il tempo
ginocchioni: - se la vedevano piangere, pensavano a chiss� che
peccatacci, e le volgevano le spalle inorridite: - e quelle che le
davano da lavorare, ne approfittavano per scemarle il prezzo della
giornata.
Ella aspettava il suo fidanzato che era andato a mietere alla
Piana, raggruzzolare i quattrini che ci volevano a mettere su un po'
di casa, e a pagare il signor curato.
Una sera, mentre filava, ud� fermarsi all'imboccatura della
viottola un carro da buoi, e si vide comparir dinanzi Janu pallido e
contraffatto.
- Che hai? - gli disse.
- Son stato ammalato. Le febbri mi ripresero laggi�, in quella
maledetta Piana; ho perso pi� di una settimana di lavoro, ed ho
mangiato quei pochi soldi che avevo fatto -.
Ella rientr� in fretta, scuc� il pagliericcio, e volle dargli quel
piccolo gruzzolo che aveva legato in fondo ad una calza.
- No, - diss'egli. - Domani andr� a Mascalucia per la rimondatura
degli ulivi, e non avr� bisogno di nulla. Dopo la rimondatura ci
sposeremo -.
Egli aveva l'aria triste facendole questa promessa, e stava
appoggiato allo stipite, col fazzoletto avvolto attorno al capo, e
guardandola con certi occhi luccicanti.
- Ma tu hai la febbre! - gli disse Nedda.
- S�, ma ora che son qui mi lascer�; ad ogni modo non mi coglie
che ogni tre giorni -.
Ella lo guardava senza parlare, e sentiva stringersi il cuore,
vedendolo cos� pallido e dimagrato. - E potrai reggerti sui rami
alti? - gli domand�.
- Dio ci penser�! - rispose Janu. - Addio, non posso far aspettare
il carrettiere che mi ha dato un posto sul suo carro dalla Piana sin
qui. A rivederci presto! - e non si moveva. Quando finalmente se ne
and�, ella lo accompagn� sino alla strada maestra, e lo vide
allontanarsi, senza una lagrima, sebbene le sembrasse che stesse a
vederlo partire per sempre; il cuore ebbe un'altra strizzatina, come
una spugna non spremuta abbastanza - nulla pi�, ed egli la salut�
per nome alla svolta della via.
Tre giorni dopo ud� un gran cicaleccio per la strada. Si
affacci� al muricciolo, e vide in mezzo ad un crocchio di contadini
e di comari Janu disteso su di una scala a piuoli, pallido come un
cencio lavato, e colla testa fasciata da un fazzoletto tutto sporco
di sangue. Lungo la via dolorosa, prima di giungere al suo casolare,
egli, tenendola per mano, le narr� come, trovandosi cos� debole per
le febbri, era caduto da un'alta cima, e s'era concio in quel modo.
- Il cuore te lo diceva: - mormorava con un triste sorriso. Ella
l'ascoltava coi suoi grand'occhi spalancati, pallida come lui e
tenendolo per mano. Il domani egli mor�.
Allora Nedda, sentendo muoversi dentro di s� qualcosa che quel
morto le lasciava come un triste ricordo, volle correre in chiesa a
pregare per lui la Vergine Santa. Sul sacrato incontr� il prete che
sapeva la sua vergogna, si nascose il viso nella mantellina e torn�
indietro derelitta.
Adesso, quando cercava del lavoro, le ridevano in faccia, non per
schernire la ragazza colpevole, ma perch� la povera madre non poteva
pi� lavorare come prima. Dopo i primi rifiuti, e le prime risate,
ella non os� cercare pi� oltre, e si chiuse nella sua casipola, al
pari di un uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suo nido.
Quei pochi soldi raccolti in fondo alla calza se ne andarono l'un
dopo l'altro, e dietro ai soldi la bella veste nuova, e il bel
fazzoletto di seta. Lo zio Giovanni la soccorreva per quel poco che
poteva, con quella carit� indulgente e riparatrice senza la quale la
morale del curato � ingiusta e sterile, e le imped� cos� di morire
di fame. Ella diede alla luce una bambina rachitica e stenta; quando
le dissero che non era un maschio pianse come aveva pianto la sera
in cui aveva chiuso l'uscio del casolare dietro al cataletto che se
ne andava, e s'era trovata senza la mamma; ma non volle che la
buttassero alla Ruota.
- Povera bambina! Che incominci a soffrire almeno il pi� tardi che
sia possibile! - disse.
Le comari la chiamavano sfacciata, perch� non era stata ipocrita,
e perch� non era snaturata. Alla povera bambina mancava il latte,
giacch� alla madre scarseggiava il pane. Ella deper� rapidamente, e
invano Nedda tent� spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del
suo seno. Una sera d'inverno, sul tramonto, mentre la neve fioccava
sul tetto, e il vento scuoteva l'uscio mal chiuso, la povera
bambina, tutta fredda, livida, colle manine contratte, fiss� gli
occhi vitrei su quelli ardenti della madre, diede un guizzo, e non
si mosse pi�.
Nedda la scosse, se la strinse al seno con impeto selvaggio, tent�
di scaldarla coll'alito e coi baci, e quando s'accorse che era
proprio morta, la depose sul letto dove aveva dormito sua madre, e
le s'inginocchi� davanti, cogli occhi asciutti e spalancati fuor di
misura.
- Oh! benedette voi che siete morte! - esclam�. - Oh! benedetta
voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla
soffrire come me! - |