Saru Argentu, inteso Tarar�,
appena introdotto nella gabbia della squallida Corte
d'Assise, per prima cosa cav� di tasca un ampio
fazzoletto rosso di cotone a fiorami gialli, e lo stese
accuratamente su uno dei gradini della panca, per non
sporcarsi, sedendo, l'abito delle feste, di greve panno
turchino. Nuovo l'abito, e nuovo il fazzoletto.
Seduto, volse la faccia e
sorrise a tutti i contadini che gremivano, dalla
ringhiera in gi�, la parte dell'aula riservata al
pubblico. L'irto grugno raschioso, raso di fresco, gli
dava l'aspetto d'uno scimmione. Gli pendevano dagli
orecchi due catenaccetti d'oro.
Dalla folla di tutti quei
contadini si levava denso, ammorbante, un sito di stalla
e di sudore, un lezzo caprino, un tanfo di bestie
inzafardate, che accorava.
Qualche donna, vestita di
nero, con la mantellina di panno tirata fin sopra gli
orecchi, si mise a piangere perdutamente alla vista
dell'imputato, il quale invece, guardando dalla gabbia,
seguitava a sorridere e ora alzava una scabra manaccia
terrosa, ora piegava il collo di qua e di l�, non
propriamente a salutare, ma a fare a questo e a quello
degli amici e compagni di lavoro un cenno di
riconoscimento, con una certa compiacenza.
Perch� per lui era quasi una
festa, quella, dopo tanti e tanti mesi di carcere
preventivo. E s'era parato come di domenica, per far
buona comparsa. Povero era, tanto che non aveva potuto
neanche pagarsi un avvocato, e ne aveva uno d'ufficio;
ma per quello che dipendeva da lui, ecco, pulito almeno,
sbarbato, pettinato e con l'abito delle feste.
Dopo le prime formalit�,
costituita la giuria, il presidente invit� l'imputato ad
alzarsi.
- Come vi chiamate?
- Tarar�.
- Questo � un nomignolo. Il
vostro nome?
- Ah, sissignore. Argentu,
Saru Argentu, Eccellenza. Ma tutti mi conoscono per
Tarar�.
- Va bene. Quant'anni avete?
- Eccellenza, non lo so.
- Come non lo sapete?
Tarar� si strinse nelle
spalle e signific� chiaramente con l'atteggiamento del
volto, che gli sembrava quasi una vanit�, ma proprio
superflua, il computo degli anni. Rispose:
- Abito in campagna,
Eccellenza. Chi ci pensa?
Risero tutti, e il
presidente chin� il capo a cercare nelle carte che gli
stavano aperte davanti:
- Siete nato nel 1873. Avete
dunque trentanove anni.
Tarar� apr� le braccia e si
rimise:
- Come comanda Vostra
Eccellenza.
Per non provocare nuove
risate, il presidente fece le altre interrogazioni,
rispondendo da s� a ognuna: - � vero? - � vero? - Infine
disse:
- Sedete. Ora sentirete dal
signor cancelliere di che cosa siete accusato.
Il cancelliere si mise a
leggere l'atto d'accusa; ma a un certo punto dovette
interrompere la lettura, perch� il capo dei giurati
stava per venir meno a causa del gran lezzo ferino che
aveva empito tutta l'aula. Bisogn� dar ordine agli
uscieri che fossero spalancate porte e finestre.
Apparve allora lampante e
incontestabile la superiorit� dell'imputato di fronte a
coloro che dovevano giudicarlo.
Seduto su quel suo
fazzolettone rosso fiammante, Tarar� non avvertiva
affatto quel lezzo, abituale al suo naso, e poteva
sorridere; Tarar� non sentiva caldo, pur vestito com'era
di quel greve abito di panno turchino; Tarar� infine non
aveva alcun fastidio dalle mosche, che facevano scattare
in gesti irosi i signori giurati, il procuratore del re,
il presidente, il cancelliere, gli avvocati, gli
uscieri, e finanche i carabinieri. Le mosche gli si
posavano su le mani, gli svolavano ronzanti sonnacchiose
attorno alla faccia, gli s'attaccavano voraci su la
fronte, agli angoli della bocca e perfino a quelli degli
occhi: non le sentiva, non le cacciava, e poteva
seguitare a sorridere.
Il giovane avvocato
difensore, incaricato d'ufficio, gli aveva detto che
poteva essere sicuro dell'assoluzione, perch� aveva
ucciso la moglie, di cui era provato l'adulterio.
Nella beata incoscienza
delle bestie, non aveva neppur l'ombra del rimorso.
Perch� dovesse rispondere di ci� che aveva fatto, di una
cosa, cio�, che non riguardava altri che lui, non
capiva. Accettava l'azione della giustizia, come una
fatalit� inovviabile.
Nella vita c'era la
giustizia, come per la campagna le cattive annate.
E la giustizia, con tutto
quell'apparato solenne di scanni maestosi, di tocchi, di
toghe e di pennacchi, era per Tarar� come quel nuovo
grande molino a vapore, che s'era inaugurato con gran
festa l'anno avanti. Visitandone con tanti altri curiosi
il macchinario, tutto quell'ingranaggio di ruote, quel
congegno indiavolato di stantuffi e di pulegge, Tarar�,
l'anno avanti, s'era sentita sorgere dentro e a mano a
mano ingrandire, con lo stupore, la diffidenza. Ciascuno
avrebbe portato il suo grano a quel molino; ma chi
avrebbe poi assicurato agli avventori che la farina
sarebbe stata quella stessa del grano versato? Bisognava
che ciascuno chiudesse gli occhi e accettasse con
rassegnazione la farina che gli davano.
Cos� ora, con la stessa
diffidenza, ma pur con la stessa rassegnazione, Tarar�
recava il suo caso nell'ingranaggio della giustizia.
Per conto suo, sapeva che
aveva spaccato la testa alla moglie con un colpo
d'accetta, perch�, ritornato a casa fradicio e
inzaccherato, una sera di sabato, dalla campagna sotto
il borgo di Montaperto nella quale lavorava tutta la
settimana da garzone, aveva trovato uno scandalo grosso
nel vicolo dell'Arco di Spoto, ove abitava, su le alture
di San Gerlando.
Poche ore avanti, sua moglie
era stata sorpresa in flagrante adulterio insieme col
cavaliere don Agatino Fior�ca.
La signora donna Graziella
Fior�ca, moglie del cavaliere, con le dita piene
d'anelli, le gote tinte di uva turca, e tutta
infiocchettata come una di quelle mule che recano a suon
di tamburo un carico di frumento alla chiesa, aveva
guidato lei stessa in persona il delegato di pubblica
sicurezza Span� e due guardie di questura, l� nel vicolo
dell'Arco di Spoto, per la constatazione dell'adulterio.
Il vicinato non aveva potuto
nascondere a Tarar� la sua disgrazia, perch� la moglie
era stata trattenuta in arresto, col cavaliere, tutta la
notte. La mattina seguente Tarar�, appena se la era
vista ricomparire zitta zitta davanti all'uscio di
strada, prima che le vicine avessero tempo d'accorrere,
le era saltato addosso con l'accetta in pugno e le aveva
spaccato la testa.
Chi sa che cosa stava a
leggere adesso il signor cancelliere...
Terminata la lettura, il
presidente fece alzare di nuovo l'imputato per
l'interrogatorio.
- Imputato Argentu, avete
sentito di che siete accusato?
Tarar� fece un atto appena
appena con la mano e, col suo solito sorriso, rispose:
- Eccellenza, per dire la
verit�, non ci ho fatto caso.
Il presidente allora lo
redargu� con molta severit�:
- Siete accusato d'aver
assassinato con un colpo d'accetta, la mattina del 10
dicembre 1911, Rosaria Femminella, vostra moglie. Che
avete a dire in vostra discolpa? Rivolgetevi ai signori
giurati e parlate chiaramente e col dovuto rispetto alla
giustizia.
Tarar� si rec� una mano al
petto, per significare che non aveva la minima
intenzione di mancare di rispetto alla giustizia. Ma
tutti, ormai, nell'aula, avevano disposto l'animo
all'ilarit� e lo guardavano col sorriso preparato in
attesa d'una sua risposta. Tarar� lo avvert� e rimase un
pezzo sospeso e smarrito.
- Su, dite, insomma, - lo
esort� il presidente. - Dite ai signori giurati quel che
avete da dire.
Tarar� si strinse nelle
spalle e disse:
- Ecco, Eccellenza. Loro
signori sono alletterati, e quello che sta scritto in
codeste carte, lo avranno capito. Io abito in campagna,
Eccellenza. Ma se in codeste carte sta scritto, che ho
ammazzato mia moglie, � la verit�. E non se ne parla
pi�.
Questa volta scoppi� a
ridere, senza volerlo, anche il presidente.
- Non se ne parla pi�?
Aspettate e sentirete, caro, se se ne parler�...
- Intendo dire, Eccellenza,
- spieg� Tarar�, riponendosi la mano sul petto, -
intendo dire, che l'ho fatto, ecco; e basta. L'ho
fatto... s�, Eccellenza, mi rivolgo ai signori giurati,
l'ho fatto propriamente, signori giurati, perch� non ne
ho potuto far di meno, ecco; e basta.
- Seriet�! seriet�, signori!
seriet�! - si mise a gridare il presidente, scrollando
furiosamente il campanello. - Dove siamo? Qua siamo in
una Corte di giustizia! E si tratta di giudicare un uomo
che ha ucciso! Se qualcuno si attenta un'altra volta a
ridere, far� sgombrare l'aula! E mi duole di dover
richiamare anche i signori giurati a considerare la
gravit� del loro compito!
Poi, rivolgendosi con fiero
cipiglio all'imputato:
- Che intendete dire, voi,
che non ne avete potuto far di meno?
Tarar�, sbigottito in mezzo
al violento silenzio sopravvenuto, rispose:
- Intendo dire, Eccellenza,
che la colpa non � stata mia.
- Ma come non � stata
vostra?
Il giovane avvocato,
incaricato d'ufficio, credette a questo punto suo dovere
ribellarsi contro il tono aggressivo assunto dal
presidente verso il giudicabile.
- Perdoni, signor
presidente, ma cos� finiremo d'imbalordire questo pover
uomo! Mi pare ch'egli abbia ragione di dire che la colpa
non � stata sua, ma della moglie che lo tradiva col
cavalier Fior�ca. � chiaro!
- Signor avvocato, prego, -
ripigli�, risentito, il presidente. - Lasciamo parlare
l'accusato. A voi, Tarar�: intendete dir questo?
Tarar� neg� prima con un
gesto del capo, poi con la voce:
- Nossignore, Eccellenza. La
colpa non � stata neanche di quella povera disgraziata.
La colpa � stata della signora... della moglie del
signor cavaliere Fior�ca, che non ha voluto lasciare le
cose quiete. Che c'entrava, signor presidente, andare a
fare uno scandalo cos� grande davanti alla porta di casa
mia, che finanche il selciato della strada, signor
presidente, � diventato rosso dalla vergogna a vedere un
degno galantuomo, il cavaliere Fior�ca, che sappiamo
tutti che signore �, scovato l�, in maniche di camicia e
coi calzoni in mano, signor presidente, nella tana d'una
sporca contadina? Dio solo sa, signor presidente, quello
che siamo costretti a fare per procurarci un tozzo di
pane!
Tarar� disse queste cose con
le lagrime agli occhi e nella voce, scotendo le mani
innanzi al petto, con le dita intrecciate, mentre le
risate scoppiavano irrefrenabili in tutta l'aula e molti
anche si torcevano in convulsione. Ma, pur tra le risa,
il presidente colse subito a volo la nuova posizione in
cui l'imputato veniva a mettersi di fronte alla legge,
dopo quanto aveva detto. Se n'accorse anche il giovane
avvocato difensore, e di scatto, vedendo crollare tutto
l'edificio della sua difesa, si volt� verso la gabbia a
far cenno a Tarar� di fermarsi.
Troppo tardi. Il presidente,
tornando a scampanellare furiosamente, domand�
all'imputato:
- Dunque voi confessate che
vi era gi� nota la tresca di vostra moglie col cavaliere
Fior�ca?
- Signor presidente, -
insorse l'avvocato difensore, balzando in piedi, -
scusi... ma io cos�... io cos�...
- Che cos� e cos�! - lo
interruppe, gridando, il presidente. - Bisogna che io
metta in chiaro questo, per ora!
- Mi oppongo alla domanda,
signor presidente!
- Lei non pu� mica opporsi,
signor avvocato. L'interrogatorio lo faccio io!
- E io allora depongo la
toga!
- Ma faccia il piacere,
avvocato! Dice sul serio? Se l'imputato stesso
confessa...
- Nossignore, nossignore!
Non ha confessato ancora nulla, signor presidente! Ha
detto soltanto che la colpa, secondo lui, � della
signora Fior�ca, che � andata a far uno scandalo innanzi
alla sua abitazione.
- Va bene! E pu� lei
impedirmi, adesso, di domandare all'imputato se gli era
nota la tresca della moglie col Fior�ca?
Da tutta l'aula si levarono,
a questo punto, verso Tarar� pressanti, violenti cenni
di diniego. Il presidente mont� su tutte le furie e
minacci� di nuovo lo sgombro dell'aula.
- Rispondete, imputato
Argentu: vi era nota, s� o no, la tresca di vostra
moglie?
Tarar�, smarrito,
combattuto, guard� l'avvocato, guard� l'uditorio, e alla
fine:
- Debbo... debbo dire di no?
- balbett�.
- Ah, broccolo! - grid� un
vecchio contadino dal fondo dell'aula.
Il giovane avvocato diede un
pugno sul banco e si volt�, sbuffando, a sedere da
un'altra parte.
- Dite la verit�, nel vostro
stesso interesse! - esort� il presidente l'imputato.
- Eccellenza, dico la
verit�, - riprese Tarar�, questa volta con tutt'e due le
mani sul petto. - E la verit� � questa: che era come se
io non lo sapessi! Perch� la cosa... s�, Eccellenza, mi
rivolgo ai signori giurati; perch� la cosa, signori
giurati, era tacita, e nessuno dunque poteva venirmi a
sostenere in faccia che io la sapevo. Io parlo cos�,
perch� abito in campagna, signori giurati. Che pu�
sapere un pover uomo che butta sangue in campagna dalla
mattina del luned� alla sera del sabato? Sono disgrazie
che possono capitare a tutti! Certo, se in campagna
qualcuno fosse venuto a dirmi: �Tarar�, bada che tua
moglie se l'intende col cavalier Fior�ca�, io non ne
avrei potuto fare di meno, e sarei corso a casa con
l'accetta a spaccarle la testa. Ma nessuno era mai
venuto a dirmelo, signor presidente; e io, a ogni buon
fine, se mi capitava qualche volta di dover ritornare al
paese in mezzo della settimana, mandavo avanti qualcuno
per avvertirne mia moglie. Questo, per far vedere a
Vostra Eccellenza, che la mia intenzione era di non fare
danno. L'uomo � uomo, Eccellenza, e le donne sono donne.
Certo l'uomo deve considerare la donna, che l'ha nel
sangue d'essere traditora, anche senza il caso che resti
sola, voglio dire col marito assente tutta la settimana;
ma la donna, da parte sua, deve considerare l'uomo, e
capire che l'uomo non pu� farsi beccare la faccia dalla
gente, Eccellenza! Certe ingiurie... s�, Eccellenza, mi
rivolgo ai signori giurati; certe ingiurie, signori
giurati, altro che beccare, tagliano la faccia all'uomo!
E l'uomo non le pu� sopportare! Ora io, padroni miei,
sono sicuro che quella disgraziata avrebbe avuto sempre
per me questa considerazione; e tant'� vero, che io non
le avevo mai torto un capello. Tutto il vicinato pu�
venire a testimoniare! Che ci ho da fare io, signori
giurati, se poi quella benedetta signora,
all'improvviso... Ecco, signor presidente, Vostra
Eccellenza dovrebbe farla venire qua, questa signora, di
fronte a me, ch� saprei parlarci io! Non c'� peggio...
mi rivolgo a voi, signori giurati, non c'� peggio delle
donne cimentose! �Se suo marito�, direi a questa
signora, avendola davanti, �se suo marito si fosse messo
con una zitella, vossignoria si poteva prendere il gusto
di fare questo scandalo, che non avrebbe portato nessuna
conseguenza, perch� non ci sarebbe stato un marito di
mezzo. Ma con quale diritto vossignoria � venuta a
inquietare me, che mi sono stato sempre quieto; che non
c'entravo n� punto, n� poco; che non avevo voluto mai n�
vedere, n� sentire nulla; quieto, signori giurati, ad
affannarmi il pane in campagna, con la zappa in mano
dalla mattina alla sera? Vossignoria scherza?� le direi,
se l'avessi qua davanti questa signora. �Che cosa �
stato lo scandalo per vossignoria? Niente! Uno scherzo!
Dopo due giorni ha rifatto pace col marito. Ma non ha
pensato vossignoria, che c'era un altro uomo di mezzo? e
che quest'uomo non poteva lasciarsi beccare la faccia
dal prossimo, e che doveva far l'uomo? Se vossignoria
fosse venuta da me, prima, ad avvertirmi, io le avrei
detto: "Lasci andare, signorina! Uomini siamo! E l'uomo,
si sa, � cacciatore! Pu� aversi a male vossignoria d'una
sporca contadina? Il cavaliere, con lei, mangia sempre
pane fino, francese; lo compatisca se, di tanto in
tanto, gli fa gola un tozzo di pane di casa, nero e
duro!"�. Cos� le avrei detto, signor presidente, e forse
non sarebbe accaduto nulla, di quello che purtroppo, non
per colpa mia, ma per colpa di questa benedetta signora,
� accaduto.
Il presidente tronc� con una
nuova e pi� lunga scampanellata i commenti, le risa, le
svariate esclamazioni, che seguirono per tutta l'aula la
confessione fervorosa di Tarar�.
- Questa dunque � la vostra
tesi? - domand� poi all'imputato.
Tarar�, stanco, anelante,
neg� col capo.
- Nossignore. Che tesi?
Questa � la verit�, signor presidente.
E in grazia della verit�,
cos� candidamente confessata, Tarar� fu condannato a
tredici anni di reclusione.
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