LA PATENTE
Con quale inflessione di voce e quale
atteggiamento d'occhi e di mani, curvandosi, come chi regge
rassegnatamente su le spalle un peso insopportabile, il magro
giudice D'Andrea soleva ripetere: �Ah, figlio caro!� a chiunque gli
facesse qualche scherzosa osservazione per il suo strambo modo di
vivere!
Non era ancor vecchio; poteva avere appena quarant'anni;
ma cose stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di
razze, misteriosi travagli di secoli bisognava immaginare per
giungere a una qualche approssimativa spiegazione di quel prodotto
umano che si chiamava il giudice D'Andrea.
E pareva ch'egli, oltre che della sua povera, umile,
comunissima storia familiare, avesse notizia certa di quei mostruosi
intrecci di razze, donde al suo smunto sparuto viso di bianco eran
potuti venire quei capelli crespi gremiti da negro; e fosse
consapevole di quei misteriosi infiniti travagli di secoli, che su
la vasta fronte protuberante gli avevano accumulato tutto quel
groviglio di rughe e tolto quasi la vista ai piccoli occhi plumbei,
e sconforto tutta la magra, misera personcina.
Cos� sbilenco, con una spalla pi� alta dell'altra, andava
per via di traverso, come i cani. Nessuno per�, moralmente, sapeva
rigar pi� diritto di lui. Lo dicevano tutti.
Vedere, non aveva potuto vedere molte cose, il giudice
D'Andrea; ma certo moltissime ne aveva pensate, e quando il pensare
� pi� triste, cio� di notte.
Il giudice D'Andrea non poteva dormire.
Passava quasi tutte le notti alla finestra a spazzolarsi
una mano a quei duri gremiti suoi capelli da negro, con gli occhi
alle stelle, placide e chiare le une come polle di luce, guizzanti e
pungenti le altre; e metteva le pi� vive in rapporti ideali di
figure geometriche, di triangoli e di quadrati, e, socchiudendo le
palpebre dietro le lenti, pigliava tra i peli delle ciglia la luce
d'una di quelle stelle, e tra l'occhio e la stella stabiliva il
legame d'un sottilissimo filo luminoso, e vi avviava l'anima a
passeggiare come un ragnetto smarrito.
Il pensare cos� di notte non conferisce molto alla salute.
L'arcana solennit� che acquistano i pensieri produce quasi sempre,
specie a certuni che hanno in s� una certezza su la quale non
possono riposare, la certezza di non poter nulla sapere e nulla
credere non sapendo, qualche seria costipazione. Costipazione
d'anima, s'intende. E al giudice D'Andrea, quando si faceva giorno,
pareva una cosa buffa e atroce nello stesso tempo, ch'egli dovesse
recarsi al suo ufficio d'Istruzione ad amministrare - per quel tanto
che a lui toccava - la giustizia ai piccoli poveri uomini feroci.
Come non dormiva lui, cos� sul suo tavolino nell'ufficio
d'Istruzione non lasciava mai dormire nessun incartamento, anche a
costo di ritardare di due o tre ore il desinare e di rinunziar la
sera, prima di cena, alla solita passeggiata coi colleghi per il
viale attorno alle mura del paese.
Questa puntualit�, considerata da lui come dovere
imprescindibile, gli accresceva terribilmente il supplizio. Non solo
d'amministrare la giustizia gli toccava; ma d'amministrarla cos�, su
due piedi.
Per poter essere meno frettolosamente puntuale, credeva
d'aiutarsi meditando la notte. Ma, neanche a farlo apposta, la
notte, spazzolando la mano a quei suoi capelli da negro e guardando
le stelle, gli venivano tutti i pensieri contrarii a quelli che
dovevano fare al caso per lui, data la sua qualit� di giudice
istruttore; cos� che, la mattina dopo, anzich� aiutata, vedeva
insidiata e ostacolata la sua puntualit� da quei pensieri della
notte e cresciuto enormemente lo stento di tenersi stretto a
quell'odiosa sua qualit� di giudice istruttore.
Eppure, per la prima volta, da circa una settimana,
dormiva un incartamento sul tavolino del giudice D'Andrea. E per
quel processo che stava l� da tanti giorni in attesa, egli era in
preda a un'irritazione smaniosa, a una tetraggine soffocante.
Si sprofondava tanto in questa tetraggine, che gli occhi
aggrottati, a un certo punto, gli si chiudevano. Con la penna in
mano, dritto sul busto, il giudice D'Andrea si metteva allora a
pisolare, prima raccorciandosi, poi attrappandosi come un baco
infratito che non possa pi� fare il bozzolo.
Appena, o per qualche rumore o per un crollo pi� forte del
capo, si ridestava e gli occhi gli andavano l�, a quell'angolo del
tavolino dove giaceva l'incartamento, voltava la faccia e, serrando
le labbra, tirava con le nari fischianti aria aria aria e la mandava
dentro, quanto pi� dentro poteva, ad allargar le viscere contratte
dall'esasperazione, poi la ributtava via spalancando la bocca con un
versaccio di nausea, e subito si portava una mano sul naso adunco a
regger le lenti che, per il sudore, gli scivolavano.
Era veramente iniquo quel processo l�: iniquo perch�
includeva una spietata ingiustizia contro alla quale un pover'uomo
tentava disperatamente di ribellarsi senza alcuna probabilit� di
scampo. C'era in quel processo una vittima che non poteva
prendersela con nessuno. Aveva voluto prendersela con due, l� in
quel processo, coi primi due che gli erano capitati sotto mano, e
sissignori - la giustizia doveva dargli torto, torto, torto, senza
remissione, ribadendo cos�, ferocemente, l'iniquit� di cui quel
pover'uomo era vittima.
A passeggio, di parlarne coi colleghi, ma questi, appena
egli faceva il nome del Chi�rchiaro, cio� di colui che aveva
intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito
una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano
l'indice e il mignolo a far le corna, o s'afferravano sul panciotto
i gobbetti d'argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla
catena dell'orologio. Qualcuno, pi� francamente, prorompeva:
- Per la Madonna Santissima, ti vuoi star zitto?
Ma non poteva starsi zitto il magro giudice D'Andrea. Se
n'era fatta proprio una fissazione, di quel processo. Gira gira,
ricascava per forza a parlarne. Per avere un qualche lume dai
colleghi - diceva - per discutere cos� in astratto il caso.
Perch�, in verit�, era un caso insolito e speciosissimo
quello d'un jettatore che si querelava per diffamazione contro i
primi due che gli erano caduti sotto gli occhi nell'atto di far gli
scongiuri di rito al suo passaggio.
Diffamazione? Ma che diffamazione, povero disgraziato, se
gi� da qualche anno era diffusissima in tutto il paese la sua fama
di jettatore? se innumerevoli testimonii potevano venire in
tribunale a giurare che egli in tante e tante occasioni aveva dato
segno di conoscere quella sua fama, ribellandosi con proteste
violente? Come condannare, in coscienza, quei due giovanotti quali
diffamatori per aver fatto al passaggio di lui il gesto che da tempo
solevano fare apertamente tutti gli altri, e primi fra tutti -
eccoli l� - gli stessi giudici?
E il D'Andrea si struggeva; si struggeva di pi�
incontrando per via gli avvocati, nelle cui mani si erano messi quei
due giovanotti, l'esile e patitissimo avvocato Grigli, dal profilo
di vecchio uccello di rapina, e il grasso Manin Baracca, il quale,
portando in trionfo su la pancia un enorme corno comperato per
l'occasione e ridendo con tutta la pallida carnaccia di biondo
maiale eloquente, prometteva ai concittadini che presto in tribunale
sarebbe stata per tutti una magnifica festa.
Orbene, proprio per non dare al paese
lo spettacolo di quella �magnifica festa� alle spalle d'un povero
disgraziato, il giudice D'Andrea prese alla fine la risoluzione di
mandare un usciere in casa del Chi�rchiaro per invitarlo a venire
all'ufficio d'Istruzione. Anche a costo di pagar lui le spese,
voleva indurlo a desistere dalla querela, dimostrandogli quattro e
quattr'otto che quei due giovanotti non potevano essere condannati,
secondo giustizia, e che dalla loro assoluzione inevitabile sarebbe
venuto a lui certamente maggior danno, una pi� crudele persecuzione.
Ahim�, � proprio vero che � molto pi� facile fare il male
che il bene, non solo perch� il male si pu� fare a tutti e il bene
solo a quelli che ne hanno bisogno; ma anche, anzi sopra tutto,
perch� questo bisogno di aver fatto il bene rende spesso cos� acerbi
e irti gli animi di coloro che si vorrebbero beneficare, che il
beneficio diventa difficilissimo.
Se n'accorse bene quella volta il giudice D'Andrea, appena
alz� gli occhi a guardar il Chi�rchiaro, che gli era entrato nella
stanza, mentr'egli era intento a scrivere. Ebbe uno scatto
violentissimo e butt� all'aria le carte, balzando in piedi e
gridandogli:
- Ma fatemi il piacere! Che storie son queste?
Vergognatevi!
Il Chi�rchiaro s'era combinata una faccia da jettatore,
ch'era una meraviglia a vedere. S'era lasciata crescere su le cave
gote gialle una barbaccia ispida e cespugliata; si era insellato sul
naso un paio di grossi occhiali cerchiati d'osso, che gli davano
l'aspetto d'un barbagianni; aveva poi indossato un abito lustro,
sorcigno, che gli sgonfiava da tutte le parti.
Allo scatto del giudice non si scompose. Dilat� le nari,
digrign� i denti gialli e disse sottovoce:
- Lei dunque non ci crede?
- Ma fatemi il piacere! - ripet� il giudice D'Andrea. -
Non facciamo scherzi, caro Chi�rchiaro! O siete impazzito? Via, via,
sedete, sedete qua.
E gli s'accost� e fece per posargli una mano su la spalla.
Subito il Chi�rchiaro sfagli� come un mulo, fremendo:
- Signor giudice, non mi tocchi! Se ne guardi bene! O lei,
com'� vero Dio, diventa cieco!
Il D'Andrea stette a guardarlo freddamente, poi disse:
- Quando sarete comodo... Vi ho mandato a chiamare per il
vostro bene. L� c'� una sedia, sedete.
Il Chi�rchiaro sedette e, facendo rotolar con le mani su
le cosce la canna d'India a mo' d'un matterello, si mise a
tentennare il capo.
- Per il mio bene? Ah, lei si figura di fare il mio bene,
signor giudice, dicendo di non credere alla jettatura?
Il D'Andrea sedette anche lui e disse:
- Volete che vi dica che ci credo? E vi dir� che ci credo!
Va bene cos�?
- Nossignore, - neg� recisamente il Chi�rchiaro, col tono
di chi non ammette scherzi. - Lei deve crederci sul serio, e deve
anche dimostrarlo istruendo il processo!
- Questo sar� un po' difficile, - sorrise mestamente il
D'Andrea. - Ma vediamo di intenderci, caro Chi�rchiaro. Voglio
dimostrarvi che la via che avete preso non � propriamente quella che
possa condurvi a buon porto.
- Via? porto? Che porto e che via? - domand�, aggrondato,
il Chi�rchiaro.
- N� questa d'adesso, - rispose il D'Andrea, - n� quella
l� del processo. Gi� l'una l'altra scusate, son tra loro cos�.
F il giudice D'Andrea infront� gl'indici delle mani per
significai che le due vie gli parevano opposte.
Il Chi�rchiaro si chin� e tra i due indici cos� infrontati
del giudice ne inser� uno suo, tozzo, peloso e non molto pulito.
- Non � vero niente, signor giudice! - disse, agitando
quel dito.
- Come no? - esclam� il D'Andrea. - L� accusate come
diffamatori due giovani
perch� vi credono jettatore, e ora qua voi stesso vi
presentate innanzi a me in veste di jettatore e pretendete anzi
ch'io creda alla vostra jettatura.
- Sissignore.
- E non vi pare che ci sia contraddizione?
Il Chi�rchiaro scosse pi� volte il capo con la bocca
aperta a un muto ghigno di sdegnosa commiserazione.
- Mi pare piuttosto, signor giudice, - poi disse, - che
lei non capisca niente.
Il D'Andrea lo guard� un pezzo, imbalordito.
- Dite pure, dite pure, caro Chi�rchiaro. Forse � una
verit� sacrosanta questa che vi � scappata dalla bocca. Ma abbiate
la bont� di spiegarmi perch� non capisco niente.
- Sissignore. Eccomi qua, - disse il Chi�rchiaro,
accostando la seggiola. - Non solo le far� vedere che lei non
capisce niente; ma anche che lei � un mio mortale nemico. Lei, lei,
sissignore. Lei che crede di fare il mio bene. Il mio pi� acerrimo
nemico! Sa o non sa che i due imputati hanno chiesto il patrocinio
dell'avvocato Manin Baracca?
- S�. Questo lo so.
- Ebbene, all'avvocato Manin Baracca io, Rosario
Chi�rchiaro, io stesso sono andato a fornire le prove del fatto:
cio�, che non solo mi ero accorto da pi� d'un anno che tutti,
vedendomi passare, facevano le corna, ma le prove anche, prove
documentate e testimonianze irrepetibili dei fatti spaventosi su cui
� edificata incrollabilmente, incrollabilmente, capisce, signor
giudice? La mia fama di jettatore!
- Voi? Dal Baracca?
- Sissignore, io.
Il giudice lo guard�, pi� imbalordito che mai:
- Capisco anche meno di prima. Ma come? Per render pi�
sicura l'assoluzione di quei giovanotti? E perch� allora vi siete
querelato?
Il Chi�rchiaro ebbe un prorompimento di stizza per la
durezza di mente del giudice D'Andrea; si lev� in piedi, gridando
con le braccia per aria:
- Ma perch� io voglio, signor giudice, un riconoscimento
ufficiale della mia potenza, non capisce ancora? Voglio che sia
ufficialmente riconosciuta questa mia potenza spaventosa, che �
ormai l'unico mio capitale!
E ansimando, protese il braccio, batt� forte sul pavimento
la canna d'India e rimase un pezzo impostato in quell'atteggiamento
grottescamente imperioso.
Il giudice D'Andrea si curv�, si prese la testa tra le
mani, commosso, e ripet�: Povero caro Chi�rchiaro mio, povero caro
Chi�rchiaro mio, bel capitale! E che te ne fai? che te ne fai?
- Che me ne faccio? - rimbecc� pronto il Chi�rchiaro. -
Lei, padrone mio, per esercitare codesta professione di giudice,
anche cos� male come la esercita, mi dica un po', non ha dovuto
prender la laurea?
- La laurea, s�.
- Ebbene, voglio anch'io la mia patente, signor giudice!
La patente di jettatore. Col bollo. Con tanto di bollo legale!
Jettatore patentato dal regio tribunale.
- E poi?
- E poi? Me lo metto come titolo nei biglietti da visita.
Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto
cacciar via dal banco dov'ero scritturale, con la scusa che,
essendoci io, nessuno pi� veniva a far debiti e pegni; mi hanno
buttato in mezzo a una strada, con la moglie paralitica da tre anni
e due ragazze nubili, di cui nessuno vorr� pi� sapere, perch� sono
figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio
figliuolo, il quale ha famiglia anche lui, quattro bambini, e non
pu� fare a lungo questo sacrifizio per noi. Signor giudice, non mi
resta altro che di mettermi a fare la professione del jettatore! Mi
sono parato cos�, con questi occhiali, con quest'abito; mi sono
lasciato crescere la barba; e ora aspetto la patente per entrare in
campo! Lei mi domanda come? Me lo domanda perch�, le ripeto, lei �
un mio nemico!
- Io?
- Sissignore. Perch� mostra di non credere alla mia
potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, tutti ci
credono! E ci son tante case da giuoco in questo paese! Baster� che
io mi presenti; non ci sar� bisogno di dir nulla. Mi pagheranno per
farmi andar via! Mi metter� a ronzare attorno a tutte le fabbriche;
mi pianter� innanzi a tutte le botteghe; e tutti, tutti mi
pagheranno la tassa, lei dice dell'ignoranza? io dico la tassa della
salute! Perch�, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto
odio, io, contro tutta questa schifosa umanit�, che veramente credo
d'avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle
fondamenta una intera citt�!
Il giudice D'Andrea, ancora con la testa tra le mani,
aspett� un pezzo che l'angoscia che gli serrava la gola desse adito
alla voce. Ma la voce non volle venir fuori; e allora egli,
socchiudendo dietro le lenti i piccoli occhi plumbei, stese le mani
e abbracci� il Chi�rchiaro a lungo, forte forte, a lungo.
Questi lo lasci� fare.
- Gli vuol bene davvero? - gli domand�. E allora istruisca
subito il processo, e in modo da farmi avere al pi� presto quello
che desidero.
- La patente?
Il Chi�rchiaro protese di nuovo il braccio, batt� la canna
d'India sul pavimento e, portandosi l'altra mano al petto, ripet�
con tragica solennit�:
- La patente.
Riassunto La patente
Il giudice D�Andrea aveva appena quarant�anni. Si presenta con un
viso bianco, dei capelli crespi gremiti da negro, una vasta fronte
protuberante piena di rughe, dei piccoli occhi plumbei ed era una
misera personcina. Alla notte non dormiva mai ma stava sveglio a
pensare alla finestra guardando le stelle. Quando si faceva giorno
doveva recarsi al suo ufficio d�Istruzione. Come lui non dormiva non
lasciava mai dormire l�incartamento in ufficio anzi delle volte
restava per pi� tempo al lavoro per terminarlo. Per aiutarsi
meditava alla notte ma pensava sempre ad altro. Eppure era la prima
volte da circa una settimana che un incartamento dormiva sul
tavolino di D�Andrea. Il caso era una denuncia verso due uomini da
parte di Chi�rchiaro perch� loro lo chiamavano iettatore, come
d�altronde era soprannominato da tutti. Questo caso divenne una
fissazione per D�Andrea. Sapendo che Chi�rchiaro non avrebbe mai
vinto la causa decise di chiamarlo nel suo ufficio per parlargli.
Quando parl� con Chi�rchiaro l�uomo gli rifer� che voleva che gli
dessero una patente da iettatore cos� poteva farlo diventare il suo
lavoro e avere i soldi per mantenere le figlie nubili e la moglie
paralitica.
-Titolo
Il titolo
pu� essere spiegato solamente una volta dopo aver letto interamente
il testo,infatti si hanno i primi riferimenti ad una patente
solamente verso la conclusione della vicenda dove lo iellato
richiede al giudice il riconoscimento di quella sua dote con il
rilascio di un documento bollato, appunto di una patente.
Inoltre il titolo, come parzialmente spiegato poco prima, fornisce
un riferimento ad un elemento della narrazione, fondamentale per il
compiersi di questa. Come nel caso della novella Il terno ha
fischiato�, anche questa vanta un titolo ideato dal proprio
autore ed � compagna di quest�ultima nella raccolta Novelle per
un anno.
-Livello iconico
La novella �
lunga ed � caratterizzata da capoversi dediti a scandire le diverse
componenti del testo. Le sequenze dialogiche sono presenti in
particolar modo a partire dalla seconda met� del brano dove si
concentrano in un blocco unico: � infatti questo il discorso tra il
protagonista, il dottor D�Andrea, e lo iellatore Chiarchiaro. Sono
completamente assenti, invece, sia le parole scritte in corsivo,
cos� da risaltarle in confronto al corpo del testo, e gli spazi
bianchi durante la narrazione.
-Struttura
La storia
inizia con un excursus sulla vita, l�aspetto e le abitudini del
personaggio quasi come si trattasse di un analessi. Ma siccome
questa analessi � posizionata all�inizio della narrazione, non crea
particolari disturbi nella cronologia degli avvenimenti. Detto ci�,
si pu� dedurre che fabula ed intreccio corrispondano. Come in ogni
novella d�analisi, le sequenze riflessive fanno la parte del leone;
dopo queste troviamo una cospicua presenza di sequenze narrative e
descrittive. Le sequenze dialogiche sono presenti solo nella seconda
parte della narrazione, come accennato anche nel discorso del
livello iconico.
Narratore e focalizzazione
Il narratore
non si personifica in nessun personaggio interno alla narrazione.
Per cui Il narratore � esterno alla vicenda e la focalizzazione �
zero dal momento che il narratoreconosce ogni cosa dei cuoi
personaggi: il loro passato, il loro presente e tutto ci� che gli
riguarda come le loro abitudini, le loro sembianze e tanto altro.
-Tempo
Considerato
che lo scrittore ha vissuto a cavallo tra il 1800 ed il 1900,
sicuramente la storia dev�essere ambientata in questo frangente.
L�ordine, come � gi� stato specificato poch�innanzi, � cronologico:
infatti all�analessi iniziale segue la narrazione vera e propria,
che � comunque una diretta conseguenza di ci� che � narrato nella
retrospezione. La durata �, per quanto riguarda il tempo della
novella, all�incirca di una mezz�ora o poco meno, mentre � pi�
complicato determinare il tempo reale della storia. A quanto sembra,
la narrazione del fatto vero e proprio non coinvolge che una sola
giornata, o meglio, una sola e specifica mattinata. Eppure la
retrospezione ci racconta le origini, le specifiche motivazioni di
quel caso, le discussioni con i colleghi e tante altre cose che
potrebbero essersi svolte molto probabilmente durante diversi
giorni, magari una settimana. Infatti, ad un certo punto del testo,
viene chiaramente specificato che la pratica riguardante il caso
dello iellatore si trovava sul tavolo del signor D�Andrea da quasi
una settimana.
Le scene,
come detto ormai parecchie volte, si concentrano nella seconda parte
della narrazione e solamente in quel punto sono cospicue e rilevanti
(infatti � qualche frase qua e l� di discorso diretto, ma la sua
presenza non � fondamentale nella narrazione). Di ellissi non vi �
traccia, anche perch� la narrazione non si interrompe o accadono dei
cambi improvvisi di personaggi od altro. Il sommario, assieme alla
pausa, compare nell�analessi visto che in essa avvengono descrizioni
e sono presenti spiegazioni, e tutto ci� � stringato per riassumere
le parti fondamentali di queste.
-Spazio
Ufficio di
D�Andrea
Dalla
narrazione si deduce che la scrivania del signor D�Andrea era sempre
sgombra poich� non gli piaceva che le pratiche si addensassero e si
accatastassero su di essa, tanto che era puntuale nello sbrigare
sempre il suo dovere. Inoltre dello spazio ci vengono accennate
altre cose: nell�ufficio del protagonista ci sono altri mobili, come
una poltrona ed alcune sedie; inoltre si accenna svariate volte alla
finestra di casa sue dalla quale passava le sue notti di insonnia a
guardare il cielo e le sue stelle, ed alle passeggiate con i
colleghi che si pensi avvenissero per un viale, ma questo non ci
viene detto. Lo spazio si concentra particolarmente nell�ufficio di
D�Andrea all�interno del quale si svolge tutta la vicenda
riguardante la questione dello iellatore ed � all�interno di
quest�ultimo ambiente che si conclude la narrazione.
-Personaggi
Sono il
protagonista, il signor D�Andrea, lo iellatore Chiarchiaro, gli
altri colleghi di D�Andrea ed i due personaggi che lo iellatore
vuole coinvolgere nella sua causa in tribunale (due personaggi che
servono a coinvolgere tutta la popolazione del paese e tutti coloro
che fanno segni scaramantici ogni qual volta vedono passarsi
dinnanzi Chiarchiaro). Del protagonista abbiamo una ricca
descrizione fisica e psicologica: infatti di lui il narratore ci
narra la storia, le abitudini, persino l�aspetti fisico e la sua
et�. Della psiche � importante sapere che si tratta una persona
onesta e puntuale, che soffre purtroppo di insonnia dovuta al fatto
che preferisce passare le notti a guardare le stelle ed a meditare
anzich� a dormire. Gli altri personaggi non sono particolarmente
descritti: i colleghi sono caratterizzati dai riti scaramantici e
dai porta fortuna che portano con se, come accade poi per i due
tirati in causa dallo iellatore, mentre Chiarchiaro, l�unico di
questi che viene ben inquadrato, � descritto nel suo aspetto e nel
suo modo di fare quando entra in scena alla fine della storia. Della
sua caratterizzazione psicologica deduciamo tutto dei suoi discorsi,
nei quali traspaiono anche informazioni sulla sua storia e sulla sua
condizione famigliare.
Il linguaggio
La vicenda � raccontata in terza persona, e all�inizio sembra essere
una novella oggettiva. Ma questa oggettivit� si perde dal momento in
cui la vicenda � presentata dal punto vista del giudice.
Per quanto riguarda il linguaggio, Pirandello utilizza un lessico
semplice che indica efficacemente non delle cose, ma delle
impressioni e degli stati d�animo
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