A mia madre � Eugenio Montale
Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce dal sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi pi� infuria, se tu cedi
come un�ombra la spoglia
(e non � un�ombra,
o gentile, non � ci� che tu credi)
chi ti protegger�? La strada sgombra
non � una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto di una
vita che non � un�altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell�esilio
folto d�anime e voci in cui tu vivi.
E la domanda che tu lasci � anch�essa
un gesto tuo, all�ombra delle croci.
A LIUBA CHE PARTE
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or ti consiglia, splendido
lare della dispersa tua famiglia.
La casa che tu rechi
con te ravvolta, gabbia o cappelliera?
sovrasta i ciechi tempi come il flutto
arca leggera e basta al tuo riscatto.
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.
La gondola che scivola in un forte
Montale
La gondola che scivola in un forte
bagliore di catrame e di papaveri,
la subdola canzone che s'alzava
da masse di cordame, l'altre porte
rinchiuse su di te e risa di maschere
che fuggivano a frotte -
una sera tra mille e la mia notte
� pi� profonda! S'agita laggi�
uno smorto groviglio che m'avviva
a stratti e mi fa eguale a quell'assorto
pescatore d'anguille dalla riva.
"Mediterraneo�
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
l� nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non pi� degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:e svuotarmi cos� d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
L�anguilla di Montale
L�anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre pi� addentro, sempre pi� nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finch� un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d�acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d�Appennino alla Romagna;
l�anguilla, torcia, frusta,
freccia d�Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l�anima verde che cerca
vita l� dove solo
morde l�arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l�iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell�uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
NON HO MAI CAPITO SE IO FOSSI
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell�alta societ�. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
Il sogno del prigioniero
Albe e notti qui variano per pochi segni.
Il zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d'aria polare,
l'occhio del capoguardia dello spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti
veri o supposti - ma la paglia � oro,
la lanterna vinosa � focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.
La purga dura da sempre, senza un perch�.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
puo salvarsi da questo sterminio d'oche ;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d'altri, affera il mestolo
anzi che terminare nel pat�e
destinato agl'Iddii pestilenziali.
Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all'aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo e il minuto -
e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se saro al festino
farcitore o farcito. L'attesa � lunga,
il mio sogno di te non e finito.
PORTAMI IL GIRASOLE CH'IO LO TRAPIANTI
Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansiet� del suo volto giallino.
Tendono alla chiarit� le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
� dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
Felicit� raggiunta, si cammina
Felicit� raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi pi� t'ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case
Ti libero la fronte
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti attraverso le alte
nebulose hai le penne lacerate dai cicloni,
ti desti a soprassalti
mezzod�:allunga nel riquadro il espolo
l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole
feddoloso; e l'altre ombre che scantonano
nel vicolo non sano che sei qui.
Corno inglese
ll vento che stasera suona attento -
ricorda un forte scotere di lame -
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lass�! D'alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia
Maestrale di Montale
S'� rifatta la calma
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s'infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s'increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
n� sosta mai: perch� tutte le immagini portano scritto:
"pi� in l�!".