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POESIE DI UGO FOSCOLO


ALLA MUSA 

Pur tu copia versavi alma di canto 
Su le mie labbra un tempo, aonia Diva, 
Quando de' miei fiorenti anni fuggiva 
La stagion prima, e dietro erale intanto 
Questa, che meco per la via del pianto 
Scende di Lete ver la muta riva: 
Non udito or t'invoco; ohim�! soltanto 
Una favilla del tuo spirto � viva. 
E tu fuggisti In compagnia dell'ore, 
O Dea! tu pur mi lasci alle pensose 
Membranze, e del futuro al timor cieco. 
Per� mi accorgb, e mel ridice Amore, 
Che mal p�nno sfogar rade, operose 
Rime il dolor che deve albergar meco. 






ALLA AMICA RISANATA 

Qual dagli antri marini 
L'astro pi� caro a Venere
Co' rugiadosi crini 
Fra le fuggenti tenebre 
Appare, e il suo viaggio 
Orna col lume dell'eterno raggio; 
Sorgon cos� tue dive 
Membra dall'egro talamo, 
E in te b�lt� rivive, 
L'aurea beltate ond'ebbero
Ristoro unico a' mali 
Le nate a vaneggiar menti mortali. 
Fiorir sul caro viso 
Veggo la rosa, tornano 
I grandi occhi al sorriso 
Insidiando; e vegliano 
Per te in novelli pianti 
Trepide madri, e sospettose amanti. 
Le Ore che dianzi meste 
Ministre eran de' farmachi, 
Oggi l'indica veste 
E i monili cui gemmano 
Effigiati Dei 
Inelito studio di scalpelli achei, 
E i candidi coturni 
E gli amuleti recano, 
Onde a' cori notturni 
Te, Dea, mirando obliano 
I garzoni le danze, 
Te principio d'affanni e di speranze: 
0 quando l'arpa adorni 
E co' novelli numeri 
E co' molli contorni 
Delle forme che facile 
Bisso seconda, e intanto 
Fra il basso sospirar vola il tuo canto 
Pi� periglioso; o quando 
Balli disegni, e l'agile 
Corpo all'aure fidando, 
Ignoti vezzi sfuggono 
Dai manti, e dal negletto 
Velo scomposto sul sommosso petto. 
All'agitarti, lente 
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente, 
Mal fide all'aureo pettine
E alla rosea ghirlanda 
Che or con l'alma salute April ti manda. 
Cos� ancelle d'Amore 
A te d'intorno volano 
Invidiate l'Ore. 
Meste le Grazie mirino 
Chi la belt� fugace 
Ti membra, e il giorno dell'eterna pace. 
Mortale guidatrice 
D'oceanine vergini,
La parrasia pendice 
Tenea la casta Artemide,
E fea terror di cervi 
Lungi fischiar d'arco cidonio i nervi 
Lei predic� la fama 
Olimpia prole; pavido 
Diva il mondo la chiama, 
E le sacr� l'elisio 
Soglio ed il certo telo,
E i monti, e il carro della luna in cielo. 
Are cos� a Bellona. 
Un tempo invitta amazzone, 
Die' il vocale Elicona; 
Ella il cimiero e l'egida 
or contro l'Anglia avara. 
E le cavalle ed il furor prepara. 
E quella a cui di sacro 
Mirto te veggo cingere 
Devota il simolacro, 
Che presiede marmoreo 
Agli arcani tuoi lari 
Ove a me sol sacerdotessa appari, 
Regina fu, Citera 
E Cipro ove perpetua 
Odora primavera 
Regn� beata, e l'isole 
Che col selvoso dorso 
Rompono agli Euri e al grande Ionio il corso. 
Ebbi in quel mar la culla,
Ivi erra ignudo spirito 
Di Faon la fanciulla, 
E se il notturno zeffiro 
Blando sui futti spira, 
Suonano i liti un lamentar di lira: 
Ond'io, pien del nativo. 
Aer sacro, su l'itala 
Grave cetra derivo 
Per te le corde eolie, 
E avrai divina i voti 
Fra gl'inni miei delle insubri nepoti. 







IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI 

Un d�, s'io non andr� sempre fuggendo 
di gente in gente, me vedrai seduto 
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo 
il fior de' tuoi gentil anni caduto. 

La Madre or sol suo d� tardo traendo 
parla di me col tuo cenere muto, 
ma io deluse a voi le palme tendo 
e sol da lunge i miei tetti saluto. 

Sento gli avversi numi, e le secrete 
cure che al viver tuo furon tempesta, 
e prego anch'io nel tuo porto quiete. 

Questo di tanta speme oggi mi resta! 
Straniere genti, almen le ossa rendete 
allora al petto della madre mesta. 





ALLA SERA

Forse perch� della fatal quiete 
tu sei l'immago a me s� cara vieni 
o Sera! E quando ti corteggian liete 
le nubi estive e i zeffiri sereni, 

e quando dal nevoso aere inquiete 
tenebre e lunghe all'universo meni 
sempre scendi invocata, e le secrete 
vie del mio cor soavemente tieni. 

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme 
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge 
questo reo tempo, e van con lui le torme 

delle cure onde meco egli si strugge; 
e mentre io guardo la tua pace, dorme 
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge. 




A ZACINTO

N� pi� mai toccher� le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque.

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cant� fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baci� la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.


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