DON LICCIU PAPA DI GIOVANNI VERGA


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Don Licciu Papa

 

di Giovanni Verga

 

 

 

Le comari filavano al sole, e le galline razzolavano nel pattume, davanti agli usci, allorch� successe un grid�o, un fuggi fuggi per tutta la stradicciuola, che si vide comparire da lontano lo zio Masi, l'acchiappaporci, col laccio in mano; e il pollame scappava schiamazzando, come se lo conoscesse.

Lo zio Masi si buscava dal municipio 50 centesimi per le galline, e 3 lire per ogni maiale che sorprendeva in contravvenzione. Egli preferiva i maiali. E come vide la porcellina di comare Santa, stesa tranquillamente col muso nel brago, di contro all'uscio, gli gitt� al collo il nodo scorsoio.

- Ah! Madonna santissima! Cosa fate, zio Masi! - gridava la zia Santa, pallida come una morta. Per carit�, zio Masi, non mi acchiappate la multa, che mi rovinate! -

Lo zio Masi, il traditore, per pigliarsi il tempo di caricarsi la maialina sulle spalle, le sballava di belle parole: - Sorella mia, che posso farvi? Questo � l'ordine del sindaco. Maiali per le strade non ne vuole pi�. Se vi lascio la porcellina perdo il pane -.

La zia Santa gli correva dietro come una pazza, colle mani nei capelli, strillando sempre: - Ah! zio Masi! non lo sapete che mi � costata 14 tar� a San Giovanni, e la tengo come la pupilla degli occhi miei! Lasciatemi la maialina, zio Masi, per l'anima dei vostri morti! Che all'anno nuovo, coll'aiuto di Dio, vale due onze! -

Lo zio Masi, zitto, a capo chino, col cuore pi� duro di un sasso, badava solo dove metteva i piedi, per non isdrucciolare nella mota, colla maialina di traverso sulle spalle, che grugniva rivolta al cielo. Allora la zia Santa, disperata, per salvare la porcellina, gli assest� un solenne calcio nella schiena, e lo fece andare ruzzoloni.

Le comari, appena videro l'acchiappaporci in mezzo al fango, gli furono addosso colle rocche e colle ciabatte, e volevano fargli la festa per tutti i porci e le galline che aveva sulla coscienza. Ma in questa accorse don Licciu Papa, colla tracolla dello sciabolotto attraverso la pancia, gridando da lontano come un ossesso, fuori tiro delle rocche: - largo alla Giustizia! largo alla Giustizia! -

La Giustizia condann� comare Santa alla multa ed alle spese, e per ischivare la prigione dovettero anche ricorrere alla protezione del barone, il quale aveva la finestra di cucina l� di faccia nella stradicciuola, e la salv� per miracolo, facendo vedere alla Giustizia che non era il caso di ribellione, perch� l'acchiappaporci quel giorno non aveva il berretto col gallone del municipio.

Vedete! - esclamarono in coro le donne. - Ci vogliono i santi per entrare in Paradiso! Questa del berretto nessuno la sapeva! -

Per� il barone aggiunse il predicozzo: - Quei porci e quelle galline bisognava spazzarli via dal vicinato; il sindaco aveva ragione, ch� sembrava un porcile -. D'allora in poi, ogni volta che il servo del barone buttava la spazzatura sul capo alle vicine, nessuna mormorava. Soltanto si dolevano che le galline chiuse in casa, per scansare la multa, non fossero pi� buone chiocce, e i maiali, legati per un piede accanto al letto, parevano tante anime del purgatorio. - Almeno prima la spazzavano loro la stradicciuola.

- Tutto quel concime sarebbe tant'oro per la chiusa dei Grilli! - sospirava massaro Vito. - Se avessi ancora la mula baia, spazzerei la strada colle mie mani -.

Anche qui c'entrava don Licciu Papa. Egli era venuto a pignorare la mula coll'usciere, che dall'usciere solo massaro Vito non se la sarebbe lasciata portar via dalla stalla, nemmen se l'ammazzavano, e gli avrebbe piuttosto mangiato il naso come il pane. L�, davanti al giudice, seduto al tavolino, che pareva Ponzio Pilato, quando massaro Venerando l'aveva citato per riscuotere il credito della mezzeria, non seppe che rispondere. La chiusa dei Grilli era buona soltanto per far grilli; il minchione era lui, se era tornato dalla m�sse a mani vuote, e massaro Venerando aveva ragione di voler esser pagato, senza tante chiacchiere e tante dilazioni, perci� aveva portato l'avvocato, che parlava per lui. Ma com'ebbe finito, e massaro Venerando se ne andava lieto, dondolandosi dentro gli stivaloni come un'anitra ingrassata, non pot� stare di domandare al cancelliere se era vero che gli vendevano la mula.

- Silenzio! - interruppe il giudice che si soffiava il naso, prima di passare a un altro affare.

Don Licciu Papa si svegl� di soprassalto sulla panchetta, e grid�: - Silenzio!

- Se foste venuto coll'avvocato, vi lasciavano parlare ancora, - gli disse compare Orazio per confortarlo.

Sulla piazza, dinanzi agli scalini del municipio, il banditore gli vendeva la mula. - Quindici onze la mula dicompare Vito Gnirri! Quindici onze una bella mula baia! Quindici onze! -

Compare Vito, seduto sugli scalini, col mento fra le mani, non voleva dir nulla che la mula era vecchia, ed era pi� di 16 anni che gli lavorava. Essa stava l� contenta come una sposa, colla cavezza nuova. Ma appena gliela portaron via davvero, ei perse la testa, pensando che quell'usuraio di massaro Venerando gli acchiappava 15 onze per una sola annata di mezzeria, che tanto non ci valeva la chiusa dei Grilli, e senza la mula ormai non poteva pi� lavorare la chiusa, e all'anno nuovo si sarebbe trovato di nuovo col debito sulle spalle. Ei si mise a gridare come un disperato sul naso a massaro Venerando. - Cosa mi farete pignorare, quando non avr� pi� nulla? anticristo che siete! - E voleva levargli il battesimo dalla testa, se non fosse stato per don Licciu Papa l� presente, collo sciabolotto e il berretto gallonato, il quale si mise a gridare tirandosi indietro: - Fermo alla Giustizia! - Fermo alla Giustizia!

- Che Giustizia! - strillava compare Vito tornando a casa colla cavezza in mano. - La Giustizia � fatta per quelli che hanno da spendere -.

Questo lo sapeva anche curatolo Arcangelo, che quando era stato in causa col Reverendo per via della casuccia, perch� il Reverendo voleva comprargliela per forza, tutti gli dicevano: - Che siete matto a pigliarvela col Reverendo? � la storia della brocca contro il sasso! Il Reverendo coi suoi denari si affitta la meglio lingua d'avvocato, e vi riduce povero e pazzo -.

Il Reverendo, dacch� s'era fatto ricco, aveva ingrandito la casuccia paterna, di qua e di l�, come fa il porcospino che si gonfia per scacciare i vicini dalla tana. Ora aveva slargata la finestra che dava sul tetto di curatolo Arcangelo, e diceva che gli bisognava la casa di lui per fabbricarvi sopra la cucina e mutare la finestra in uscio. - Vedete, compare Arcangelo mio, senza cucina non ci posso stare! Bisogna che siate ragionevole -.

Compare Arcangelo non lo era punto, e si ostinava a pretendere di voler morire nella casa dove era nato. Tanto, non ci veniva che una volta al sabato; ma quei sassi lo conoscevano, e se pensava al paese, nei pascoli del Carramone, non lo vedeva altrimenti che sotto forma di quell'usciolo rattoppato, e di quella finestra senza vetri. - Va bene, va bene, - rispondeva fra di s� il Reverendo. - Teste di villani! Bisogna farci entrare la ragione per forza -.

E dalla finestra del Reverendo piovevano sul tetto di curatolo Arcangelo cocci di stoviglie, sassi, acqua sporca; e riducevano il cantuccio dov'era il letto peggio di un porcile. Se curatolo Arcangelo gridava, il Reverendo si metteva a gridare sul tetto, pi� forte di lui. - Che non poteva pi� tenerci un vaso di basilico sul davanzale? Non era padrone d'inaffiare i suoi fiori?

Curatolo Arcangelo aveva la testa dura peggio dei suoi montoni, e ricorse alla Giustizia. Vennero il giudice, il cancelliere, e don Licciu Papa, a vedere se il Reverendo era padrone d'inaffiare i suoi fiori, che quel giorno non ci erano pi� alla finestra, e il Reverendo aveva il solo disturbo di levarli ogni volta che doveva venire la Giustizia, e rimetterli al loro posto appena voltava le spalle. Il giudice stesso non poteva passare il tempo a far la guardia al tetto di curatolo Arcangelo, o ad andare e venire dalla straduccia; ogni sua visita costava cara.

Restava la quistione di sapere se la finestra del Reverendo doveva essere coll'inferriata o senza inferriata, e il giudice, e il cancelliere, e tutti, guardavano cogli occhiali sul naso, e pigliavano misure che pareva un tetto di barone, quel tettuccio piatto e ammuffato.

E il Reverendo tir� pure fuori certi diritti vecchi per la finestra senza inferriata, e per alcune tegole che sporgevano sul tetto, che non ci si capiva pi� nulla, e il povero curatolo Arcangelo guardava in aria anche lui, per capacitarsi che colpa avesse il suo tetto. Ei ci perse il sonno della notte e il riso della bocca; si dissanguava a spese, e doveva lasciare la mandra in custodia del ragazzo per correre dietro al giudice e all'usciere. Per giunta le pecore gli morivano come le mosche, ai primi freddi dell'inverno, ch� il Signore lo castigava perch� se la pigliava colla Chiesa, dicevano.

- E voi pigliatevi la casa, - disse infine al Reverendo, che dopo tante liti e tante spese non gliene avanzava il danaro da comprarsi la corda per impiccarsi a un travicello. Voleva mettersi in collo la sua bisaccia e andarsene colla figliola a stare colle pecore, ch� quella maledetta casa non voleva vederla pi�, finch� era al mondo.

Ma allora usc� in campo il barone, l'altro vicino, il quale ci aveva anche lui delle finestre e delle tegole sul tetto di curatolo Arcangelo, e giacch� il Reverendo voleva fabbricarsi la cucina, egli aveva pure bisogno di allargare la dispensa, sicch� il povero capraio non sapeva pi� di chi fosse la sua casa. Ma il Reverendo trov� il modo di aggiustare la lite col barone, dividendosi da buoni amici fra di loro la casa di curatolo Arcangelo, e poich� costui ci aveva anche quest'altra servit�, gli ridusse il prezzo di un buon quarto.

Nina, la figlia di curatolo Arcangelo, come dovevano lasciare la casa e andarsene via dal paese, non finiva di piangere, quasi ci avesse avuto il cuore attaccato a quei muri e a quei chiodi delle pareti. Suo padre, poveraccio, tentava di consolarla come meglio poteva, dicendole che laggi�, nelle grotte del Carramone, ci si stava da principi, senza vicini e senza acchiappaporci. Ma le comari, che sapevano tutta la storia, si strizzavano l'occhio fra di loro borbottando:

- Al Carramone il signorino non potr� pi� andarla a trovare, di sera, quando compare Arcangelo � colle sue pecore. Per questo la Nina piange come una fontana -.

Come lo seppe compare Arcangelo cominci� a bestemmiare e a gridare: - Scellerata! adesso con chi vuoi che ti mariti? -

Ma la Nina non pensava a maritarsi. Voleva soltanto continuare a stare dov'era il signorino, che lo vedeva tutti i giorni alla finestra, appena si alzava, e gli faceva segno se poteva andare a trovarla la sera. In tal modo la Nina c'era cascata, col veder tutti i giorni alla finestra il signorino, che dapprincipio le rideva, e le mandava i baci e il fumo della pipa, e le vicine schiattavano d'invidia. Poscia a poco a poco era venuto l'amore, talch� adesso la ragazza non ci vedeva pi� dagli occhi, e aveva detto chiaro e tondo a suo padre:

- Voi andatevene dove volete, che io me ne sto qui dove sono -. E il signorino le aveva promesso che la campava lui.

Curatolo Arcangelo di quel pane non ne mangiava, e voleva chiamare don Licciu Papa per condur via a forza la figliuola. - Almeno quando saremo via di qui, nessuno sapr� le nostre disgrazie, - diceva. Ma il giudice gli rispose che la Nina aveva gi� gli anni del giudizio, ed era padrona di fare quel che gli pareva e piaceva.

- Ah! � padrona? - borbottava curatolo Arcangelo. - Anch'io son padrone! - E appena incontr� il signorino, che gli fumava sul naso, gli spacc� la testa come una noce con una legnata.

Dopo che l'ebbero legato ben bene, accorse don Licciu Papa, gridando: - Largo alla Giustizia! largo alla Giustizia! -

Davanti alla Giustizia gli diedero anche un avvocato, per difendersi. - Almeno stavolta la Giustizia non mi costa nulla; - diceva compare Arcangelo. E fu meglio per lui. L'avvocato riusc� a provare come quattro e quattro fanno otto, che curatolo Arcangelo non l'aveva fatto apposta, di cercare d'ammazzare il signorino, con un randello di pero selvatico, ch'era del suo mestiere, e se ne serviva per darlo sulle corna ai montoni quando non volevano intender ragione.

Cos� fu condannato soltanto a 5 anni, la Nina rimase col signorino, il barone allarg� la sua dispensa, e il Reverendo fabbric� una bella casa nuova su quella vecchia di curatolo Arcangelo, con un balcone e due finestre verdi.

RIASSUNTO Le galline stavano correndo davanti alle case quando arriv� zio Masi, incaricato dal sindaco di catturare le galline e i maiali che erano in contravvenzione. Come zio masi vide la porcellina di comare Stesa davanti alla porta di casa le mise al collo una fune e la cattur�. Comare santa, disperata, tent� di fermarlo ma non ci riusc�; allora, per salvare la sua porcellina diede un calcio a zio Masi che cadde a terra. Le altre donne volevano far la festa a zio Masi per tutte le galline che aveva sulla coscienza, ma, in quel momento, arriv� don Licciu Papa. Don Licciu Papa chiar� subito la situazione: Comare Santa si prese la multa ma non and� in carcere perch� il barone aveva visto che zio Masi non portava il cappello con lo stemma del municipio.
Don Licciu Papa si era interessato anche del pignoramento della mula di mastro Vito assieme all�usciere. Quando mastro Vito era stato citato da mastro Venerando per un debito non aveva potuto rispondere, perch� non aveva un avvocato. La mula venne venduta e mastro Vito disperato disse che non poteva pi� lavorare e quindi non avrebbe mai potuto estinguere il debito. Mastro Vito disse male parole verso mastro venerando e se non fosse stato per don Licciu Papa sarebbe andata per il peggio. Un giorno curatolo Arcangelo si mise in causa con il reverendo, consapevole di ci� a cui andava incontro perch� il reverendo aveva i migliori avvocati. Il prete, arricchitosi, aveva allargato la casa paterna e voleva costruire la cucina sopra la casa di curatolo Arcangelo; perci�, voleva costringerlo a vendere. Curatolo Arcangelo si rifiut� e il reverendo, per dispetto, gli buttava sul tetto dell�acqua sporca, dicendo che era acqua che serviva per innaffiare i fiori. Curatolo Arcangelo fece venire il giudice e don Licciu Papa ma il reverendo elimin� ogni prova. A furia di spese giudiziarie arcangelo rimase senza un soldo vendette met� casa al reverendo e met� al barone che voleva allargare la dispensa. La figlia di Arcangelo non voleva andarsene ma solo le vicine sapevano il perch�. Nina, infatti era solita incontrarsi con un signorino che le abitava di fronte ma non ne voleva sapere di sposarsi; il signorino l�avrebbe mantenuta. Come lo seppe, arcangelo, chiam� don Licciu Papa per convincere la figlia a partire; ma, il giudice, disse che Nina aveva l�et� per decidere. Quando Arcangelo vide il signorino gli diede una randellata in testa, ma, dopo che i passanti lo avevano legato accorse don Licciu Papa dicendo: "Largo alla Giustizia". Ad arcangelo venne dato un avvocato che riusc� a farlo condannare a soli 5 anni.
Tutte le storie che si intrecciano in questa novella si ricollegano tutte al problema comune del rapporto tra gli "umili" e la "giustizia": nel caso della zia Santa, quest'ultima vede sottrarsi il suo maialino per il semplice fatto che sostava in mezzo alla strada; nel caso di massaro Vito che si era visto pignorare la sua mula da don Licciu Papa; nel caso poi di curatolo Arcangelo, quest'ultimo doveva subire "l'innaffiamento dei fiori" da parte del Reverendo.

 

 

 


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