IL CIBO FRA GLI UMILI DI VERGA
IL CIBO FRA GLI UMILI DEL VERGA

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IL CIBO FRA GLI UMILI DI VERGA

 

Molto spesso il cibo ha rappresentato uno spunto letterario di grande importanza, anche per i diversi valori culturali, umani e sociali che entrano in gioco nella preparazione del cibo e nella condivisione del desco.    Dalle madelaines di Proust ai manicaretti di Pepe Carvalho, sono molti i romanzi in cui il cibo � fonte di ricordo, condivisione di un rito o simbolo di divario sociale.

Per quanto riguarda la letteratura italiana, va ricordato sicuramente Verga e le umili tavole che descrive fra le pagine dei suoi libri. Tra i contadini siciliani, e tra i suoi pescatori, sembra non trovar posto ne' raffinatezza ne' lusso. Non ci sono posate d'argento o vassoi colmi di prelibatezze. 

 

I cibi, di cui lo scrittore catanese racconta, appartengono alla tradizione contadina pi� povera, dove regnava la semplicit� del pane - nero, perch� quello bianco stava solo sulle tavole dei ricchi! - delle cipolle e del buon vino. Anche la sontuosa ritualit� di cui, quasi negli stessi anni, ci racconta Proust nella sua Rech�rche, sembra essere bandita da questi tavolacci in legno cui siedono, esausti ed affamati, i personaggi del Verga. 

Jeli il pastore (protagonista dell'omonima novella), nei suoi lunghi mesi passati lontano da casa, mangia spesso ghiande arrostite e qualche volta accompagnate da fette di pane ammuffito. 

Il pane, che accompagna la giornata dei vinti, dalla colazione al pasto della sera, ha una valenza quasi sacra, non viene sprecato nemmeno quando sta per andare a male spesso viene consumato da solo, con qualche cipolla oppure, come dice Compare Meno nelle Novelle Rusticane, tuffato dentro a una zuppa profumata di finocchio selvatico.

E' il pane, quindi, il vero protagonista delle tavole dei vinti: quel pane che riempie la pancia e scaccia la fame, che  sembra essere, per questa gente senza speranza, l'unica vera ragione della fatica e del duro lavoro che caratterizza la loro esistenza.

Ancora in Nedda, Verga ci presenta un'altro piatto tipico degli umili: la zuppa di fave, messa a cuocere in un pentolone e distribuita con mestolate parsimoniose dalla castalda.

In Malaria, invece, il cibo diventa ricordo di un'et� bella, quando gli affari di famiglia erano prosperi grazie alla vendita delle anguille e ci si poteva sedere a tavola gustando maccheroni e salsiccia.

Pasta e carne � infatti il menu dei ricchi: ci� di cui si ingozza, ad esempio, Don Gianmaria, il prete dei Malavoglia. Va comunque ricordato che in Verga non si parla di lotta di classe o contrapposizione sociale: l'unica differenza tra padroni e sottoposti sembra risiedere nel colore del pane, bianco per gli uni e nero per gli altri; per il resto le due classi sociali sono parte di un unico destino, sono in fondo tutti sulla stessa barca: i galantuomini non potrebbero fare nulla senza i loro braccianti e viceversa. I due mondi sono dunque profondamente legati e anche a tavola, l'insalata di cipolle dell'arricchito Mastro Don Gesualdo non differisce molto dal povero desco che tocca ad Alfio Mosca.

 

 

 

 



 



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