G. Leopardi, Ultimo canto di Saffo (l822)
1 Placida notte, e verecondo raggio
2 della cadente luna; e tu che spunti
3 fra la tacita selva in su la rupe,
4 nunzio del giorno; oh dilettose e care
5 mentre ignote mi fur l�erinni e il fato,
6 sembianze agli occhi miei; gi� non arride
7 spettacol molle ai disperati affetti.
8 Noi l�insueto allor gaudio ravviva
9 quando per l�etra liquido si volve
10 e per li campi trepidanti il flutto
11 polveroso de� Noti, e quando il carro,
12 grave carro di Giove a noi sul capo,
13 tonando, il tenebroso aere divide.
14 Noi per le balze e le profonde valli
15 natar giova tra� nembi, e noi la vasta
16 fuga de� greggi sbigottiti, o d�alto
17 fiume alla dubbia sponda
18 il suono e la vittrice ira dell�onda.
19 Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
20 sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
21 infinita belt� parte nessuna
22 alla misera Saffo i numi e l�empia
23 sorte non fenno. A� tuoi superbi regni
24 vile, o natura, e grave ospite addetta,
25 e dispregiata amante, alle vezzose
26 tue forme il core e le pupille invano
27 supplichevole intendo. A me non ride
28 l�aprico margo, e dall�eterea porta
29 il mattutino albor; me non il canto
30 de� colorati augelli, e non de� faggi
31 il murmure saluta: e dove all�ombra
32 degl�inchinati salici dispiega
33 candido rivo il puro seno, al mio
34 lubrico pi� le flessuose linfe
35 disdegnando sottragge,
36 e preme in fuga l�odorate spiagge.
37 Qual fallo mai, qual s� nefando eccesso
38 macchiommi anzi il natale, onde s� torvo
39 il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40 in che peccai bambina, allor che ignara
41 di misfatto � la vita, onde poi scemo
42 di giovanezza, e disfiorato, al fuso
43 dell�indomita Parca si volvesse
44 il ferrigno mio stame? Incaute voci
45 spande il tuo labbro: i destinati eventi
46 move arcano consiglio. Arcano � tutto,
47 fuor che il nostro dolor. Negletta prole
48 nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
49 de� celesti si posa. Oh cure, oh speme
50 de� pi� verd�anni! Alle sembianze il Padre,
51 alle amene sembianze eterno regno
52 di� nelle genti; e per virili imprese,
53 per dotta lira o canto,
54 virt� non luce in disadorno ammanto.
55 Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
56 rifuggir� l�ignudo animo a Dite,
57 e il crudo fallo emender� del cieco
58 dispensator de� casi. E tu cui lungo
59 amore indarno, e lunga fede, e vano
60 d�implacato desio furor mi strinse,
61 vivi felice, se felice in terra
62 visse nato mortal. Me non asperse
63 del soave licor del doglio avaro
64 Giove, poi che per�r gl�inganni e il sogno
65 della mia fanciullezza. Ogni pi� lieto
66 giorno di nostra et� primo s�invola.
67 Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l�ombra
68 della gelida morte. Ecco di tante
69 sperate palme e dilettosi errori,
70 il Tartaro m�avanza; e il prode ingegno
71 han la tenaria Diva,
72 e l�atra notte, e la silente riva.
La canzone si rif� alla leggenda secondo cui Saffo,poetessa greca, sarebbe stata bruttissima e si sarebbe uccisa gettandosi dal promontorio di Leucade perch� rifiutata dal giovane Faone. L�intero componimento � occupato dal monologo della poetessa in procinto di suicidarsi, la quale dispiega il suo ultimo canto mentre accusa i Numi e la sorte per aver posto un animo delicato e sensibile in un corpo privo attrattiva.
All�inizio � descritta la bellezza commovente dell�alba, di cui si pu� godere fintanto che non si prende coscienza della nostra condizione miserevole di mortali.
Nella prima stanza, Saffo si trova sulla rupe di Leucade, qualche attimo prima di gettarsi e porre fine alla sua vita. Il tema predominante � quello del rapporto fra la natura e Saffo che, in questo caso, rappresenta tutti gli uomini. Quando lei era giovane (e quindi c'erano in lei le illusioni) la natura era in sintonia con lei, mentre adesso, con la caduta delle illusioni, la natura le � diventata avversa. Nella seconda e nella terza stanza, il tema dominante � il contrasto fra la bellezza della natura e la bruttezza di Saffo che si chiede il perch� di tutto questo. La risposta non va ricercata nell'individuo, ma nel comune e universale destino dell'umanit�, nella colpa tragica di esistere. Nell'ultima parte della terza strofa, inoltre, quando afferma che l'umanit� apprezza le gesta e le opere di chi � bello, Leopardi opera una critica nei confronti del Neoclassicismo, ribadendo il fatto che non sempre la bellezza esteriore coincide con la virt� interiore. Ma una spiegazione prende corpo : fra gli uomini regnano le �sembianze�, cio� la bellezza come aspetto esteriore; in chi ne � privo non � apprezzata nessuna virt�, n� la sapienza, n� la poesia. Questa � la sorte che Zeus ha dato agli uomini.
L'ultima stanza, infine, � all'insegna della morte, alla fine siamo destinati alla morte: �Morremo�.Da notare la simmetria fra i concetti di morte e di silenzio espressi rispettivamente all'inizio e alla fine del canto. Essi connotano la morte della poetessa, in modo particolare come morte della voce poetica; infatti, gli Inferi rapiscono e imprigionano il prode ingegno, cio� la stessa facolt� poetica di Saffo. Centrale � invece l'augurio di Saffo a Faone, la quale gli augura una vita felice. Come sappiamo, per Leopardi la felicit� si ha solamente nel periodo della fanciullezza, quindi la felicit� potr� solamente essere fittizia.