PSICOLOGIA :IL TRADIMENTO (GIORGIO BRUNO psichiatra) 

PSICOLOGIA :  IL TRADIMENTO(GIORGIO BRUNO psichiatra)  

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IL TRADIMENTO di Giorgio Bruno  

 

 

 

 

 "IL TRADIMENTO"

 

Riprendiamo l'Arte di...Amare prendendo in considerazione questa volta la Narrazione del Tradimento rifacendoci alla sua etimologia quale "tradere" o "traditio" che significano appunto tramandare, narrare, insegnare e alla sua definizione storica quale "traditore è chi danneggia la persona del sovrano o i suoi beni, chi viene meno a un patto o alla fede data". Emettiamo subito un postulato: "il tradimento è indissolubilmente legato alla relazione, è solo quando si forma un Noi che c'è insita la possibilità del tradimento". Noi dunque non siamo nati per essere soli, la solitudine non ci appartiene, non è di questo mondo né forse dell'altro, di questo mondo sicuramente è la Relazione. Nessuno però conosce "sino in fondo e esattamente" tutte le parti di se' e allo stesso tempo la presenza costante del "doppio" che galleggia nell'animo, perciò nessuno sa che cosa succederà nella relazione o meglio nell'interazione con l'altro. Ho sentito un'infinità di persone affermare con estrema sicurezza di
non poter mai tradire, di non essere stato/a mai tradito sino poi a vedere un giorno improvvisamente volatilizzarsi questa certezza. Un esempio fra tanti la figura di Pietro. Non rinnegò forse Pietro tre volte Cristo prima che il gallo cantasse, Lui che aveva fatto fede di non tradire mai e poi mai? Bene, ora sappiamo che l'Umano può tutto e dunque può anche tradire. Ci chiediamo poi spesso il motivo che spinge al tradimento e la causa che lo determina come se vi fosse un "interno" ed un "esterno" che proprio non si guardano e reciprocamente si trascurano. Non è proprio così, ma per abitudine o meglio per comodità siamo soliti fare una netta distinzione o scissione o separazione tra il "traditore" (disgraziato, delinquente, etc.) e il "tradito" (poverino, buono, educato, etc.) venendo meno al postulato emesso, cioè la Relazione e il Noi. Ditemi ora, quanti nella relazione amorosa sono attenti a cogliere il disagio dell'altro/a? Quanti l'accolgono e nell'accoglierlo lo fanno proprio "mettendosi nei panni dell'altro/a? Non me lo dite perché forse sarei costretto a non credervi perché "purtroppo per avere una vita sociale abbiamo bisogno di dare per scontate fiducia e lealtà". Naturalmente la relazione, amorosa o no, non prescinde dall'individuo, dunque siamo capaci di vederci in chiaroscuro prima di notare il chiaroscuro dell'altro/a? Possiamo poi considerare il tradimento una psicopatologia o malattia come si suol dire? Certo. Lo riscontriamo nelle personalità paranoidee, nei disturbi del comportamento di tipo delinquenziale, i disturbi borderline, insomma "in tutti quei sistemi relazionali a legame debole o di tipo strumentale o parassitario". A questo punto la narrazione si fa sempre più complessa, soprattutto se introduciamo un'altra domanda. "Il traditore attacca la persona o la relazione"? Predice uno "scontro" o un "incontro"? Troppe domande e troppe variabili individuali possibili, a voi le risposte. Noi terminiamo il discorso affermando che "il tradimento è prima di tutto la condizione per entrare nel mondo reale, il mondo della coscienza e delle responsabilità" e dicendo che comunque nel traditore possiamo scorgere anche qualcosa di "allegro" sia in senso evoluzionistico sia nel senso che pochi sono traditori in toto. Comunque senza il tradimento non vi sarebbe il perdono e non vi sarebbe forse l'amore.

 

Psichiatra GIORGIO BRUNO

 

 
 
 
 

 

 


 


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