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MENTAL RESET (Psicoterapia ideata dal Dr. Giorgio Bruno)
Premessa
I Disturbi Psichici richiedono, in genere, uno specifico
approccio attraverso una doppia modalità d’intervento, e
farmacologico e psicoterapeutico, perciò una ricerca di
nuovi strumenti o d’innovative tecniche operative, in un
campo come nell’altro, non può che apportare un doppio e
salutare beneficio, per l’Utente e per le Scienze Umane. Qui
affrontiamo l’approccio psicoterapeutico ai Disturbi
Psichici partendo dal concetto che le diagnosi psichiatriche
assieme ai sintomi ed alle sindromi non c’interessano molto
e che quello che c’interessa è la fenomenologia sottostante
ad ogni stato o espressione di sofferenza dell’Io, ritenendo
che poco, nulla accade per caso o che tutto non deriva da un
trauma anche se questo ultimo, fisico o psichico che sia, è
qui considerato il detonatore principale delle malattie.
Vogliamo dunque cogliere, individuare, intuire,
interpretare, rendere consapevoli (insight) e restaurare
quelle fenomenologie che improvvisamente e silenziosamente
invadono ed incombono nella Mente annebbiandola,
offuscandola, terrorizzandola, disordinandola, insomma
quelle fenomenologie che bloccano, influenzano e dirigono il
flusso emozionale e lo stile cognitivo e comportamentale
facendo apparire ogni relazione prima ritenuta “normale”,
nel senso d’appartenente a quella persona, quantomeno
insolita, strana, incomprensibile ed inconcepibile. Si
comprende bene, allora, che questa tecnica psicoterapeutica
è impostata “sulla osservazione, sulla rappresentazione,
sulle resistenze, sulla consapevolezza e sull’analisi del
processo relazionale” che, mettendo sullo sfondo l’individuo
all’interno della propria psiche privata, tende però alla
promozione del suo sviluppo in quanto essere sociale.
Ora soffermiamoci un momento sulle ascendenze teoriche di
questa tecnica e contemporaneamente, una volta che queste
ultime sono state individuate e descritte, cerchiamo di
spiegare come e perché questa tecnica, nella sua
elaborazione teorica, si differenzia nelle sue evidenze dal
derivato. Richiamiamoci, allora, alle “Costellazioni
Familiari” di Bert Hellinger, un metodo che, a sua volta,
affonda le sue radici ed integra aspetti teorici e fisici
dello Psicodramma di Moreno, delle dinamiche di Gruppo,
della Gestalt, dell’Analisi Transazionale, della PNL, della
Teoria dei Campi morfogenetici di Rupert Shaldrake e della
Teoria Sistemica e affermiamo con lui che le Costellazioni
non hanno alcuna pretesa di spiegare e di fare una terapia
alle persone bensì di “aiutare le persone a progredire in un
percorso di crescita personale e transpersonale che agevoli
la liberazione dalla sofferenza, dalla pesantezza, dalla
difficoltà con cui sono affrontati e vissuti i fatti
ordinari e straordinari dell’esistenza”. Dunque “il lavoro
con le Costellazioni Familiari non può né deve essere
confuso con un’attività di tipo psicoterapico (al massimo
può essere usato in supporto ad una normale psicoterapia),
dato che non lavora sulla patologia ma solo sulla
consapevolezza e la conoscenza di sé”. Allora, non avendo
alcuna pretesa di essere un sistema di psicoterapia
classico, le Costellazioni si muovono sul “sistema – modello
di tipo esperenziale”, vale a dire sulla capacità di
“osservare” secondo il metodo fenomenologico. Sulle tracce
dell’approccio fenomenologico la Messa in Scena della
propria Costellazione Familiare guarda alla realtà (intesa
qui non il contrario di falso o irreale ma di nascosto) così
com’è, guarda a ciò che c’è “senza aspettative, senza alcun
giudizio di merito, senza utilizzare particolari criteri
d’osservazione e soprattutto senza interpretare ciò che si
manifesta, se mai intuendo”. Allora e solo allora,
attraverso l’osservazione e l’intuizione, la propria Realtà,
da nascosta, si mostra, è percepita, diviene. Le
Costellazioni Familiari non considerano l’individuo in se
stesso ma vicine come sono al pensiero sistemico, guardano
ad “un insieme ordinato ed organizzato d’elementi in stretto
rapporto fra loro, destinati a determinati scopi e
finalità”, vale a dire guardano alle relazioni del sistema
(per es. sistema familiare, politico, economico, sociale,
professionale e così via) rispecchiate nell’individuo che ne
fa parte piuttosto che dell’individuo in quanto tale.
Naturalmente tutti gli appartenenti ad un sistema sono
legati, tenuti assieme da “una forza d’amore profonda ed
inconscia” che agisce indipendentemente dalla loro volontà,
anche se contemporaneamente a questa (forza del legame) vive
una forza contraria (forza del distacco) che consente a ciò
che è legato di separarsi, di identificarsi, di percorrere
la sua strada. Allora è il Sistema a tramandare una
coscienza personale ed a far sì che la coscienza collettiva
agisce ciecamente e cinicamente al suo servizio, a dettare
la legge dell’ordine cronologico/anzianità, la legge
dell’appartenenza, la legge dell’equilibrio tra il dare ed
il ricevere, il principio della responsabilità e il
principio delle competenze distintive (gli ordini
dell’amore) e riconoscere oltre che onorare le leggi che
operano nel sistema vuol dire “elevare il nostro grado di
consapevolezza e d’assunzione di responsabilità rispetto ai
proponimenti dell’Esistenza. Ora, pur essendo forte il
legame con la terza forza della psicologia qual è la
Psicologia Umanistica, la Mental Reset sconfina, integrando
la terza nella quarta forza qual è la Psicologia
trans-personale, la New Age, un movimento che unisce scienze
antiche e moderne con l’intento di trascendere l’uomo, pur
prestandogli la dovuta attenzione, e di prediligere un suo
sviluppo interessato più ai bisogni dello spirito che a
quelli materiali. In questo modo l’uomo è visto in
un’identità transpersonale, in altre parole in un’identità
che è in grado di trascendere la struttura della
personalità, senza perdere, però, il contatto con la propria
individualità.
Se quello descritto (la Psicologia Umanistica e
Trans-personale) è lo scenario su cui la Mental Reset si
raffigura muovendo i primi passi, vediamo ora di elaborare e
dare corpo ai passi successivi, passi possibilmente veloci e
snelli proprio di chi finalmente riprende in piena autonomia
e speditamente il proprio percorso vitale.
Vediamo dunque su quali perni poggia e gira questa tecnica.
1. La Relazione assurge a strumento principe dell’intervento
che a sua volta diventa strumento sia di cambiamento e di
correzione o, più appropriatamente, di restauro all’interno
del personale funzionamento psichico che di sviluppo e di
costruzione di nuovi, originali e generali, oltre che
personali, funzionamenti psichici. Il presupposto
fondamentale poggia sul fatto che i problemi presentati
dalle persone che si rivolgono allo Psicoterapeuta e
vissuti, a volta, con intensa angoscia derivano da
“persistenti e ricorrenti” comportamenti messi in atto da
ogni persona “nella sua relazione con un contesto
relazionale”. A questo punto paragoniamo il percorso della
nostra vita al letto di un fiume le cui acque scorrono, non
importa se tranquillamente o no, all’interno di due argini
paralleli e definiamo pragmaticamente questi argini perché
in questo modo finiremo per denominare le linee o binario
sui quali si muove la nostra vita. La prima linea potremmo
chiamarla quella della “ dovere” e la seconda quella della “
piacere”, binario parallelo ma che, a differenza del fiume,
nella vita per tratti, a volte anche lunghi, s’interseca.
Occorre però intendersi sul loro significato. La linea del
dovere potrebbe essere rappresentata da un archetipo che si
muove, prevalentemente ma non solo, all’interno di due
sistemi atavici quali “lavoro e famiglia”, sistemi ordinati
ed immutabili al cui raggiungimento normalmente e
doverosamente tendiamo anche se, come a volte accade lungo
il percorso vitale, si finisce per bloccarsi o avvicinarsi o
allontanarsi o ripiegare su nuove e singolari espressioni.
La linea del piacere potrebbe essere rappresentata
dall’auto-realizzazione che dà fiato a quell’innata,
intrinseca natura interiore, espressione di potenzialità, di
capacità, di talento, di vocazione che consente, come e
forse ancor di più rispetto alla precedente, la
soddisfazione delle fondamentali necessità di sicurezza,
d’appartenenza, d’amore, di rispetto e di stima per se
stessi prima che per gli altri, che permette in altre parole
all’individuo di avere nessun bisogno degli altri, d’essere
assai meno dipendente, più autonomo ed auto-diretto.
Abituati come siamo a ragionare per dualismi, anche in
questo caso ci troviamo ad argomentare tra “problemi” che
sorgono all’interno di una “collusione relazionale esterna”
appunto rappresentata dai problemi o forse sarebbe meglio
dire dagli “accadimenti” che sorgono prevalentemente ed in
particolare nell’ambito della collusione relazionale
lavorativa o affettiva ed all’interno di una “costruzione
relazionale interna” espressa dalla “costruzione
simbolico-affettiva di una relazione” che in quanto
personale potrebbe risentire della funzione più rilevante
della mente che è quella “della simbolizzazione emozionale
degli oggetti e delle relazioni”. Alla fine potremmo
configurare una linea che parte dalle Relazioni, passa per
le Collusioni esterne e le Costruzioni interne (lavorative
ed affettive o familiari) ed arriva ai Problemi o
Accadimenti esterni e interni. Potremmo pensare ad un
principio ed una fine ma in questo caso dovremmo
considerare, diversamente da come siamo abituati a fare, le
Relazioni come principio in quanto da esse scaturiscono,
derivano i Problemi e quindi, nel mettere sullo sfondo i
Problemi, orientare l’intervento sulle costruzioni oltre che
sulle collusioni relazionali, lavorative e familiari in
particolare, e giungere infine alla consapevolezza dei
personali schemi Relazionali. Allora, dal momento che vi
potrebbe essere una certa tendenza alla ripetizione di
questi schemi, acquisterebbe una certa importanza la
conoscenza delle espressioni relazionali attraverso la “loro
rappresentazione”.
2. La Rappresentazione si configura quale campo scenico nel
quale prendono corpo ed anima i Problemi o gli Accadimenti
proprio come se, seduti in una comoda poltrona, stessimo
assistendo alla proiezione di una piece teatrale o di un
film, solo che in questo caso l’attore principale è l’Utente
che recita un suo copione, in altre parole un copione
appena, appena scritto ed improvvisato da lui e gli attori
secondari sono personaggi che sono mossi e posizionati sulla
scena dallo stesso Utente. In altri termini ci troviamo di
fronte ad una grossolana, nel senso di mai provata, unica,
nel senso che appartiene soltanto a lui, ed ingenua, nel
senso di genuina, interpretazione delle personali
problematicità all’interno dei sistemi relazionali,
lavorativi ed affettivi in particolare, di riferimento.
In questa Rappresentazione non è necessario allestire un
particolare scenario perché qui la scena è costituita
semplicemente da “una Scacchiera” né occorre agganciare
improvvisati attori perché qui gli attori sono “i Puffi”,
l’allegra e variopinta famiglia dei Puffi, posizionati e
fatti vivere sulla scacchiera dallo stesso Utente-Puffo.
Naturalmente, dovendo rappresentare le personali Collusioni
esterne e le Costruzioni interne, è indispensabile
predisporre, oltre ai Puffi, anche “Statuine” rappresentanti
l’emozionalità o meglio il mondo interiore, il mondo
invisibile rispetto al visibile mondo esteriore. Un doppio
sguardo, quello dello Psicoterapeuta e quello dell’Utente,
si poggia, allora, sulla rappresentazione e la doppia
visione predispone per l’insorgenza di più sensi e
significati, esterni ed interni, di modo che il visibile
sembra andare a braccetto con l’invisibile e l’invisibile
per niente temere il visibile.
3. L’Osservazione contemplativa permette il risveglio, la
fuoriuscita e la riabilitazione di funzioni dell’Io che
giacevano in letargia. Ecco allora man mano presentarsi… “il
rivedere” tutti gli avvenimenti recenti e non, le
problematicità presenti e passate, gli incontri quotidiani e
non, le persone entrate nella vita un tempo come negli
ultimi mesi… “ il ripensare” al cumulo d’impegni attraverso
i quali si è passati nel cammino… “il riordino” mentale
delle precedenti funzioni… “il cogliere” il senso ed il
significato delle diverse esperienze… “la valutazione” del
tutto… che conduce alla raffigurazione della “struttura
della Personalità” che conduce inevitabilmente allo stadio
successivo, quello della Consapevolezza. Appare evidente che
l’Osservazione contemplativa conduce, apre la strada ad una
nuova dimensione, a quella dimensione contemplativa
dell’esistenza che, mettendo in comunicazione l’interno con
l’esterno, fa si che non si notino e non ci siano più quelle
differenze tra il contenuto e la sua espressione.
Rappresenta un qualcosa di più rispetto alla semplice
intuizione e alla nota interpretazione poiché si ritiene che
tutto ciò (bisogno – desiderio – impulso) d’insoddisfatto
non è fastidioso, minaccioso o tensivo e pertanto non c’è
alcuna necessità di liberarsene, di negarlo, di evitarlo,
insomma di mettere in atto qualunque diavoleria pur di
raggiungere la quiete.
4. La Consapevolezza origina proprio dall’abbandonare la
strada che porta alla quiete e prendere quella che conduce
all’omeostasi che vuol dire “affatto ridurre lo stato
tensivo a zero bensì raggiungere un livello ottimale in cui
c’è la possibilità di ridurre come di accrescere la
tensione”. Allora la Consapevolezza finisce per prendere il
sopravvento sull’Inconsapevolezza, la Consapevolezza della
necessità di dare uno “specifico orientamento” sia alla
contemplazione sia all’azione, la Consapevolezza che “la
direzione dell’orientamento” è personale, appartiene all’Io
ed è inevitabilmente unico nella sua unità. Questa
Consapevolezza favorisce “la conversione della volontà
funzione dell’anima intellettiva sulla volontà asservita
all’istinto o sentimento” e ristabilisce il flusso
energetico interrotto, bloccato, disperato e lo restaura in
flusso energetico chiaro, illuminato, trasparente. Ma la
Consapevolezza non è sufficiente da sola a determinare una
svolta, anche se evita, allontana una probabile
superficialità o visione limitata degli accadimenti e porta
alla considerazione che per un verso o per l’altro sia “il
fare o il produrre” sia “la contemplazione” non
rappresentano una “fuga dal reale” bensì “il reale”. Occorre
dunque “nell’accettare ciò che l’Utente offre” trasportarlo
nell’insight e trascenderlo con la Ridefinizione o Restauro
anche se “ciò che è offerto potrebbe proprio non essere
gustoso”. L’insight in questo caso non si riferisce alla
consapevolezza del “profondo” (cause storiche – mentali –
familiari) sottostante alle problematicità presentate quanto
alla consapevolezza, ad una visione più ampia del sistema
relazionale in quanto tale.
5. La Ridefinizione è intesa come un armonico restauro che,
nel trascendere la discussione sulle problematicità, i
relativi comportamenti e l’insight, tende “a non chiarire la
realtà della o delle relazioni problematiche ma ad alterarle
e migliorarle di modo che il prodotto del percorso conduca
“al primato dell’essere sull’avere, sul dire o sul fare. La
Ridefinizione pertanto è resa possibile grazie
all’osservazione diretta su ciò che accade nei sistemi
relazionali umani, su come si perpetuano e si ripetono (in
questo cronicizzandosi) determinate linee di condotta, su
come attraverso di essa avviene un’efficace modifica in
ambiti vitali diversi da quelli presentati come
problematici.
Materiale e Prassi metodologica
La Mental Reset è una “psicoterapia breve” dei Disturbi
Psichici laddove per breve s’intende a) il focalizzarsi
sulle interazioni del comportamento osservabili nel
presente; b) un intervento mirato che abbia come scopo
quello di modificare il sistema attuale (Watzlawick P.). Il
setting prevede sedute, vis a vis, di quarantacinque minuti,
tenute una volta la settimana e già dalla prima seduta
l’attenzione è rivolta all’attuale disagio o sofferenza o
problema dell’Io attraverso “la Rappresentazione” da parte
dell’Utente su una “Scacchiera” del “Problema affettivo o
lavorativo”. Il punto di forza sta proprio nella
“Rappresentazione” che l’Utente traccia delle sue
problematicità partendo dal postulato che tutti i problemi
potrebbero essere racchiusi all’interno delle relazioni che
si hanno, in particolare, nel campo lavorativo ed affettivo.
Naturalmente la Relazione deriva da modelli o schemi
relazionali acquisiti, nel senso di “fatti propri”, perciò
ogni rappresentazione presenta le caratteristiche della
“unicità” in quanto appartenente al singolo individuo che la
traccia. La Scacchiera in questo modo si anima di
“Personaggi-Puffi” che in un modo o nell’altro sono
coinvolti dinamicamente nel suo problema, che sono
liberamente scelti e liberamente posizionati dall’Utente
sfruttando a suo piacimento le dimensioni della scacchiera e
che in fondo rappresentano il problema lavorativo o
affettivo che diventa così l’oggetto principe della
discussione. Accanto a questi personaggi-puffi (in sostanza
i personaggi sono quelle piccole e simpatiche statuine della
famiglia dei puffi o altri piccoli personaggi giocattoli) ve
ne sono degli altri che rappresentano la simbolizzazione
emozionale dell’Utente, poiché ogni relazione configura ed è
pregna di uno specifico significato emozionale. Questa prima
rappresentazione è chiamata “la Prima Mossa” perché l’Utente
ha a sua disposizione una rappresentazione o mossa diversa
per ogni seduta, perciò le Rappresentazioni o Mosse saranno
tante quante saranno le sedute. Si comprende come ogni
rappresentazione raffiguri e, quindi, rappresenti “il
Sistema Relazionale” dell’Utente, sistema in cui c’è
sicuramente qualcosa che non va dal momento che vi è
espressione verbale e somatica di sofferenza psichica.
Pertanto alla Rappresentazione fa seguito “l’Osservazione
contemplativa” sia da parte dell’Utente che da parte dello
Psicoterapeuta, preludio di “Discussione” che ha come punto
di riferimento il problema ma che da esso si allontana per
coinvolgere tutto il suo personale ed unico sistema
relazionale. La Prassi metodologica verte allora su questi
punti:
1. Osservazione degli Accadimenti
2. Posizionamento di fronte agli Accadimenti e nei Sistemi
3. Relazionamento Comunicativo soggettivo ed oggettivo
4. Emozioni primarie
5. Vissuto emozionale
6. Coscienza emozionale e strategie di Regolazione emotiva
7. Metacognizione attraverso un accordo integrato tra
cognizione ed emozione
Risultati e Conclusioni
Poco interessa che cosa trasformi, prima o poi, il segnale
di disagio, di sofferenza in sintomo e malattia, ma va
certamente ricercata una lettura adeguata ed
un’interpretazione allargata, ad ampio orizzonte, che
comprendi la persona nel suo contesto biopsicosociale. La
“Mental Reset” è certamente un protocollo psicoterapeutico
che incoraggia e spinge ulteriormente la ricerca clinica dei
disturbi psichici e s’identifica come strumento terapeutico
efficace per il benessere e la qualità della vita
indipendentemente dallo specifico disturbo. Questa tecnica
insegna all’Utente la possibilità di “posizionarsi” di
fronte al problema o accadimento, in particolare quello
lavorativo ed affettivo, da un punto d’osservazione diretto,
a trecentosessanta gradi, dunque lo pone nella migliore
visuale possibile e non solo, lo spinge anche ad un’attesa
attiva e non passiva nel senso che mobilita e convoglia
insospettate risorse ed energie (assopite o castrate) verso
i problemi o gli accadimenti e lo conduce ad una consapevole
ridefinizione del suo sistema relazionale. La resettazione
prende avvio proprio dai sistemi “di base” e dalle “derivate
relazioni” su essi basate creando il corretto funzionamento
dei “sistemi complessi” dal momento che sono proprio questi
ultimi ad essere interessati. Allo stato i risultati
appaiono sorprendentemente incoraggianti, come sempre
sorprendente è la constatazione della complessità della
psiche, capace di collusioni diaboliche ed altrettante
orribili distruzioni come di costruzioni fenomenali ed
artistiche.
Riassunto. La “Mental Reset” è una tecnica psicoterapeutica
che guida l’Utente verso la consapevolezza delle sue
modalità relazionali e le relative tensioni e conflittualità
con se stesso e gli altri di fronte a due grossi contenitori
come possono essere le relazioni lavorative ed affettive e
di conseguenza i problemi lavorativi e affettivi. Prende via
in questo modo un processo di ridefinizione, pulizia o
restauro mentale degli atavici, pur propri, modelli mentali.
Il setting prevede una seduta la settimana della durata di
quarantacinque minuti nella quale vi è la rappresentazione
delle problematicità su una Scacchiera con personaggi-puffi
disposti liberamente dell’Utente assieme a statuine
raffiguranti il contenuto emozionale. I risultanti iniziali
appaiono sorprendentemente e positivamente incoraggianti ed
inducono sempre più a proseguire su questa strada.
Psichiatra GIORGIO BRUNO
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