LA CODA DEL DIAVOLO DI VERGA

LA CODA DEL DIAVOLO di G. VERGA


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La coda del diavolo

 

di Giovanni Verga

 

 

 

Questo racconto � fatto per le persone che vanno colle mani dietro la schiena contando i sassi, per coloro che cercano il pelo nell'uovo e il motivo per cui tutte le cose umane danno una mano alla ragione e l'altra all'assurdo; per quegli altri cui si rizzerebbe il fiocco di cotone sul berretto da notte quando avessero fatto un brutto sogno, e che lascerebbero trascorrere impunemente gli Idi di Marzo; per gli spiritisti, i giuocatori di lotto, gli innamorati, e i novellieri; per tutti coloro che considerano col microscopio gli uncini coi quali un fatto ne tira un altro, quando mettete la mano nel cestone della vita; per i chimici e gli alchimisti che da 5000 anni passano il loro tempo a cercare il punto preciso dove il sogno finisce e comincia la realt�, e a decomporvi le unit� pi� semplici della verit� nelle vostre idee, nei vostri principi, e nei vostri sentimenti, investigando quanta parte del voi nella notte ci sia nel voi desto, e la reciproca azione e reazione, gente sofistica la quale sarebbe capace di dirvi tranquillamente che dormite ancora quando il sole vi sembra allegro, o la pioggia vi sembra uggiosa - o quando credete d'andare a spasso tenendo sotto il braccio la moglie vostra, il che sarebbe peggio. Infine, per le persone che non vi permetterebbero di aprir bocca, fosse per dire una sciocchezza, senza provare qualche cosa, questo racconto potrebbe provare e spiegare molte cose, le quali si lasciano in bianco apposta, perch� ciascuno vi trovi quello che vi cerca.

Narro la storia ora che i personaggi di essa sono tutti in salvo dalle indiscrete ricerche dei curiosi; poich� dei tre personaggi - � una storia a tre personaggi, come le storie perfette, e di tutti e tre avete gi� indovinato l'azione, per poco pratica che abbiate di queste cose - lui � al Cairo, o l� presso, a dirigere non so che lavori ferroviari; lei � morta, poveretta! e l'altro in certo modo � morto anche lui, si � trasformato, ha preso moglie, non si rammenta pi� di nulla, e non si riconoscerebbe pi� nemmeno dinanzi ad uno specchio di dieci anni addietro, se non fossero certi calabroni petulanti e ronzanti attorno a sua moglie, che gli mettono lo specchio sotto il naso, e somigliano cos� a lui quand'era petulante e ronzante anch'esso, da fargli montare la mosca al naso. Insomma, tre personaggi comodissimi che non contano pi�, che non esistono quasi - potete anche immaginare che non siano mai esistiti.

Lui e l'altro erano due buoni e bravi ragazzi, due anime gemelle, amici fin dall'infanzia, Oreste e Pilade dell'Amministrazione ferroviaria. Lui era ingegnere, l'altro disegnatore; abitavano nella medesima casa, e andavano sempre insieme, ci� che li avea fatti soprannominare i Fratelli Siamesi; si vedevano tutti i giorni all'ufficio dalle nove del mattino alle cinque della sera. Non si seppe spiegare come lui avesse potuto conoscere la Lina, farle la corte, e sposarla; - era l'unico torto in trent'anni che Damone avesse fatto al suo Pitia.

Ma alla fin fine non era stato un torto nemmen quello. Pitia-Donati sulle prime avea tenuto il broncio al suo Damone-Corsi, � vero, ma il broncio non era durato una settimana. Lina era tale ragazza che si sarebbe fatta voler bene da un orso, e Donati poi non era un orso; ella sapeva quali gelosie dovesse disarmare, e col suo dolce sorriso e le sue maniere gentili e carezzevoli s'era messa tranquillamente nell'intimit� dei due amici come un ramoscello d'ellera, invece di ficcarcisi come un cuneo.

In capo ad alcuni mesi erano tre amici invece di due, ecco tutto il cambiamento. Donati sapeva d'avere anche una sorella oltre il fratello, e Corsi lo sapeva meglio di lui. Di tutto quello che immaginate, e che avvenne difatti, non c'era neppur l'ombra del sospetto nella mente di alcuno dei tre - altrimenti la storia che vi racconto non avrebbe avuto nulla di singolare.

Pi� singolare ancora � che questo stato di cose sia durato otto anni, e avrebbe potuto durare anche indefinitamente. Da principio nelle manifestazioni dell'amicizia, della gran simpatia che sentivano l'un per l'altro Donati e Lina, c'era stato un leggiero imbarazzo, forse causato dal timore che potessero essere male interpretate; poi l'abitudine, la lealt� dei loro cuori, la purezza istessa di quei sentimenti, li avevano resi pi� espansivi, pi� schietti, e pi� fiduciosi. Donati avea assistito la Lina in una lunga e pericolosa malattia come un vero fratello avrebbe potuto fare, ed ella avea per il quasi fratello di suo marito tutte le cure, tutte le delicate premure di una sorella.

La intimit� delle due piccole famiglie era divenuta cos� cordiale, cos� sincera, cos� aperta a due battenti, che gli amici, i conoscenti, il mondo, non la stimavano n� troppa, n� sospetta. Cos� rara, ne convengo, com'era rara l'onest� di quelle anime; ma se in una sola di esse ci fosse stato del poco di buono, non avrei bisogno di tirare in campo il Fato degli antichi, o la coda del diavolo dei moderni.

La sera, dopo il desinare, andavano a spasso tutti e tre. Donati dava il braccio alla Lina, e si impettiva allorch� leggeva negli occhi dei viandanti �che bella donnina!�. La domenica pranzavano insieme, e prendevano un palchetto al Comunale o all'Alfieri. Donati avea la smania delle sorprese; sorprese che si poteano indovinare col calendario alla mano, a Natale, a Pasqua, e il d� dell'onomastico di Lina. Arrivava con un'aria disinvolta che lo tradiva peggio delle sue tasche rigonfie come bisacce, e si fregava le mani vedendo sorridere la Lina. La sera, d'inverno, si raccoglievano nel salotto, presso il tavolino; facevano quattro chiacchiere; sfogliavano delle riviste, dei romanzi nuovi, indovinavano delle sciarade, o Lina suonava il piano. Donati aveva una pazienza ammirabile per sorbirsi il racconto dettagliato di tutti i romanzi che leggeva Lina - era il solo vizio che ella avesse - sapeva indovinare delicatamente l'arte di ascoltare, di farsi punto ammirativo, o punto interrogativo, di agitarsi sulla seggiola, di convertire lo sbadiglio in esclamazione, mentre, povero diavolo, cascava dal sonno, o capiva poco, o, semplice e tranquillo com'era, non s'interessava affatto a tutti i punti ammirativi cui si credeva obbligato dalla situazione.

Spesso, risalendo nelle sue stanze, trovava dei fiori freschi sullo scrittoio, un tappetino nuovo dinanzi al canap�, qualche cosuccia elegante messa in bella mostra sui mobili modesti. Un risolino giocondo che veniva dal fondo dell'anima faceva capolino discretamente su quel viso sereno da galantuomo, e si rifletteva su tutte quelle cosucce silenziose; allora a mo' di ringraziamento, egli picchiava due o tre colpi sul pavimento. Lina si era data un gran da fare per cercargli moglie; ei rispondeva invariabilmente: - Oib�! stiamo benone cos�. Non mettiamo il diavolo in casa -. Il poveretto era cos� persuaso d'appartenere a quella famigliuola, era cos� contento di quella tranquilla esistenza, che avrebbe creduto di metter il fuoco all'appartamento, se avesse fatto un sol passo al di fuori della falsariga sulla quale era uso a camminare, e sulla quale erano regolate tutte le sue azioni, da perfetto impiegato. Ai suoi amici che gli consigliavano di farsi una famiglia, rispondeva: - Ne ho una e mi basta -. E gli amici non ridevano. Lina invece diceva che non bastava; pensava agli anni pi� maturi, alle infermit�, alla vecchiaia del suo amico, come avrebbe potuto farlo una madre.

Qualche volta prima di chiudere la finestra, sentendolo passeggiare tutto solo nella camera soprastante, alzava gli occhi al soffitto e mormorava: - Povero giovane! - L'isolamento di quella vita melanconica, scolorita, monotona, nell'et� delle passioni e dei piaceri, dava un certo risalto a quel carattere calmo e modesto, ingigantiva la figura austera di quel solitario, esagerava l'idea del sacrificio, rendeva l'uomo simpatico, si insinuava come una puntura in mezzo alla felicit� di lei, cos� piena, cos� completa; le faceva pensare, con un sentimento di dolcezza, alla parte di protezione, di affetto fraterno e di conforto che ella poteva esercitarvi.

A voi, cercatori d'uncini!

A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c'� la festa di Sant'Agata, - gran veglione di cui tutta la citt� � il teatro - nel quale le signore, ed anche le pedine, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d'intrigare amici e conoscenti, e d'andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso. Questo si chiama il diritto di 'ntuppatedda, diritto il quale, checch� ne dicano i cronisti, dovette esserci lasciato dai Saraceni, a giudicarne dal gran valore che ha per la donna dell'harem. Il costume componesi di un vestito elegante e severo, possibilmente nero, chiuso quasi per intero nel manto, il quale poi copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio per vederci e per far perdere la tramontana, o per far dare al diavolo. La sola civetteria che il costume permette � una punta di guanto, una punta di stivalino, una punta di sottana o di fazzoletto ricamato, una punta di qualche cosa da far valere insomma, tanto da lasciare indovinare il rimanente. Dalle quattro alle otto o alle nove di sera la 'ntuppatedda � padrona di s� (cosa che da noi ha un certo valore), delle strade, dei ritrovi, di voi, se avete la fortuna di esser conosciuto da lei, della vostra borsa e della vostra testa, se ne avete; � padrona di staccarvi dal braccio di un amico, di farvi piantare in asso la moglie o l'amante, di farvi scendere di carrozza, di farvi interrompere gli affari, di prendervi dal caff�, di chiamarvi se siete alla finestra, di menarvi pel naso da un capo all'altro della citt�, fra il mogio e il fatuo, ma in fondo con cera parlante d'uomo che ha una paura maledetta di sembrar ridicolo; di farvi pestare i piedi dalla folla, di farvi comperare, per amore di quel solo occhio che potete scorgere, sotto pretesto che ne ha il capriccio, tutto ci� che lascereste volentieri dal mercante, di rompervi la testa e le gambe - le 'ntuppatedde pi� delicate, pi� fragili, sono instancabili, - di rendervi geloso, di rendervi innamorato, di rendervi imbecille, e allorch� siete rifinito, intontito, balordo, di piantarvi l�, sul marciapiede della via, o alla porta del caff�, con un sorriso stentato di cuor contento che fa piet�, e con un punto interrogativo negli occhi, un punto interrogativo fra il curioso e l'indispettito. Per dir tutta la verit�, c'� sempre qualcuno che non � lasciato cos�, n� con quel viso; ma sono pochi gli eletti, mentre voi ve ne restate colla vostra curiosit� in corpo, nove volte su dieci, foste anche il marito della donna che vi ha rimorchiato al suo braccio per quattro o cinque ore - il segreto della 'ntuppatedda � sacro. Singolare usanza in un paese che ha la riputazione di possedere i mariti pi� suscettibili di cristianit�! � vero che � un'usanza che se ne va.

Ora accade che una volta, tre o quattro giorni prima della festa, Lina, burlona com'era, parlando di 'ntuppatedde, dicesse a Donati:

- Stavolta, sapete, non vi consiglio di farvi vedere per le strade -.

Donati sapeva che Lina non s'era travestita mai da 'ntuppatedda, e siccome era la sola sua amica da cui potesse aspettarsi una sorpresa, rispose facendo una spallata:

- Poich� me la son passata liscia per otto anni!...

- Liscia o non liscia, a voi! Uomo avvisato uomo salvato -.

Ma Donati non cercava di salvarsi, anzi quel tal pericolo lo attraeva, senza fargli sospettare il detto del Vangelo. Sarebbe stata una festa, una superba occasione di fare alla Lina un bel regaluccio fingendo di non riconoscerla, di prendere il di sopra e intrigarla invece di lasciarsi intrigare, di godersi l'imbarazzo di lei, far lo gnorri, e riderne poi di gusto insieme a lei. Stette tutto il giorno almanaccandoci sopra, mentre all'ufficio tirava linee rette e curve, passandosi la lezione a memoria, studiando le botte e le risposte, facendo provvista di spirito a mente riposata. L'idea di condursi sotto il braccio quella bella donnina, potendo fingere di non conoscerla, di trovarsi solo con lei, in mezzo alla folla, di essere per un'ora il suo solo protettore, uno sconosciuto, un uomo nuovo, avea qualcosa di clandestino che lo faceva ringalluzzire come di una buona fortuna.

Ora ecco la coda del diavolo, quella benedetta coda che si diverte a mettere sossopra tutte le buone intenzioni di cui � lastricato l'inferno, insinuandosi fra le commessure di esse, scoprendo il rovescio dei migliori sentimenti, mettendo in luce l'altro lato delle azioni pi� oneste, dei fatti che sembrano avere il motivo meno indeterminato.

La notte che precedette il giorno della festa Donati fece un brutto sogno; ma cos� vivo, cos� strano, cos� sorprendente, accompagnato da tale verit� di circostanze, che allorch� fu sveglio rimase un bel pezzo incerto se fosse stato o no un brutto sogno, e non pot� chiudere occhio pel resto della notte. Sogn� di trovarsi insieme a Lina, una Lina che parevagli di non aver conosciuto mai, vestita da 'ntuppatedda, coll'occhio nero e luccicante, la voce e le mani tremanti d'emozione, erano seduti ad un tavolino del Caff� di Sicilia, dov'egli non soleva andar mai, stavano immobili, zitti, guardandosi. Ad un tratto ella s'era lasciata scivolare il manto sulle spalle, fissandolo sempre con quegli occhi indiavolati, rossa come non l'aveva mai vista, e afferrandogli il capo per le tempie gli avea avventato in faccia un bacio caldo e febbrile.

Il povero Donati salt� alto un palmo sul letto, si svegli� con un gran batticuore, e stette cinque minuti fregandosi gli occhi, ancora balordo. A poco a poco si calm�, fin� col ridere di se stesso, e non ci pens� pi�.

Il giorno dopo fece l'indiano; finse di non accorgersi di certi sorrisi maliziosi della Lina, dell'aria affaccendata di lei, dell'insolito va e vieni che c'era per casa. Disse che avrebbe passata la sera all'ufficio, per un lavoro straordinario, e and� a piantarsi in sentinella sul marciapiede del Gabinetto di lettura.

Aspetta e aspetta, finalmente, verso le cinque, Lina comparve lesta lesta dai Quattro Cantoni, un po' impacciata nel manto, ma impacciata con grazia; and� difilato dov'egli trovavasi, come se l'avesse saputo, si cacci� in mezzo alla folla, e infil� senz'altro il suo braccino sotto quello di lui. Donati l'avrebbe riconosciuta a questo soltanto. Ella, spiritosa e chiacchierina, badava a stordirlo con un cicaleccio tutto scoppiettio, ad inventargli mille frottole per intrigarlo, ad imbarazzarlo con quel po' d'inglese e di francese che l'era rimasto del collegio, facendosi credere ora una signora forestiera, ora una ragazza che avesse il diritto di cavargli gli occhi, ora una amica che si fosse travestita per salvarlo da un gran pericolo, ora una lontana parente che si fosse rammentata di lui per venirgli a chiedere la strenna di una catenella d'oro. Donati fingeva di cascarci, se la rideva sotto i baffi, se la godeva mezzo mondo, si divertiva ad intrigarla lui, alla sua volta, lasciandole supporre che avesse indovinato dei gran segreti, permettendole di edificare cento storie che non esistevano, sul fantastico addentellato che ella stessa gli avea offerto. Infine, quando la vide pi� curiosa, quando le sorprese negli occhi il primo baleno di un sentimento nuovo, qualcosa fra la sorpresa e la timidit� di trovarsi con tutt'altro uomo, scoppi� a ridere, e con quella sua faceta bonomia le disse: - Cara Lina, quando volete sorprendere il mio segreto, e farvi passare per l'incognita che ha il diritto di cavarmi gli occhi, non dovete mettere quel braccialetto l�, che me li cava davvero, tanto lo conosco! - Lina si mise a ridere anche lei, sollev� un po' il manto, e disse: - Bravo! Ora che avete vinto, giacch� siamo davanti al Caff� di Sicilia, offritemi un sorbetto -. Ed entrarono.

Bizzarria del caso! andarono a mettersi proprio a quel medesimo tavolino che Donati avea visto in sogno, l'uno di faccia all'altra, come nel sogno. Lina avea caldo e si faceva vento col fazzoletto; lasci� scivolare il manto sulle spalle, e appoggi� il gomito sul tavolino. Donati la vedeva fare senza aprir bocca.

Da alcuni minuti Donati mostravasi singolarmente imbarazzato; rispondeva sconnesso, a sproposito, e finalmente le parole gli erano morte in bocca. Lina chiacchierava per due, un po' rossa dal caldo, coll'occhio acceso dalla maschera, come nel sogno. Finalmente si avvide del turbamento che Donati non sapeva padroneggiare, e ad una risposta di lui pi� sbalestrata delle altre, dissegli: - O... cos'avete? -

Ei si fece rosso. Infine, davvero... che aveva? Era una cosa ridicola! Possibile che quel sogno della notte lo avesse imbecillito per tutta la giornata! e si stringeva nelle spalle ridendo ingenuamente di se stesso. - To'! - rispose, - ho che sono un asino. Una sciocchezza! e se ve la nascondessi sarei sciocco due volte: ecco! - e le raccont� il sogno quale s'era riprodotto punto per punto nella realt�, meno una circostanza che tacque, ben inteso, o piuttosto tradusse ad usum delphini, dicendole che ella nel sogno gli avesse confessato di amarlo - nientedimeno!

Donati rideva ancora, rideva di tutto cuore riandando per filo e per segno le stramberie della notte, che raccontate diventavano pi� assurde; rideva dell'impressione singolare che il ripetersi di talune circostanze del sogno avea fatto su di lui. Ella da principio s'era fatta rossa; l'ascoltava in silenzio, col mento sulla mano, senza guardarlo pi�, senza ridere pi�. Quando egli ebbe finito, abbozz� un pallido sorriso per non lasciarlo senza risposta - non ne trov� una migliore - e s'alz�. Se ne andarono in fretta, discorrendo a sbalzi, qualche volta cercando le parole.

Donati non era precisamente certo di non aver detto qualche corbelleria; ma sentiva in nube che avrebbe dato una mesata del suo stipendio perch� non avesse parlato, ed anzi perch� non avesse avuto di che parlare. La festa fin� zitta zitta, e senza allegria.

Tutti gli anni, il domani della festa, i tre amici solevano andare a desinare in campagna. Stavolta Lina fu indisposta e non se ne fece nulla. Donati avrebbe voluto a qualunque costo che quel giorno si fosse passato come tutti gli altri anni, perch� avea sempre sullo stomaco il sogno e il gran ciarlare che ne avea fatto, e avrebbe voluto metterci sopra una buona pietra, col seguitare a far quello che avevano sempre fatto, e non pensarci pi�. La sera per� la passarono come di consueto, in famiglia. Lina comparve un po' tardi, con un viso di donna che ha l'emicrania, ma calma e serena. Donati le domand� come si sentisse. Ella gli piant� gli occhi in faccia, due occhi che gli fecero l'effetto di due chiodi, e rispose secco secco: - Bene -.

Fu la prima sera passata freddamente. D'allora in poi ce ne furono parecchie di simili. Lina agucchiava, Donati suonava o leggeva, e Corsi s'ingegnava di attaccare uno scampolo di conversazione, alla quale la moglie rispondeva con monosillabi tenendo gli occhi fitti sul lavoro, e Donati con una specie di grugnito senza lasciare il libro, n� il sigaro; persino Corsi, allegro per natura ed espansivo, diveniva anch'esso taciturno ed uggito; spirava un'aria di musoneria in casa sua che agghiacciava tutto. Si lasciavano di buon'ora, Lina porgeva appena la mano: qualche volta non compariva che un momento per dare la buona notte.

Il povero Donati non sapeva darsi pace. Si sentiva colpevole, ma la colpa maggiore era stata quella di esagerare il male che aveva fatto, colla sua aria di reo; e chiamava in aiuto tutti i santi, perch� gli dessero il coraggio di prendere una buona volta la Lina a quattro occhi e dirle: - Ors�, infine, cos'avete? cosa � stato? cosa ho fatto? - Ma quella domanda semplicissima diveniva la cosa pi� difficile di questo mondo. Il nuovo contegno di lei, la sua riservatezza, la sua freddezza insolita, la rendevano tutt'altra donna, una donna che gli chiudeva in bocca le perorazioni pi� eloquenti, e gli legava la lingua e i movimenti.

Una di quelle sere, voltandosi all'improvviso, sorprese gli occhi di Lina, fissi su di lui con tale espressione che gli fece rimescolare il sangue dai piedi alla testa; era uno sguardo che non le avea mai visto, profondo, in cui brillava dell'amarezza, una curiosit� insolita, acre e pungente. Lina avvamp� in viso e chin� il capo; ei non os� pi� voltarsi per timore d'incontrare un'altra volta quegli occhi indiavolati.

Finalmente, una volta che Corsi non c'era, gli parve ad un tratto sentirsi invadere dal coraggio che avea tanto invocato. Lina era immersa a capo fitto in quel che stava leggendo, e non fiatava da un gran pezzo; ei si alz�, fece un passo verso di lei, e balbett�:

- Lina! -

Ella si rizz�, spaventata da quella sola parola, pallida come un cencio e tutta tremante. Donati rimase a bocca aperta e non seppe andare innanzi. Rimasero alcuni istanti cos�. Ella si rimise per la prima; prese il ricamo che aveva accanto, ma le mani le tremavano ancora talmente che l'ago punzecchiava stoffa. Egli si arrovellava dentro di s� d'essere cos� grullo. - Cosa avete? - disse infine. - Siete in collera con me? Non mi perdonerete mai? -

La donna alz� il capo, sgomenta, e lo guard� come esterrefatta. Chin� la fronte di nuovo e balbett� con voce spenta e mal ferma alcune parole inintelligibili.

A poco a poco Donati dirad� le sue visite. Corsi gli si mostrava sempre pi� freddo. Quando i due antichi amici si trovavano insieme, provavano, senza saper perch�, un imbarazzo inesplicabile. La freddezza di entrambi si comunicava e si moltiplicava dall'uno all'altro. Corsi avea tutto indovinato dal nuovo contegno della moglie e dell'amico, oppure Lina gli avea tutto raccontato? L'ultima volta che Donati and� da lei, pel suo onomastico, la trov� che era sola in casa. Lina si fece di bracia e represse a stento un movimento di sorpresa. Donati non sapeva trovare il verso del pelo del suo cappello, n� le prime frasi di un discorso che andasse.

Ella stava sul canap�, in gran cerimonia, s� da far venire la voglia al disgraziato visitatore d'andarsene dalla finestra. La visita dur� dieci minuti. Mentre scendeva le scale l'ex-Polluce mormorava con voce soffocata nella gola: - � finita! � finita! -

D'allora in poi non ebbe pi� il coraggio di picchiare a quell'uscio. Veniva a casa mogio mogio, il pi� tardi che poteva, guardando furtivamente quella finestra rischiarata che gli rammentava le sere gioconde passate accanto al fuoco, col cuore e i piedi caldi, e affrettava il passo sul ripiano della scala. Giammai le sue modeste stanzucce non gli erano sembrate pi� silenziose, pi� fredde, e pi� melanconiche; adesso il povero romito ci stava il meno che potesse. Stando fuori, fece come aveva fatto Corsi, conobbe un'altra Lina.

Venuto il settembre, Corsi avea sloggiato senza nemmen dirgli addio, e non s'erano pi� visti. Lina era stata inferma, e gravemente: Donati l'aveva saputo molto tempo dopo. Gli avevano detto che la malattia l'avea cambiata di molto; ei ci aveva pensato spesso, avea avuto spesso dinanzi agli occhi quel profilo delicato e pallido, e quegli occhi febbrili, come una trafitta, come un rimorso; ma non avrebbe immaginato mai l'impressione che dovevano fare su di lui quel viso e quell'occhiata furtiva la prima volta che, andando colla sua fidanzata, incontr� Lina. - Ella s'era voltata a guardarlo di nascosto, come si guarda un mostro o un malfattore.

Intanto era trascorso l'anno, ed era sopravvenuta la festa di Sant'Agata. Donati doveva sposare da l� a poco. Egli aspettava in mezzo alla folla una 'ntuppatedda che quasi gli aveva promesso di farsi vedere un momento quando si sent� afferrare all'improvviso pel braccio. Gett� una rapida occhiata sulla donna mascherata, ma la sua fidanzata era pi� piccola di statura e non aveva quell'occhio nero cos� sfavillante. Ei sent� che il cuore dava un tuffo; non seppe cosa dire, e si lasci� rimorchiare dentro il caff�.

La sua compagna cerc� un tavolino appartato e sedette di faccia a lui; sembrava stanca e commossa fuor di modo. Ei la considerava ansiosamente. - Lina! - esclam� infine.

- Ah! - diss'ella con un riso che voleva dir tante cose; e appoggi� la fronte incappucciata sulla mano.

Donati balbettava parole senza senso.

- Vi sorprende vedermi qui? - domand� Lina dopo un lungo silenzio.

- Voi?

- Vi sorprende? -

Donati chin� il capo. Ella lasci� scivolare il manto sulle spalle, e mormor�: - Vedete!

- Mio Dio! - esclam� Donati.

- Vi faccio pieta? Oh, almeno! Ma non � colpa vostra, no!... Ho avuto sempre una salute cagionevole. State tranquillo dunque... Non vorrei avvelenare la vostra luna di miele.

- Oh, cosa dite mai!... Se sapeste... se sapeste quanto ho sofferto!...

- Voi?

- S�!... e quanto mi sono pentito!...

- Ah! vi siete pentito!

- Non so darmi pace!... Non so comprendere io stesso perch�... cosa sia avvenuto per...

- Non lo sapete?

- No, per l'anima mia!

- � accaduto... che vi ho amato.

- Voi! voi! -

Ella si fece ancora pi� pallida; si rizz� in piedi quasi fosse spinta da una molla, e gli disse con voce sorda:

-         Perch� mi avete raccontato quel sogno dunque? �

 

 

 

L'autore dedica la novella a tutti i sospettosi, coloro che cercano il pelo nell'uovo e i maliziosi.
La 
novella racconta della vicenda di tre amici. Donati e Corsi sono due impiegati delle ferrovie, amici fin dall'infanzia, legati come fratelli. Un giorno Corsi conosce una bella ragazza, Lina, se ne innamora e l'amico, dapprima un po' geloso, resta poi colpito dalle gentilezza, dal garbo e dalle belle maniere di Lina, al punto da accettarla quasi come una sorella. Lina e il Corsi si sposano e il terzetto sembra funzionare alla perfezione; gli amici vanno insieme a fare passeggiate, si trovano la sera nel salotto degli sposi a chiacchierare o giocare insieme, vanno insieme a teatro e il loro rapporto � cos� pulito e sincero che anche gli estranei smettono di vederci qualcosa di strano.
L'idillio continua per 8 anni, durante i quali Lina fa da mamma e da sorella al Donati e lui la protegge come un fratello. Un giorno, poso prima della festa di Sant'Agata (in cui le donne possono girare mascherate per la citt� e sono padrone di far impazzire gli uomini, senza rispettare nessun vincolo) Lina fa intendere all'amico che quest' anno, per la prima volta, si mascherer� anche lei. Donati sta al gioco e pensa gi� di poterla mettere in imbarazzo e poi ridere di lei. La notte precedente alla festa sogna per� di trovarsi con lei, mascherata, e di riceverne un bacio; turbato per il sogno al incontra davvero e lei lo invita nello stesso caff� del sogno. A questo punto, con sommo imbarazzo, Donati confida a Lina il sogno, ma lei se ne va in silenzio.
Da quel momento i rapporti si guastano, Lina trova sempre una scusa per non passare le serate con loro, oppure � sempre silenziosa, Donati si sente sempre pi� in imbarazzo, anche perch� incontra qualche strano sguardo di Lina e anche il marito, Corsi, diventa pi� taciturno e musone. L'intesa fra i tre si spacca e Donati smette di frequentare la casa degli amici. Intanto conosce un'altra ragazza e si fidanza, mente il Corsi lascia il posto di lavoro per una grave malattia della moglie.
Alla festa di Sant'Agata, mentre aspetta la fidanzata, Donati si sente prendere il braccio da un'altra donna e riconsoce Lina. I due vanno al caff� e sembrano chiarirsi, Donati si informa della malattia di Lina, ma lei si schernisce ricordando che ha sempre avuto una salute cagionevole.........soprattutto da quando si era innamorata di lui.

 

 

 

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