PIER PAOLO PASOLINI:  Ballata della madre di Stalin

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di Pier Paolo Pasolini

 

 

Ballata della madre di Stalin

 

"Figlio mio, io che fui innocente,

ti ho dato l'amore della colpa.

Dalla colomba è nata la volpe,

quella che la notte viene e spolpa

il bestiame della povera gente.

Nei secoli in cui noi siamo servi,

l'innocenza rende i genitori

più figli dei figli: e i loro signori

li amano perchè così acerbi.

L'innocenza dei servi non è storia!

 

Figlio mio, io che fui mite,

ti ho dato l'amore del rancore.

Dalla stelluccia è nato il sole

che brucia le terre nemiche

del povero popolo lavoratore.

La mitezza in noi servi è paura:

noi cerchiamo soltanto la stima

del padrone, per cui la prima

virtù cristiana della nostra natura

è lasciarci offendere ed opprimere.

 

Figlio mio, io che fui umile

ti ho dato l'amore del potere.

E' nato dalla cipolla il miele

che tenta i figlioletti implumi

ultimi nati alla nostra miseria.

L'umiltà di noi servi è il rispetto

per la volontà del proprietario:

tutto ciò che lui è sembra straordinario

a chi possiede, soltanto, nel petto

un cuore nudo di sottoproletario.

 

Figlio mio, io che fui onesta

ti ho dato l'amore per il tradimento.

Dalla nuvoletta è nato il vento

che invisibile assale la foresta

portando morte e sovvertimento.

L'onestà, per i servi, è una lotta

con sè, per non morire sul patibolo.

Premio della loro buona condotta

è la benedizione di una mano corrotta

nel fumo celeste del turibolo.

 

Figlio mio, io che fui solo vita

ti ho dato l'amore della morte.

E' nata dalla preistoria la sorte

che sconvolge la storia adempita

dalla furia delle masse insorte.

Perchè la vita nuda di noi schiavi

è una forza che di sè non ha dominio:

fonte d'imprevedibile destini

tu dal mio seno la succhiavi,

latte d'eroismi e d'assassinii.

 

Figlio mio, nel mondo quante madri

fanno ancora dei figli come te,

in Asia, in Europa, in Africa, dov'è

terra di schiavi, di banditi e ladri,

che <sognano una cosa> in fondo a sé.

Madri in cui è colpa l'innocenza,

la mitezza rancore, potere l'umiltà,

l'onestà tradimento: e la cui vita dà

sete di morte: bisogna averne conoscenza,

non basta la coscienza o la pietà."

 

Figlio mio, parlo a te dall'innocenza del mio amore, ma ancora non so capire come da una colomba sia nata una volpe. Perché la volpe è furba e di notte entra nei pollai e nelle stalle fa strage delle nostre bestie. Il popolo ti chiama “STALIN”, per me eri solo Sosò, se sei il solo sopravvissuto dei tuoi fratelli morti non è solo frutto del caso. Per te sono solo tua madre, il mio nome è Ekaterina Galadze,.  I Signori che ci hanno governato ci hanno amato per quello che siamo sempre stati: servi..

 Io che sono nata e cresciuta in questa mitezza sono riuscita a darti l'amore . Da una innocente stella spersa nel cielo è nato il Sole sterminatore che brucia le terre dei contadini, per costruire il tuo impero d'acciaio, sono sempre i servi che costruiscono le fortune dei loro signori. E quando sulle terre dei Kolkoz non crebbero più raccolti, la volpe entrò nelle case e fece altre innumerevoli stragi. La mitezza dei servi la puoi chiamare con un solo nome: Paura.

 Abbiamo imparato bene fino dai tempi di Ivan il Terribile, il primo Cesare tra la puttana di Roma e quella di Bisanzio, ad abbassare la testa alla ricerca disperata della stima del Padrone. Ma non del rispetto, perché la prima virtù di un buon Cristiano e quella di lasciarsi offendere ed opprimere senza reagire. I nostri preti ci hanno sempre invitato a porgere l'altra guancia, nella speranza negata di ogni giustizia, era destino che presto o tardi il Servo finisse con l'alzare la testa, animato da una ferocia da fare invidia al più crudele dei Padroni.

 Dalla mia umiltà è nato il tuo amore per il Potere, quel che tenta i nostri bambini innocenti, della miseria i figli più recenti, è un miele amaro come il fiele. Che la dolcezza rimanga chiusa nei nostri desideri, d'amarezza è il nostro presente e il nostro domani. Ciò è perché non si lasci mai la via dell'umiltà e per il rispetto dovuto al Padrone, che ha costruito le sue ricchezze sulle nostre schiene martoriate. Quel dio che è riuscito a diventare ai nostri occhi è solo perché oltre la nostra miseria non riusciamo a vedere, noi possediamo solo il cuore degli schiavi che ci batte nel petto.

 Io che sono stata onesta e leale per uno strano caso della vita ti ho dato l'amore per il tradimento. Da un dolce venticello di primavera è nata una tempesta che ha seminato morte, distruzione e disperazione. Da questo ho capito che l'onestà per chi è servo come noi è una lotta con se stessi, perché la fame ci impedisca di rubare, e quindi per un tozzo di pane finire sul patibolo. La nostra buona condotta è premiata dalla mano misericordiosa, la stessa che benedice Padroni e cannoni, tu sai bene quanto essa sia corrotta in quel muoversi nel fumo azzurrino dell'incenso.

 Figlio mio, il mio stupore non ha mai fine, io che fui solo vita e fonte di vita ti ho dato la morte per sposa. La tua è la stessa furia cieca dei popoli insorti, antica come il mondo e che sconvolge il corso prevedibile della storia. Perché un popolo che chiede giustizia e che fa scempio del corpo del tiranno fa sempre scandalo. Eppure lo si dovrebbe sapere che la vita grama degli schiavi ha una forza in sé di cui nessuno può dirsi padrone fino in fondo, foriera di destini imprevedibili. Il servo ha perso tutto, o meglio, non ha mai avuto nulla, non ha da perdere che la vita e tu, Sosò, quando prendevi il latte dal mio magro seno, al tempo stesso ti nutrivi d'eroismo e d'assassinio.

 Guardo il cielo, chissà quante madri ci sono al mondo che fanno figli che ti assomigliano, in tutte quelle terre d'un qualsiasi continente, laddove esista terra di schiavi, banditi e ladri, che immancabilmente sognano almeno per un momento un riscatto impossibile. Quelle madri che come me hanno colpa nella propria innocenza, rancore nella propria mitezza, potere e sopraffazione nella propria umiltà, il tradimento nella propria onestà, noi madri che il nostro solo esistere infonde una insopprimibile sete di morte: non basta avere coscienza del nostro esistere o avere pietà di noi, ma ci dovete conoscere. Dovete toccare i nostri visi e respirare il nostro alito, perché dovete fare esperienza attraverso il nostro corpo di quel che il mondo ci ha chiesto, e di quel che il mondo è riuscito a rubarci. Commento di C. Rampini

 



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