UMBERTO SABA : LA VETRINA


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Parafrasi:

Sono a letto ammalato e rivolgo lo sguardo alla mia stanza. Un'antica vetrina attrae l'attenzione dei miei occhi (li chiama) a guardare le stoviglie, gli oggetti che in essa sono esposti. Stoviglie bianche (porcellane), con su dipinte delle navi blu, un porto e delle persone tutte indaffarate intorno ad esse.

(Nella vetrina) Vi sono altre cose che erano gi� presenti nella casa di mia madre (prima che io nascessi); guardo a quelle cose con rimorso e con pena (perch� mi ricordano mia madre, ormai morta), mentre c'� stato un tempo in cui quando le guardavo mi procuravano una tale gioia che avevo una gran voglia di acquistarne delle altre. Ogni oggetto della vetrina mi ricorda un tempo dolce, che per me non ha storia (non fu tempo) perch� non ero ancora nato, e perci� non dovevo morire. Era gi� nato solo il dolore dovuto alla mia condizione umana, ereditato dai miei avi. Quel dolore mi affligge il cuore con uno strano pensiero, tanto che mi dico: quanta pace c'era nel mondo prima della mia nascita;e quest'armonia, quest'equilibrio l'ho guastato proprio io, solo io. Un sogno menzognero: questo � il turbamento che mi provocano questi oggetti, che mi provocate voi, amiche cose. Quanto vi ho amato belle stoviglie che state l� nella vetrina e altrove, esposte e visibili o celate alla vista, e quale sentimento malinconico mi coglie al pensiero di lasciarvi.

(Vorrei) Tornare nel buio del ventre materno, in quello stato di sonno senza sogni (duro sogno), dove nulla pi� si muove, neanche l'amore, dolce tormento ma in grado di non poter essere tollerato da me. Questo � il letto in cui io venni al mondo (mia madre mi diede alla luce), in cui uscii dal ventre materno piangendo alla vista lieta delle cose. E nascendo sono diventato mortale e non so cosa maledire di pi� di quel giorno. E non ho nessun male (fisico, malattia) che mi inquieti, o questo male � solo interno. Come ogni notte, quando spengo la luce perch� disturba i miei occhi pesanti di sonno e metto la testa sotto la coperta e mi chiudo di nuovo in me stesso (tutto a me stesso rinvengo), mi raggomitolo tutto e ora s�, � in questo momento che vorrei non rivedere pi� la luce del giorno (vorrei morire). E cos� ogni cosa mi sorride. Mi raggiunge anche la gloria e bench� giunga tardi sento il suo bacio.
Tazzine dipinte, prodotto (figlie) di quel milleottocento che io amo, importate dalla lontana Inghilterra (giunte sin qui dalla lontana Inghilterra), parlo di voi, vasellame usato dai miei avi operosi, nel tempo in cui (quando) la vita era pi� virtuosa e apparteneva all'uomo, e conosco la vostra storia che il poeta, che � rispettoso del passato, si fece raccontare dai vecchi, molto prima che io nascessi. Ogni mese una grossa nave mercantile attraccava in questo porto favorevole ai commerci trasportandovi in cos� grande quantit� che vi possedevano sia i mendicanti che i ricchi. Era appena finita la terribile guerra, e la pace regnava sui mari, giammai nel cuore degli uomini. Adesso voi state nella vetrina antica quanto voi, che � semplice e che contiene tanti begli oggetti. Ed io guardandovi, nella mia sofferenza, non so far altro che chiamare a me la morte. Sento pi� il rimorso di essere nato e non di essere vissuto inutilmente.

Analisi

La lirica � suddivisa in tre lunghe e dense strofe regolari di tutti endecasillabi. Il numero tre nella suddivisione strofica � ricorrente in Saba a denotare la volont� di conferire all'intera opera una profonda armonia strutturale: la bellezza del Canzoniere � data da armonie, strutture, versi che ritornano, infondendogli continuit�, forza e omogeneit�.

Ogni strofa � a sua volta composta da ventuno (multiplo di tre) versi; questa ossessiva ripetizione del numero tre � "dantesca" e denota la formazione profondamente classica di Saba. La superficie metrica rivela una grande complessit�. Di particolare rilievo � l'artificio che collega con una rima, spesso perfetta, l'ultimo verso di ogni strofa con il primo di quella successiva: troviamo "cose" (v.21), "cose" (v.22); "sento" (v.42), "milleottocento" (v.43), rima a sua volta ripresa nel verso finale "sento" (v.63). Risulta complesso ricostruire la fitta maglia di rime, allitterazioni, omofonie, assonanze... le quali, creando dei legami anche fra parole tra loro lontane, conferiscono al componimento una sorta di compattezza fonica, seppur non riconducibile ad uno schema puntuale, e ne garantiscono la variet�. Nella prima strofa sono legate da rima "lucenti" (v.2), "genti" (v.6); "blu" (v.5), "fu" (v.13); "cose" (v.7), "casa" (v.8) sono legate da una forte consonanza; importante � poi la rima "chiama" (v.3), "brama" (v.11), "richiama" (v.12): dove "brama", posta alla fine del verso, assume il ruolo di parola chiave (e pi� avanti si vedr� in che misura); "ancora" (v.14), "accora" (v.17), e ancora, nella seconda strofa troviamo "altrove" (v.23), "smuove" (v.27); "dur" (v.27), "pur" (v.28); "mortale" (v.32), "male" (v.33); "mortale" inoltre � graficamente connesso all' "apporta" del verso 36; per concludere con le rime dell'ultima strofa: "lontana" (v.44); "umana" (v.48); "usato" (v. 46), "passato" (v. 51); "amico" (v.53), "mendico" (v.54); "pace" (v.56), "capace" (v.59) e la rima fortissima "sento" (v.42), "milleottocento" (v.43), "bastimento" (v.52) e ancora "sento" (v.63), e in quasi-rima con "spengo" (v.35), "rinvengo" (v.38), "tempo" (v.47) e "tempo" (v.55).

Ma aldil� delle rime sono fortissimi i legami creati dalla ripetizione puntuale di nessi consonantici: ad esempio notevole � l'effetto della ripetizione delle consonanti "st" ai versi 4-5 "esposte", "stanno", "stoviglie, e della sibilante palatale che troviamo in: "essa" (v.37), "stessa" (v.38) (dove ritorna anche il suono "st") e "fosse" (v.40); della consonanza "fatto", "intollerando", "letto" (v.29); come ai versi 9-10-11 dove troviamo "gi�", "oggi", "giorno", che a loro volta sono fortemente legati ai "gi�" (v.16) "oggi" (v.17), "guardo", "guardavo" e questo legame non � pi� soltanto fonico, ma anche fortemente semantico.

Assumono un efficacissimo rilievo unico l'uso del metaling: parole che riprendono altre parole, e talvolta sono dei periodi, quasi a verificarne il senso e la presenza di forti risonanze analogiche: parole o periodi ripresi con funzioni diverse.

Si pu� individuare una sorta di struttura speculare che ritorna e si ripete in ogni strofa. I legami non sono soltanto fonici ma anche di valore semantico: il "rimorso oggi ed affanno" (v.9) � lo stesso "dolore d'oggi" del verso 17; allo stesso modo "cos� lieto" (v.10) e "s� dolce" (v.13).

Inoltre alcune di queste strutture frequenti ritornano occupando una determinata posizione: ad esempio "tempo" del verso 12 ritorna al verso 14 in posizione iniziale cos� come "siete" (v.23) � posto all'inizio del verso 24 e "non so" viene ripetuto in due versi consecutivi in posizione iniziale (61-62) (anafora); si segnala inoltre l'anadiplosi al verso 55: "...aveva. Aveva..." Ma avviene anche che vengano riprese intere frasi con significato simile "e mortale non so" (v.32-33) " e male non ho" (v.33-34) o addirittura opposto: "non ero nato" (v.14) "ero gi� stato" (v.16).

Ma lo stratagemma fonico che pi� colpisce l'orecchio del lettore � quello dei versi 26-28-29. Si pu� quasi parlare di punto culminante di un "climax fonico" inaugurato con ritmo ascendente dalla ripetizione del suono "st" culminando (nel momento di massima angoscia della lirica) con l'uso di vocaboli estremamente complessi (dal punto di vista fonico), difficili da articolare ( sui quali il lettore � costretto a soffermarsi) "tornar", "materno" (v.26), "tormento" (v.28), "intollerando" (v.29) dove "materno" e "tormento", posti entrambi a fine verso hanno un legame fortissimo, sembrano quasi anagrammati (ed � significativo che il vocabolo "tormento" abbia questa connessione con "materno", quasi a rievocare quel sentimento affettivo, quel rapporto angoscioso che legava Saba alla madre). E questa parabola musicale decresce e va a sfumare con la ripetizione, come si � gi� detto, delle consonanti "ss"

(v. 37-39-40), e ritorna nell'enfatica chiusa finale: "so" (v.61 e ripetuto al v.62), "vissuto" (v.62), "esser" (v.63) "sento" (v.63), quasi a voler stabilire un equilibrio a livello emotivo dopo quel momento di Spannung, quasi che il poeta voglia comunicare al lettore un preciso stato d'animo che ritorna, uguale a s� stesso alla fine della lirica.

Degni di nota anche i frequenti rilanci sintattici degli enjambements, struttura metrica usata larghissimamente da Saba: il componimento risulta avere una solida compattezza fonica ma lo schema ritmico elude continuamente uno schema regolare. Lo ritroviamo gi� in apertura: "intorno//giro" (vv.1-2), "lucenti//vetri" (vv. 2-3); "blu//dipinte" (vv. 5-6); "cose//ch'erano" (vv.7-8); "fu//tempo" (vv.13-14); "ancora // non" (vv. 14-15) e via di seguito... Di particolare rilievo � forse l'enjambement dei versi 60-61 "guardarvi//non" e dei versi 61 e 62 "morte//non". Questa tendenza all'articolazione ellittica della frase � avvalorata dall'uso, straordinariamente frequente, della congiunzione "e" immediatamente dopo un punto fermo: v.1: "...ammalato. E...",v.15: "...morire. Ed...",v.17: "...d'oggi. E..." v.20: "...io solo. Ed...",v.32".

L'inizio della lirica sembra riprendere i modi del racconto, ritagliando un episodio, un aneddoto, entro uno spazio specifico: "Sono a letto, ammalato"; questa rappresentazione spaziale puntuale, appartiene alla narrativa ed � forse per il poeta il mezzo migliore per dare voce all'io che si esprime nella forma dell'autoanalisi. C'� un rapporto tutto nuovo del poeta con gli oggetti: le figure, le persone, le cose assumono un valore emblematico, esercitano un potere evocativo. La vetrina � un oggetto cui rimane fortemente ancorata la memoria affettiva, "chiama a s�", e non attira ma proprio chiama a s�, gli occhi del poeta e alle stoviglie che in essa sono esposte: tazzine inglesi, stoviglie, porcellane... e ad ogni suo oggetto � legato un ricordo. Sono cose ricche di voci antiche, quindi il poeta non le guarda, ma le ode, parlano alla sua anima. Ecco che il presente tocca il passato e lo riaccende. Questo rapporto speciale di Saba con la vetrina e gli oggetti in essa riposti, in prospettiva freudiana pu� essere considerata una sorta di evasione regressiva nel conforto degli oggetti, tanto cari al poeta perch� facenti parte della propria mitologia personale.

Saba assegna una particolare importanza alla struttura temporale che risalta nelle opposizioni presente-passato, e nelle localizzazioni spaziali, normalmente circoscritte all'uso dei deittici "questo" e "quello", tanto che si potrebbe parlare di una sorta di dialettica dei connotatori dimostrativi.

"� questo il delirio" (v.21) - "� il letto questo" (30)- "quel d�" (v. 33) - "questo porto" (v. 53)

A riprova del carattere narrativo della lirica � l'uso dell'avverbio deittico "l�" (v.23), tipico della lingua parlata perch� si presuppone che venga indicata una direzione.

Si viene a creare in questo modo una narrazione doppia, che riguarda il presente impetuoso quanto il passato. Il linguaggio della lirica denota un illimpidimento della scrittura rispetto alle opere precedenti. Saba presta una diversa cura formale e una maggiore attenzione ai particolari stilistici;ricorre sempre meno a forme auliche, arcaiche ed antiquate a favore di un lessico del quotidiano. La parola "comune" e non per questo impoetica, viene isolata nel verso, assumendo cos� pieno valore. Si semplifica il linguaggio ma non la sintassi: il ricorso semantico a inversioni stilistiche (iperbati, anastrofi...) � frequentissimo. "Altre vi sono cose" (v. 7) ne � un esempio.

Di particolare complessit� � il verso 17: "E in un m'accora//strano pensiero", l'enjambement ostacola maggiormente la comprensione del verso. Degna di essere menzionata � anche la prassi stilistica seguita da Saba di utilizzare frequentemente l'avverbio di negazione "non", che conferisce particolari sfumature di attenuazione rispetto alla negazione assoluta.

La lirica permette di ritrovare i maggiori temi cari a Saba: l'amore per Trieste, il borgo, e la vita brulicante del porto (la descrizione delle "affaccendate genti" raffigurate sulle porcellane, � "triestina"), ma soprattutto il tema della casa, luogo altamente mitizzato, rifugio del corpo e dell'anima.

� proprio nella sua stanza, nella forzata staticit� per la malattia, che il poeta ritrova dei ricordi lontani, semplicemente volgendo lo "sguardo intorno" e ascoltando le voci delle stoviglie riposte nell'antica vetrina. Da un'atmosfera mitica e sognante, si approda ben presto al turbamento profondo. "le care cose" del passato, gli infondono ben presto un senso di disagio che ben presto si trasforma in rimorso: il rimorso di essere nato. Eppure c'era stato un tempo in cui le belle tazzine lo rendevano felice e desideroso e impaziente di acquistarne altre: "e cos� lieto le guardavo un giorno, che di nuove acquistarne avevo brama". E questa brama altro non � che la causa della sofferenza umana, � la libido freudiana, la brama carnale, che "accompagna l'uomo dalla nascita alla morte, non gli d� pace n� tregua"; a questo tema gravoso Saba dedicher� una lirica in questa stessa sezione di "vetrina", naturalmente intitolata "La brama": si nasce e si porta cos� il tema del male nella vita, il peccato dell'origine, ma anche la volont� di vivere, che si esprime nel desiderio della carne. La causa del male � la brama, ma nel contempo � anche la causa del bene, perch� solo grazie alla brama il poeta vede "gente andare e venire,/ altre navi partire".

Angoscianti diventano ora i toni della lirica: nascere � male, vivere � male, e male � conoscere il male.
Il poeta � ammaliato e insieme atterrito e aspira ad una "serena, disperata brama d'annullamento, quasi di ritorno al caldo sonno del buio prenatale".
Ha nostalgia di lasciare le belle cose amate e di tornare nel buio del non-essere.

In tutto questo c'� per� una forte componente narcisistica, denotata da quei melodrammatici "io" (v.19) "io solo" (v.20), dal susseguirsi di "a me", "in me", "per me" (v.39), e dall'uso quasi esclusivo degli aggettivi possessivi referenti alla propria persona: "la mia stanza" (v.2), "avi miei" (v.16), seguito da "il mio dolore" (v.17), "i miei occhi" (v.32), "occhi miei", e ancora "avi miei" ( v.47), "mio dolore" (v.61). Tutto questo suona quasi come una formula religiosa che celebra la superiorit� del poeta, il solo capace di intendere il male di cui egli stesso � la causa. Il male lacerante di cui parla � la consapevolezza della morte: meglio allora rimanere nel grembo materno, "in quel tempo s� dolce", "in quel caro buio", vivo ma ancora non-nato, inconsapevole e sereno, perch� "ancora non ero nato, ancora non dovevo morire". La consapevolezza della morte si acquisisce quindi nascendo, venendo alla luce; venire alla luce significa dunque sapere. "I miei occhi" diventano allora lo strumento per guardarsi dentro, per attuare quel doloroso processo di scavo interiore, alla ricerca della nostra identit�. La sera � il momento di massimo ripiegamento : "mi rannicchio e tutto a me stesso rinvengo" (dove l'azione del rannicchiarsi rappresenta il ripiegamento interiore ma anche il tentativo di assumere una posizione tipica dei feti nel grembo materno). Il poeta mettendo la testa sotto le coperte cerca di ritornare alla pace del "caro buio materno". La luce diventa metafora negativa: egli viene alla luce "molto piangendo", il lume "apporta fastidio"agli occhi del poeta "gravi di sonno".La luce � conoscenza e la conoscenza porta il dolore. Ecco che in questa prospettiva si potrebbe spiegare la misteriosa immagine presentata ai versi 24-25: "belle cose,/che siete l� nella vetrina, e altrove/siete, nell'ombra e nel sole"

L'ombra ed il sole corrispondono al buio e alla luce, in una sorta di metafora rovesciata (comunemente la luce ha una connotazione positiva, e il buio estremamente negativa). In questo momento di annullamento, ecco che "anche la gloria viene". E cosa potrebbe significare quel "bacio tardo" apportato dalla gloria? Questa immagine ammette diverse interpretazioni che partono da un punto comune: questi sono gli anni in cui Saba intraprende la terapia psicanalitica (1928-29): il "male interno" che lo affligge potrebbe essere interpretato come il suo grave disagio psicologico, la sua nevrosi.

L'arrivo della gloria potrebbe essere allora il primo segnale del recupero del ricordo della nutrice che lo aveva cresciuto fino a tre anni, per tanto tempo rimosso e che riaffiorer� con prepotenza in seguito, com'� testimoniato nelle "Tre poesie alla balia", che fanno parte della sezione del Canzoniere intitolata "il piccolo Berto" (1929/31) dove, nell'opera Storia e Cronistoria del Canzoniere (1948), Saba, in funzione di critico di s� stesso afferma: "la figura della balia risorge, si rif� viva ed attuale". Ma tutto questo potrebbe anche essere interpretato come una conciliazione con l'immagine della madre dopo la sua morte: ecco spiegato allora il significato di quel "tardo bacio" (la riconciliazione sarebbe avvenuta solo dopo la morte della madre).

� comunque evidente in Saba il tentativo, doloroso ed estenuante, di liberarsi o sublimare il trauma infantile, quando venne strappato alle cure amorose della "madre di gioia", per andare a vivere con la "madre austera" che lo proietta in un mondo fatto di sofferenze e frustrazioni, facendolo crescere nel senso di colpa.

La lirica pu� essere quindi ricondotta a due sentimenti del poeta: il desiderio di annullarsi come coscienza, invocando la morte e la lucida accettazione del destino mortale dell'uomo.


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