A.MANZONI : IN MORTE DI CARLO IMBONATI


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165.       (...) Or dimmi, e non ti gravi,

166.       Se di te vero udii che la divina

167.       De le Muse armonia poco curasti�.

168.       Sorrise alquanto, e rispondea: �Qualunque

169.       Di chiaro esempio, o di veraci carte

170.       Giovasse altrui, fu da me sempre avuto

171.       In onor sommo. E venerando il nome

172.       Fummi di lui, che ne le reggie primo

173.       l'orma stamp� de l'italo coturno:

174.       E l'aureo manto lacerato ai grandi,

175.       Mostr� lor piaghe, e vendic� gli umili; 

176.       E di quel, che sul plettro immacolato

177.       Cant� per me: Torna a fiorir la rosa.

178.       Cui, di maestro a me poi fatto amico,

179.       Con reverente affetto ammirai sempre

180.       Scola e palestra di virt�. Ma sdegno

181.       Mi fero i mille, che tu vedi un tanto

182.       Nome usurparsi, e portar seco in Pindo

183.       L'immondizia del trivio e l'arroganza

184.       E i vizj lor; che di perduta fama

185.       Vedi, e di morto ingegno, un vergognoso

186.       Far di lodi mercato e di strapazzi.

187.       Stolti! Non ombra di possente amico,

188.       N� lodator comprati avea quel sommo

189.       D'occhi cieco, e divin raggio di mente,

190.       Che per la Grecia mendic� cantando.

191.       Solo d'Ascra venian le fide amiche

192.       Esulando con esso, e la mal certa

193.       Con le destre vocali orma reggendo:

194.       Cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene,

195.       E Rodi a Smirna cittadin contende:

196.       E patria ei non conosce altra che il cielo.

197.       Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli

198.       Sopravissuti, oscura e disonesta

199.       Canizie attende�. E tacque; e scosso il capo,

200.       E sporto il labbro, amaramente il torse,

201.       Com'uom cui cosa appare ond'egli ha schifo.

202.       Gioja il suo dir mi porse, e non ignota

203.       Bile destommi; e replicai: �Deh! vogli

204.       La via segnarmi, onde toccar la cima

205.       Io possa, o far, che s'io cadr� su l'erta,

206.       Dicasi almen: su l'orma propria ei giace.

207.       �Sentir�, riprese, �e meditar: di poco

208.       Esser contento: da la meta mai

209.       Non torcer gli occhi: conservar la mano

210.       Pura e la mente: de le umane cose

211.       Tanto sperimentar, quanto ti basti

212.       Per non curarle: non ti far mai servo:

213.       Non far tregua coi vili: il santo Vero

214.       Mai non tradir: n� proferir mai verbo,

           215     Che plauda al vizio, o la virt� derida.

Si riferisce al fatto che Imbonati era, essendo illuminista e riformatore, pi� attento alla diffusione di una cultura civilmente utile che alla poesia.

 Imbonati conferma di vedere con rispetto una poesia che faccia dell�utilit� e della verit� il suo fine e contenuto.

Avuto = considerato

 Si riferisce a Vittorio Alfieri (lui) visto come il 1� tragediografo italiano (coturno era la calzatura utilizzata dagli attori greci delle tragedie) e che aveva nelle sue tragedie mostrato le miserie dei potenti (i protagonisti delle tragedie alfieriane erano in genere re e personaggi d�alto lignaggio).

 Si riferisce a Parini (quel). Con: Torna a fiorir la rosa, cita l�incipit dell�ode �L�Educazione� del Parini, che questi scrisse per festeggiare la guarigione dal vaiolo di Imbonati. Il plettro immacolato indica la poesia immacolata (ripresa dal �nobil plettro� citato in un�ode pariniana).Cui = che

 Gli provoca sdegno chi usurpa �un tanto Nome� (di poeta) e contamina la poesia (Pindo � il monte sacro alle Muse, numi tutelari della poesia) con il trivio. Trasformando, per la loro cattiva reputazione (perduta fama) e la mancanza di ingegno poetico (morto ingegno) la poesia in un mercato di adulazioni e di contumelie (lodi mercato e di strapazzi).

Stolti! Con il (sommo...cieco) che per la Grecia and� mendicando si riferisce ad Omero, il quale non si avvalse di protezioni (ombra di possente amico) e di adulatori comprati.

Ascra era la citt� sede delle Muse (fide amiche).

 Argo�Smina: cita le citt� che si contendevano i natali di Omero.

 

Si rivolge di nuovo ai poetastri (Ma Voi�), sopravvissuti alle loro stesse opere (mal lordati fogli) vi attende una senescenza nell�oscurit�.

Manzoni sposta qui il dialogo ad un livello ideale.

Non ignota bile: si riferisce al fatto che lo stesso rancore e disprezzo per il presente malcostume gli aveva gi� ispirato la composizione dei Sermoni.

Su l�orma propria ei giace: Manzoni allude a chi muore dopo aver vissuto senza essere sceso a compromessi.

Manzoni, attraverso l�uso stilistico dell�infinito, espone un vero e proprio decalogo laico di virt�, traccia un programma di vita morale e poetica a cui il Manzoni rester� sostanzialmente sempre fedele: l�unit� del sentire e del meditare, non togliere (torcer) gli occhi alla meta, conservare pura la mano e la mente, non dar loro troppo peso (curarle), non tradire il santo vero, non applaudire mai al vizio n� mai deridere la virt�.

 

Tema: �In morte di Carlo Imbonati� � un carme, composto nel 1805 e pubblicato nel 1806 a Parigi, dedicato alla madre, allora in lutto per la morte dell�Imbonati, col quale essa conviveva fin dal 1792, anno della separazione legale dal marito.

La composizione del carme, in cui sono celebrate le virt� dell�Imbonati, � dovuta all�affetto verso la madre, che egli vuol difendere dalle calunnie dei malevoli, ma risponde anche allo spirito di quell�ambiente libertario, in cui il libero coniugio era approvato e giustificato.

Il carme, analogamente a tutte le poesie precedenti la �conversione� religiosa, non verr� pi� stampato da Manzoni.

Il testo pu� essere distinto in tre momenti fondamentali:

         Il Manzoni finge che gli appaia in sogno l�Imbonati che gli rivela il suo affetto e gli porge ammaestramenti; a lui, il giovane manifesta il dolore suo e della madre. A una domanda del Manzoni, l�Imbonati risponde che la sua morte fu placida, n� egli pu� rammaricarsi di aver abbandonato una societ� priva di virt�. Segue una tirata satirica (vv.145-164) contro il presente e una presa di distanza verso la corruzione di quello che viene definito secol sozzo.

         I versi qui antologizzati (165-215) costituiscono la parte pi� nota del testo ed anche la pi� originale, dedicata alla definizione oltre che ad un generico ideale morale anche al ruolo civile del letterato. Richiesto se abbia poco amato la poesia, l�Imbonati risponde tessendo alte lodi del Parini e dell�Alfieri, condannando i poetastri ed esaltando l�immortale figura di Omero e delineando il modello etico di intellettuale.

         La chiusa del testo (vv. 216-242) segna il distacco dall�esordio satirico dell�autore, precedente all�educazione sentimentale e civile provocata dall�incontro con Imbonati, il quale � finalmente in possesso di un modello positivo da seguire e pu� abbandonare la strada solo negativa della satira.

Nel carme domina un tono pacato che si accompagna con una semplicit� disadorna.

 

Schema metrico: Il metro usato sono gli endecasillabi sciolti.

 

 

 



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