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Eraclito nacque ad Efeso da famiglia aristocratica all'incirca nel 540 a.C.; alla morte del padre rinunci� ai privilegi che gli spettavano in base alla discendenza regale. Scrisse un'opera formata da aforismi di carattere molto oscuro e di cui ci rimangono 130 frammenti.
Diceva Eraclito, pi� di duemila anni fa, che non ci si bagna mai due volte nella
stessa acqua di un fiume. Dicevano i Greci sempre pi� di duemila anni fa che l�
"adunaton", l�impossibile per eccellenza, � che ci� che � avvenuto possa non
essere avvenuto. Ogni nostro istante non � mai uguale all�altro e noi non siamo
mai gli stessi da un istante all�altro, da un tempo all�altro. Tutto cambia
dentro e fuori di noi anche se non sempre riusciamo a percepire questo continuo
cambiamento. La cosa pi� appariscente di noi, il nostro corpo, da un istante
all�altro � sempre diverso e noi viviamo in questa continua diversit� e di
questa continua diversit�. In noi nasce e muore qualcosa in ogni momento della
nostra esistenza ed in ogni momento noi non siamo pi� quello che eravamo un
momento prima, il nostro corpo � cambiato, la nostra mente � cambiata, il nostro
pensiero � un altro pensiero che lo si voglia o no. Perdiamo cellule del nostro
corpo perdiamo neuroni del nostro cervello che non torneranno mai pi�, perdiamo
ricordi sommersi da altri continuamente sorgenti che si sovrappongono pronti
anch�essi a sparire nel nulla, nel vuoto della nostra memoria e gli stessi che
crediamo di conservare sono diversi da un momento all�altro. Per quanto grande
sia quello che noi chiamiamo memoria, essa non � mai capace di trattenere
fermare per un attimo il nostro continuo divenire. Tutti gli eventi sono
continuamente mutevoli come il paesaggio che ci corre via veloce da un
finestrino di un treno e del quale ben poco riusciamo a trattenere. Un po� di
anni fa ne ebbi questa precisa sensazione in un particolare momento. Mi trovavo
un giorno nell�isola di Giava sulla costa sud orientale ed era verso il
tramonto. Avevo lasciato la via asfaltata e mi ero addentrato a piedi in un
sentiero appena segnato in una fitta vegetazione equatoriale per cercare le rive
di un fiume che non doveva essere molto distante. Non c�era nessun motivo per
farlo se non la curiosit� di vedere qualcosa che supponevo ci fosse, qualcosa
che era semplicemente un fiume, un fiume come un altro, come tanti altri fiumi.
Ma volevo vedere proprio quello. Dopo un tortuoso percorso del sentiero in un
mondo di ombre sempre pi� fitto, nel silenzio profondo che spesso precede il
calare del sole, arrivai improvvisamente sulla riva fra la fitta vegetazione,
uscendo nella luce. Non c�era neppure la sponda del fiume perch� le piante
sorgevano dall�acqua nascondendola completamente e dovetti attaccarmi ad un
piccolo albero per non scivolare. La corrente era veloce, molto veloce e l�acqua
di color grigio cupo come il cielo che si rispecchiava, si frangeva in
superficie in un infinit� di sottili rivoli che intrecciandosi fra loro,
componendosi e ricomponendosi in mille modi, creavano una serie di disegni in
continua mutazione che l�occhio percepiva ed immediatamente perdeva senza
possibilit� di fermarne uno, di individuarlo e ricordarlo. Un silenzio assoluto,
Il moto stesso dell�acqua non produceva neppure un leggero fruscio. Gli uccelli
che fino a pochi istanti prima mi avevano accompagnato con il loro canto ora
tacevano. Non so quanto tempo sono rimasto l�, forse un secondo o forse un�ora.
In quegli istanti guardavo l�immobilit� del moto e questa espressione
contraddittoria solo in apparenza, mi ha accompagnato poi per tutti gli anni
seguenti e l�immagine pi� ?vera? dell�immobilit� del moto che non oso chiamare
eterno perch� ancora non ho compreso il significato di questa parola. Ma mentre,
attaccato al mio albero, quasi sospeso sull�acqua che fuggiva via dai miei sensi
verso una dimensione irraggiungibile, improvvisamente alle mie spalle il ?tempo?
irruppe con la violenza della sua inesorabilit�, con il suo ?verbo?, con il suo
suono, riempiendo anche gli angoli pi� nascosti della boscaglia ma anche le mie
fibre pi� interne. Il suono di una enorme campana invisibile era esploso
improvviso e le vibrazioni si propagavano attorno e si prolungavano verso un
tempo ed uno spazio inesauribile ed indefinibile senza direzione. Non sapevo che
era una campana, una enorme campana di bronzo che avrei trovato di l� a poco
sulla via del ritorno e che percossa con una grossa mazza di legno emanava quel
suono basso e profondo che vibrava a lungo nella foresta. Lungo il sentiero del
ritorno c�era una tettoia nascosta nel folto della vegetazione, costruita con
grossi tronchi che sorreggevano la grande campana e ne sopportavano il peso. Era
l� da gran tempo e chi passava poteva far risuonare il suo richiamo. Provai
anch�io ed ascoltai il suono che si diffondeva ed espandeva, sommergendo come
una ondata tutto attorno e provai ad immaginare verso chi quel mio messaggio
fosse diretto nel e fuori del tempo.
Mi ricordai di Eraclito, mi ricordai di me stesso e di come cambiavo
continuamente e di come non fossi mai, in ogni istante lo stesso come quelle
piccole onde che il ramo di una pianta generava in continuazione sull�acqua mai
uguali una all�altra mai uguali a se stesse.
Ecco che un giorno nel quale si compivano per me un certo numero di anni della mia vita, volli cercare di documentare me stesso attraverso quelle variazioni che sono di pi� immediata percezione e per me e per chi mi guardi da fuori, le variazioni della mia fisionomia che avrei potuto definire con �variazioni fisionomiche di essere umano nel corso del ventesimo secolo. Per registrarle in qualche modo ho ricercato fra le vecchie fotografie quelle che bene o male mi rappresentavano sia pure con discontinuit� nelle varianti fisionomiche nel corso degli anni, la maggior parte foto di vecchie tessere. Eccole qua ed eccomi qua a domandarmi che cosa ha a che fare questa figura di vecchio con quella del giovane soldato o quella dell�infante. Ma!! Chiss� se hanno mai avuto qualcosa in comune fra loro se non il tempo inesorabile che le portava via.