MALARIA DI GIOVANNI VERGA

Malaria  

G.VERGA


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E' vi par di toccarla colle mani - come dalla terra grassa che fumi, l�, dappertutto, torno torno alle montagne che la chiudono, da Agnone al Mongibello incappucciato di neve - stagnante nella pianura, a guisa dell'afa pesante di luglio. Vi nasce e vi muore il sole di brace, e la luna smorta, e la Puddara, che sembra navigare in un mare che svapori, e gli uccelli e le margherite bianche della primavera, e l'estate arsa, e vi passano in lunghe file nere le anitre nel nuvolo dell'autunno, e il fiume che luccica quasi fosse di metallo, fra le rive larghe e abbandonate, bianche, slabbrate, sparse di ciottoli; e in fondo il lago di Lentini, come uno stagno, colle sponde piatte, senza una barca, senza un albero sulla riva, liscio ed immobile. Sul greto pascolano svogliatamente i buoi, rari, infangati sino al petto, col pelo irsuto. Quando risuona il campanaccio della mandra, nel gran silenzio, volan via le cutrettole, silenziose, e il pastore istesso, giallo di febbre, e bianco di polvere anche lui, schiude un istante le palpebre gonfie, levando il capo all'ombra dei giunchi secchi.
� che la malaria v'entra nelle ossa col pane che mangiate, e se aprite bocca per parlare, mentre camminate lungo le strade soffocanti di polvere e di sole, e vi sentite mancar le ginocchia, o vi accasciate sul basto della mula che va all'ambio, colla testa bassa. Invano Lentini, e Francofonte, e Patern�, cercano di arrampicarsi come pecore sbrancate sulle prime colline che scappano dalla pianura, e si circondano di aranceti, di vigne, di orti sempre verdi; la malaria acchiappa gli abitanti per le vie spopolate, e li inchioda dinanzi agli usci delle case scalcinate dal sole, tremanti di febbre sotto il pastrano, e con tutte le coperte del letto sulle spalle.
Laggi�, nella pianura, le case sono rare e di aspetto malinconico, lungo le strade mangiate dal sole, fra due mucchi di concime fumante, appoggiate alle tettoie crollanti, dove aspettano coll'occhio spento, legati alla mangiatoia vuota, i cavalli di ricambio. - O sulla sponda del lago, colla frasca decrepita dell'osteria appesa all'uscio, le grandi stanzucce vuote, e l'oste che sonnecchia accoccolato sul limitare, colla testa stretta nel fazzoletto, spiando ad ogni svegliarsi, nella campagna deserta, se arriva un passeggiero assetato. - Oppure come cassette di legno bianco, impennacchiate da quattro eucalipti magri e grigi, lungo la ferrovia che taglia in due la pianura come un colpo d'accetta, dove vola la macchina fischiando al pari di un vento d'autunno, e la notte corruscano scintille infuocate. - O infine qua e l�, sul limite dei poderi segnato da un pilastrino appena squadrato, coi tetti appuntellati dal di fuori, colle imposte sconquassate, dinanzi all'aia screpolata, all'ombra delle alte biche di paglia dove dormono le galline colla testa sotto l'ala, e l'asino lascia cascare il capo, colla bocca ancora piena di paglia, e il cane si rizza sospettoso, e abbaia roco al sasso che si stacca dall'intonaco, alla lucertola che striscia, alla foglia che si muove nella campagna inerte.
La sera, appena cade il sole, si affacciano sull'uscio uomini arsi dal sole, sotto il cappellaccio di paglia e colle larghe mutande di tela, sbadigliando e stirandosi le braccia; e donne seminude, colle spalle nere, allattando dei bambini gi� pallidi e disfatti, che non si sa come si faranno grandi e neri, e come ruzzeranno sull'erba quando torner� l'inverno, e l'aia diverr� verde un'altra volta, e il cielo azzurro e tutt'intorno la campagna ridera al sole. E non si sa neppure dove stia e perch� ci stia tutta quella gente che alla domenica corre per la messa alle chiesuole solitarie, circondate dalle siepi dei fichidindia, a dieci miglia in giro, sin dove si ode squillare la campanella fessa nella pianura che non finisce mai.
Per� dov'� la malaria � terra benedetta da Dio. In giugno le spighe si coricano dal peso, e i solchi fumano quasi avessero sangue nelle vene appena c'entra il vomero in novembre. Allora bisogna pure che chi semina e chi raccoglie caschi come una spiga matura, perch� il Signore ha detto: �Il pane che si mangia bisogna sudarlo�. Come il sudore della febbre lascia qualcheduno stecchito sul pagliericcio di granoturco, e non c'� pi� bisogno di solfato n� di decotto d'eucalipto, lo si carica sulla carretta del fieno, o attraverso il basto dell'asino, o su di una scala, come si pu�, con un sacco sulla faccia, e si va a deporlo alla chiesuola solitaria, sotto i fichidindia spinosi di cui nessuno perci� mangia i frutti. Le donne piangono in crocchio, e gli uomini stanno a guardare, fumando.
Cos� s'erano portato il camparo di Valsavoia, che si chiamava massaro Croce, ed erano trent'anni che inghiottiva solfato e decotto d'eucalipto. In primavera stava meglio, ma d'autunno, come ripassavano le anitre, egli si metteva il fazzoletto in testa, e non si faceva pi� vedere sull'uscio che ogni due giorni; tanto che si era ridotto pelle ed ossa, e aveva una pancia grossa come un tamburo, che lo chiamavano il Rospo anche pel suo fare rozzo e selvatico, e perch� gli erano diventati gli occhi smorti e a fior di testa. Egli diceva sempre prima di morire: - Non temete, che pei miei figli il padrone ci penser�! - E con quegli occhiacci attoniti guardava in faccia ad uno ad uno coloro che gli stavano attorno al letto, l'ultima sera, e gli mettevano la candela sotto il naso. Lo zio Menico, il capraio, che se ne intendeva, disse che doveva avere il fegato duro come un sasso e pesante un rotolo e mezzo. Qualcuno aggiungeva pure:
- Adesso se ne impipa! ch� s'� ingrassato e fatto ricco a spese del padrone, e i suoi figli non hanno bisogno di nessuno! Credete che l'abbia preso soltanto pei begli occhi del padrone tutto quel solfato e tutta quella malaria per trent'anni? -
Compare Carmine, l'oste del lago, aveva persi allo stesso modo i suoi figliuoli tutt'e cinque, l'un dopo l'altro, tre maschi e due femmine. Pazienza le femmine! Ma i maschi morivano appunto quando erano grandi, nell'et� di guadagnarsi il pane. Oramai egli lo sapeva; e come le febbri vincevano il ragazzo, dopo averlo travagliato due o tre anni, non spendeva pi� un soldo, n� per solfato n� per decotti, spillava del buon vino e si metteva ad ammanire tutti gli intingoli di pesce che sapeva, onde stuzzicare l'appetito al malato. Andava apposta colla barca a pescare la mattina, tornava carico di cefali, di anguille grosse come il braccio, e poi diceva al figliuolo, ritto dinanzi al letto e colle lagrime agli occhi: - T�! mangia! - Il resto lo pigliava Nanni, il carrettiere per andare a venderlo in citt�. - Il lago vi d� e il lago vi piglia! - Gli diceva Nanni, vedendo piangere di nascosto compare Carmine. - Che volete farci, fratel mio? - Il lago gli aveva dato dei bei guadagni. E a Natale, quando le anguille si vendono bene, nella casa in riva al lago, cenavano allegramente dinanzi al fuoco, maccheroni, salsiccia e ogni ben di Dio, mentre il vento urlava di fuori come un lupo che abbia fame e freddo. In tal modo coloro che restavano si consolavano dei morti. Ma a poco a poco andavano assottigliandosi cos� che la madre divenne curva come un gancio dai crepacuori, e il padre che era grosso e grasso, stava sempre sull'uscio, onde non vedere quelle stanzacce vuote, dove prima cantavano e lavoravano i suoi ragazzi. L'ultimo rimasto non voleva morire assolutamente, e piangeva e si disperava allorch� lo coglieva la febbre, e persino and� a buttarsi nel lago dalla paura della morte. Ma il padre che sapeva nuotare lo ripesc�, e lo sgridava che quel bagno freddo gli avrebbe fatto tornare la febbre peggio di prima. - Ah! - singhiozzava il giovanetto colle mani nei capelli, - per me non c'� pi� speranza! per me non c'� pi� speranza! - Tutto sua sorella Agata, che non voleva morire perch� era sposa! - osservava compare Carmine di faccia a sua moglie, seduta accanto al letto; e lei, che non piangeva pi� da un pezzo, confermava col capo, curva al pari di un gancio.
Lei, ridotta a quel modo, e suo marito grasso e grosso avevano il cuoio duro, e rimasero soli a guardar la casa. La malaria non ce l'ha contro di tutti. Alle volte uno vi campa cent'anni, come Cirino lo scimunito, il quale non aveva n� re n� regno, n� arte n� parte, n� padre n� madre, n� casa per dormire, n� pane da mangiare, e tutti lo conoscevano a quaranta miglia intorno, siccome andava da una fattoria all'altra, aiutando a governare i buoi, a trasportare il concime, a scorticare le bestie morte, a fare gli uffici vili; e pigliava delle pedate e un tozzo di pane; dormiva nei fossati, sul ciglione dei campi, a ridosso delle siepi, sotto le tettoie degli stallazzi; e viveva di carit�, errando come un cane senza padrone, scamiciato e scalzo, con due lembi di mutande tenuti insieme da una funicella sulle gambe magre e nere; e andava cantando a squarciagola sotto il sole che gli martellava sulla testa nuda, giallo come lo zafferano. Egli non prendeva pi� n� solfato, n� medicine, n� pigliava le febbri. Cento volte l'avevano raccolto disteso, quasi fosse morto, attraverso la strada; infine la malaria l'aveva lasciato, perch� non sapeva pi� che farsene di lui. Dopo che gli aveva mangiato il cervello e la polpa delle gambe, e gli era entrata tutta nella pancia gonfia come un otre, l'aveva lasciato contento come una pasqua, a cantare al sole meglio di un grillo. Di preferenza lo scimunito soleva stare dinanzi lo stallatico di Valsavoia, perch� ci passava della gente, ed egli correva loro dietro per delle miglia, gridando, uuh! uuh! finch� gli buttavano due centesimi. L'oste gli prendeva i centesimi e lo teneva a dormire sotto la tettoria, sullo strame dei cavalli, che quando si tiravano dei calci, Cirino correva a svegliare il padrone gridando uuh! e la mattina li strigliava e li governava.
Pi� tardi era stato attratto dalla ferrovia che costrussero l� vicino. I vetturali e i viandanti erano diventati pi� rari sulla strada, e lo scimunito non sapeva che pensare, guardando in aria delle ore le rondini che volavano, e batteva le palpebre al sole per capacitarsene. La prima volta, al vedere tutta quella gente insaccata nei carrozzoni che passavano dalla stazione, parve che indovinasse. E d'allora in poi ogni giorno aspettava il treno, senza sbagliare di un minuto, quasi avesse l'orologio in testa; e mentre gli fuggiva dinanzi, gettandogli contro la faccia il fumo e lo strepito, egli si dava a corrergli dietro, colle braccia in aria, urlando in tuono di collera e di minaccia: uuh! uuh!...
L'oste, anche lui, ogni volta che da lontano vedeva passare il treno sbuffante nella malaria, non diceva nulla, ma gli sputava contro il fatto suo scrollando il capo, davanti alla tettoia deserta e ai boccali vuoti. Prima gli affari andavano cos� bene che egli aveva preso quattro mogli, l'una dopo l'altra, tanto che lo chiamavano �Ammazzamogli� e dicevano che ci aveva fatto il callo, e tirava a pigliarsi la quinta, se la figlia di massaro Turi Oricchiazza non gli faceva rispondere: - Dio ne liberi! nemmeno se fosse d'oro, quel cristiano! Ei si mangia il prossimo suo come un coccodrillo! - Ma non era vero che ci avesse fatto il callo, perch� quando gli era morta comare Santa, ed era la terza, egli sino all'ora di colazione non ci aveva messo un boccone di pane in bocca, n� un sorso d'acqua, e piangeva per davvero dietro il banco dell'osteria. - Stavolta voglio pigliarmi una che � avvezza alla malaria - aveva detto dopo quel fatto. - Non voglio pi� soffrirne di questi dispiaceri -.
Le mogli gliele ammazzava la malaria, ad una ad una, ma lui lo lasciava tal quale, vecchio e grinzoso, che non avreste immaginato come quell'uomo l� ci avesse anche lui il suo bravo omicidio sulle spalle, quantunque tirasse a prendere la quarta moglie. Pure la moglie ogni volta la cercava giovane e appetitosa, ch� senza moglie l'osteria non pu� andare, e per questo gli avventori s'erano diradati. Ora non restava altri che compare Mommu, il cantoniere della ferrovia l� vicino, un uomo che non parlava mai, e veniva a bere il suo bicchiere fra un treno e l'altro, mettendosi a sedere sulla panchetta accanto all'uscio, colle scarpe in mano, per lasciare riposare i piedi. - Questi qui non li coglie la malaria! - pensava �Ammazzamogli� senza aprir bocca nemmeno lui, ch� se la malaria li avesse fatti cadere come le mosche non ci sarebbe stato chi facesse andare quella ferrovia l�. Il poveraccio, dacch� s'era levato dinanzi agli occhi il solo uomo che gli avvelenava l'esistenza, non ci aveva pi� che due nemici al mondo: la ferrovia che gli rubava gli avventori, e la malaria che gli portava via le mogli. Tutti gli altri nella pianura, sin dove arrivavano gli occhi, provavano un momento di contentezza, anche se nel lettuccio ci avevano qualcuno che se ne andava a poco a poco, o se la febbre li abbatteva sull'uscio, col fazzoletto in testa e il tabarro addosso. Si ricreavano guardando il seminato che veniva su prosperoso e verde come il velluto, o le biade che ondeggiavano al par di un mare, e ascoltavano la cantilena lunga dei mietitori, distesi come una fila di soldati, e in ogni viottolo si udiva la cornamusa, dietro la quale arrivavano dalla Calabria degli sciami di contadini per la messe, polverosi, curvi sotto la bisaccia pesante, gli uomini avanti e le donne in coda, zoppicanti e guardando la strada che si allungava con la faccia arsa e stanca. E sull'orlo di ogni fossato, dietro ogni macchia d'aloe, nell'ora in cui cala la sera come un velo grigio, fischiava lo zufolo del guardiano, in mezzo alle spighe mature che tacevano, immobili al cascare del vento, invase anch'esse dal silenzio della notte. - Ecco! - pensava �Ammazzamogli�. - Tutta quella gente l� se fa tanto di non lasciarci la pelle e di tornare a casa, ci torna con dei denari in tasca -.
Ma lui no! lui non aspettava n� la raccolta n� altro, e non aveva animo di cantare. La sera calava tanto triste, nello stallazzo vuoto e nell'osteria buia. A quell'ora il treno passava da lontano fischiando, e compare Mommu stava accanto al suo casotto colla bandieruola in mano; ma fin lass�, dopo che il treno era svanito nelle tenebre, si udiva Cirino lo scimunito che gli correva dietro urlando, uuh!... E �Ammazzamogli� sulla porta dell'osteria buia e deserta pensava che per quelli l� la malaria non ci era.
Infine quando non pot� pagar pi� l'affitto dell'osteria e dello stallazzo, il padrone lo mand� via dopo 57 anni che c'era stato, e �Ammazzamogli� si ridusse a cercar impiego nella ferrovia anche lui, e a tenere in mano la bandieruola quando passava il treno.
Allora stanco di correre tutto il giorno su e gi� lungo le rotaie, rifinito dagli anni e dai malanni, vedeva passare due volte al giorno la lunga fila dei carrozzoni stipati di gente; le allegre brigate di cacciatori che si sparpagliavano per la pianura; alle volte un contadinello che suonava l'organetto a capo chino, rincantucciato su di una panchetta di terza classe; le belle signore che affacciavano allo sportello il capo avvolto nel velo; l'argento e l'acciaio brunito dei sacchi e delle borse da viaggio che luccicavano sotto i lampioni smerigliati; le alte spalliere imbottite e coperte di trina. Ah, come si doveva viaggiar bene l� dentro, schiacciando un sonnellino! Sembrava che un pezzo di citt� sfilasse l� davanti, colla luminaria delle strade, e le botteghe sfavillanti. Poi il treno si perdeva nella vasta nebbia della sera, e il poveraccio, cavandosi un momento le scarpe, seduto sulla panchina, borbottava: - Ah! per questi qui non c'� proprio la malaria! �

 

Riassunto

Penetra   nelle ossa camminando lungo le strade piene di polvere di Lentini, Francofonte e Patern�. Alla sera, in questi paesi, si vedono persone sedute davanti la porta di casa, con il fazzoletto in testa o delle donne che allattano bambini che non si sa ancora se cresceranno e come cresceranno. Se qualcuno muore lo si carica nel carretto del fieno oppure su un asino e lo si porta nella chiesetta solitaria, come nel caso di Massaro Croce che da trent�anni inghiottiva solfato e decotto di eucalipto per curarsi. Compare Carmine aveva perso cos� i suoi cinque figli: tre maschi in et� da lavoro e due femmine. Dopo che i figli si erano ammalati Carmine non spendeva pi� soldi per le medicine ma andava a pesca e preparava i suoi piatti migliori per stimolare l�appetito del malato. Fra i figli di Carmine l�ultimo a morire aveva una forte paura della morte che una notte si butt� nel lago. C�era chi della malaria era guarito senza prendere le medicine, come Cirino lo scimunito. Cirino non aveva una casa ma sostava sempre davanti a Valsavoia perch� la strada era trafficata e molta gente gli dava due centesimi. L�unico nemico di Cirino fu la ferrovia perch� la gente ormai non percorreva pi� la strada. La ferrovia port� la rovina anche all�oste. Gli affari andavano bene, tanto che egli aveva avuto quattro mogli, tutte morte per malaria, fatto che gli aveva procurato il soprannome di "Ammazzamogli", ma con la costruzione della linea ferroviaria nessuno si fermava pi� all�osteria: l�unico cliente era il cantoniere. Alla sera, quando l�oste vedeva passare il treno carico di gente pensava: "Per certa gente non esiste la malaria". Quando non pot� pagare l�affitto il padrone lo mand� via e l�oste trov� lavoro nella ferrovia. Stanco ormai di correre su e gi� per le rotaie vedeva il treno passare con le sue luci e i sedili imbottiti, e lui, seduto su una panchina, pensava: "Per questi qui non c�� proprio la malaria!".

 

 




 

 



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