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(Quarta giornata dedicata agli amori infelici: Filomena racconta la storia di una fanciulla vittima dell�amore.)
Erano adunque in Messina
tre giovani fratelli e mercatanti, e assai ricchi uomini rimasi dopo la morte
del padre loro, il qual fu da San Gimignano, e avevano una lor sorella chiamata
Lisabetta, giovane assai bella e costumata, la quale, che che se ne fosse
cagione, ancora maritata non aveano.
E avevano oltre a ci� questi
tre fratelli in uno lor fondaco un giovinetto pisano chiamato Lorenzo, che tutti
i lor fatti guidava e faceva, il quale, essendo assai bello della persona e
leggiadro molto, avendolo pi� volte l'Isabetta guatato, avvenne che egli le
'ncominci� stranamente a piacere. Di che Lorenzo accortosi e una volta e altra,
similmente, lasciati suoi altri innamoramenti di fuori, incominci� a porre
l'animo a lei; e s� and� la bisogna che, piacendo l'uno all'altro igualmente,
non pass� gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che pi� disiderava
ciascuno.
E in questo continuando e
avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero s� segretamente
fare che una notte, andando l'Isabetta l� dove Lorenzo dormiva, che il maggior
de' fratelli, senza accorgersene ella, non se ne accorgesse. Il quale, per ci�
che savio giovane era, quantunque molto noioso gli fosse a ci� sapere, pur mosso
da pi� onesto consiglio, senza far motto o dir cosa alcuna, varie cose fra s�
rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina seguente trapass�.
Poi, venuto il giorno, a'suoi
fratelli ci� che veduto avea la passata notte dell'Isabetta e di Lorenzo
raccont�, e con loro insieme, dopo lungo consiglio, diliber� di questa cosa,
acci� che n� a loro n� alla sirocchia alcuna infamia ne seguisse, di passarsene
tacitamente e d'infignersi del tutto d'averne alcuna cosa veduta o saputa infino
a tanto che tempo venisse nel qua le essi, senza danno o sconcio di loro, questa
vergogna, avanti che pi� andasse innanzi, si potessero torre dal viso.
E in tal disposizion dimorando,
cos� cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano avvenne che, sembianti
faccendo d'andare fuori della citt� a diletto tutti e tre, seco menarono
Lorenzo; e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro,
Lorenzo, che di ci� niuna guardia prendeva, uccisono e sotterrarono in guisa che
niuna persona se ne accorse. E in Messina tornati dieder voce d'averlo per lor
bisogne mandato in alcun luogo; il che leggiermente creduto fu, per ci� che
spesse volte eran di mandarlo attorno usati.
Non tornando Lorenzo, e
l'Isabetta molto spesso e sollicitamente i fratei domandandone, s� come colei a
cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella molto
instantemente, che l'uno de'fratelli le disse:
- Che vuol dir questo? Che hai
tu a fare di Lorenzo, ch� tu ne domandi cos� spesso? Se tu ne domanderai pi�,
noi ti faremo quella risposta che ti si conviene.
Per che la giovane dolente e
trista, temendo e non sappiendo che, senza pi� domandarne si stava, e assai
volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse, e alcuna volta
con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e, senza punto rallegrarsi,
sempre aspettando si stava.
Avvenne una notte che, avendo
costei molto pianto Lorenzo che non tornava, ed essendosi alla fine piagnendo
addormentata, Lorenzo l'apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato e con
panni tutti stracciati e fracidi indosso, e parvele che egli dicesse:
- O Lisabetta, tu non mi fai
altro che chiamare e della mia lunga dimora t'attristi, e me con le tue lagrime
fieramente accusi; e per ci� sappi che io non posso pi� ritornarci, per ci� che
l'ultimo d� che tu mi vedesti i tuoi fratelli m'uccisono.
E disegnatole il luogo dove
sotterrato l'aveano, le disse che pi� nol chiamasse n� l'aspettasse, e
disparve.
La giovane destatasi, e dando
fede alla visione, amaramente pianse. Poi la mattina levata, non avendo ardire
di dire al cuna cosa a' fratelli, propose di volere andare al mostrato luogo e
di vedere se ci� fosse vero che nel sonno l'era paruto. E avuta la licenza
d'andare alquanto fuor della terra a diporto, in compagnia d'una che altra volta
con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto pi� tosto pot� l� se
n'and�; e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la
terra quivi cav�; n� ebbe guari cavato, che ella trov� il corpo del suo misero
amante in niuna cosa ancora guasto n� corrotto; per che manifestamente conobbe
essere stata vera la sua visione. Di che pi� che altra femina dolorosa,
conoscendo che quivi non era da piagnere, se avesse potuto volentieri tutto il
corpo n'avrebbe portato per dargli pi� convenevole sepoltura; ma, veggendo che
ci� esser non poteva, con un coltello il meglio che pot� gli spicc� dallo
'mbusto la testa, e quella in uno asciugatoio inviluppata e la terra sopra
l'altro corpo gittata, messala in grembo alla fante, senza essere stata da alcun
veduta, quindi si part� e tornossene a casa sua.
Quivi con questa testa nella
sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che
tutta con le sue lagrime la lav�, mille baci dandole in ogni parte. Poi prese un
grande e un bel testo, di questi nei quali si pianta la persa o il bassilico, e
dentro la vi mise fasciata in un bel drappo, e poi messovi su la terra, su vi
piant� parecchi piedi di bellissimo bassilico salernetano, e quegli di niuna
altra acqua che o rosata o di fior d'aranci o delle sue lagrime non inaffiava
giammai; e per usanza avea preso di sedersi sempre a questo testo vicina, e
quello con tutto il suo disidero vagheggiare, s� come quello che il suo Lorenzo
teneva nascoso; e poi che molto vagheggiato l'avea, sopr'esso andatasene,
cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il bassilico bagnava,
piagnea.
Il bassilico, s� per lo lungo e
continuo studio, s� per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta
che dentro v'era, divenne bellissimo e odorifero molto. E servando la giovane
questa maniera del continuo, pi� volte da'suoi vicini fu veduta. Li quali,
maravigliandosi i fratelli della sua guasta bellezza e di ci� che gli occhi le
parevano della testa fuggiti, il disser loro:
- Noi ci siamo accorti, che
ella ogni d� tiene la cotal maniera.
Il che udendo i fratelli e
accorgendosene, avendonela alcuna volta ripresa e non giovando, nascosamente da
lei fecer portar via questo testo. Il quale, non ritrovandolo ella, con
grandissima instanzia molte volte richiese; e non essendole renduto, non
cessando il pianto e le lagrime, inferm�, n� altro che il testo suo nella
infermit� domandava.
I giovani si maravigliavan
forte di questo addimandare e per ci� vollero vedere che dentro vi fosse; e
versata la terra, videro il drappo e in quello la testa non ancor s� consumata
che essi alla capellatura crespa non conoscessero lei esser quella di Lorenzo.
Di che essi si maravigliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse; e
sotterrata quella, senza altro dire, cautamente di Messina uscitisi e ordinato
come di quindi si ritraessono, se n'andarono a Napoli.
La giovane non restando di
piagnere e pure il suo testo addimandando, piagnendo si mor�; e cos� il suo
disavventurato amore ebbe termine. Ma poi a certo tempo divenuta questa cosa
manifesta a molti, fu alcuno che compuose quel la canzone la quale ancora oggi
si canta, cio�:
Quale esso fu lo malo
cristiano,
che mi fur� la grasta, ecc.
RIASSUNTO
Elisabetta � una giovane ragazza che vive a Messina con i fratelli, arricchitisi dopo la morte del padre. La giovane si innamora perdutamente di un bel giovane pisano, Lorenzo, che si occupava degli affari commerciali dei fratelli della ragazza.
I tre fratelli, per�, venuti a conoscenza dell'infatuazione di Lisabetta verso Lorenzo, decidono di portarlo con loro fuori citt� in occasione di un affare e gli tolgono la vita. Al ritorno dei fratelli, Lorenzo non era con loro, ma gi� altre volte era capitato che il giovane si fosse trattenuto fuori citt� per svariati giorni per ultimare gli affari.
Nonostante ci�, trascorrono troppi giorni e la ragazza comincia a disperarsi; in sogno, per�, le appare Lorenzo che le rivela di essere stato ucciso dai suoi fratelli e le indica il luogo in cui giace ora il suo corpo. Lisabetta si reca con la serva nel luogo indicatole. Giunta l�, trova il corpo dell'amato, prende un coltello e gli taglia la testa, portandola a casa affinch� qualcosa possa ricordarle il giovane e il loro breve amore. Una volta a casa, mette la testa in un vaso nel quale coltiva poi una pianta di basilico. Ogni giorno la giovane piange sulla pianta, annaffiandola delle sue lacrime e disperandosi. I fratelli, accortisi dello strano comportamento della sorella, le rubano il vaso e, trovataci dentro la testa di Lorenzo se ne disfano e fuggono dalla Sicilia, in seguito la storia si diffonde in tutta la citt� di Messina e Lisabetta muore sola e disperata, a causa del dolore provocato dalla perdita di Lorenzo e della pianta di basilico.
Nel racconto due visioni del mondo si scontrono:
- la logica crudele degli affari, incarnata dai fratelli mercanti;
- la logica del sentimento e dell�amore, incarnata dalla protagonista Lisetta.
Le due posizioni vengono a conflitto tra loro e ad avere la meglio � la prima.Ma in realt� l�esito finale non � cos� scontato. Infatti i fratelli hanno ucciso Lorenzo solo perch� preoccupati del loro buon nome, ma la loro storia � divenuta una ballata popolare che passa sulla bocca di tutti.In tal modo l�istinto e il sentimento si prendono la rivincita sul cinismo dell�interesse economico ad ogni costo.Boccaccio fa della protagonista Lisetta, che accetta la condizione di amante inconsolabile, una ribelle portatrice di valori alternativi rispetto alla mentalit� e alla societ� del suo tempo.
Il punto focale del racconto non � la morte di Lorenzo ma lo sprofondare in un silenzio di Lisetta nella contemplazione del vaso che conserva la testa del suo amante.Il desiderio represso costringe Lisetta a dimenticarsi dell�amato come persona e a fissarsi sul simulacro fino a delirare ed a smarrire la ragione. Il basilico , che cresce nel vaso , diventa un figlio metaforico: si sviluppa ma Lisetta deperisce e si consuma.