Alberto Moravia
Alberto Pincherle Moravia nasce a Roma nel 1907 da una benestante famiglia
borghese.
La sua infanzia è rovinata da una tubercolosi ossea che lo costringe ad
abbandonare la scuola ed a trascorrere lunghi periodi in sanatori montani, dove
ha l’opportunità di formarsi da autodidatta attraverso le importanti letture
e la meditazione forzata.
Esordisce giovanissimo pubblicando nel 1929 “Gli indifferenti”, a cui lavora
tra il 1925 ed il 1928, opera che squassa l’ambiente letterario con
l’incisività della sua prosa asciutta e minuziosa e la corrosiva
descrizione della società alto-borghese contemporanea.
Il mondo borghese di Moravia è un incubo da cui non ci si può risvegliare: i
protagonisti sono come inebiteti ed impossibilitati all'azione, invischiati fino
al collo nella logica del denaro e del sesso, e presi dal sistema consumistico
accettano passivamente una vita fatta di falsità ed ipocrisie. Attraverso il
dramma della famiglia Ardengo Moravia biasima l'atteggiamento inerte della
borghesia italiana di fronte all'ascesa del fascismo.
Il secondo romanzo “Le ambizioni sbagliate” (1935) risulta essere tutto
sommato una prova minore mentre ben più graffiante appare la satira politica di
“La mascherata” (1941) che, attraverso la grottesca rappresentazione di una
dittatura sudamericana, critica il regime fascista.
Nel 1944 esce “Agostino” romanzo breve in cui narra la formazione
del giovane ed inquieto protagonista che, attratto dalla bellezza della madre
vedova, scopre che il suo rapporto con lei è dominato da una fosca gelosia che
esplode quando la vede mano nella mano con un bagnino; altrettanto amara è per
Agostino la presa di coscienza dell’esistenza della differenza tra le classi
sociali, di fronte alla quale si sente incapace sia di continuare a vivere
serenamente all’interno del suo mondo borghese sia di integrarsi con i ragazzi
del proletariato.
Si accosta al filone neorealista che nel dopoguerra esalta il proletariato e le
classi popolari, adottando spesso le tematiche della lotta partigiana, della
guerra, delle rivolte contadine ed operaie, con opere quali “La romana”
(1947), in cui esprime una concezione totalmente pessimistica della vita
attraverso la "caduta" della povera ed ingenua protagonista Adriana,
“Racconti romani” (1954) e “La ciociara” (1957).
Quest’ultimo romanzo narra attraverso gli occhi ed il linguaggio della
protagonista, la popolana Cesira, il dolore e la miseria che una ferita
insanabile come la guerra porta con sé, l’abbrutimento e la corruzione a cui
costringe anche i più puri (Cesira diviene disonesta per cupidigia, la figlia
Rosetta dopo esser stata violentata si prostituisce), l’annullamento
dell’umanità nella violenza.
Dopo “Il conformista” (1951), con l'emblematica figura del protagonista,
un intellettuale che, devastato dai sensi di colpa, finisce col trasformarsi in
un assassino ed “Il disprezzo” (1954), critica pungente all'industria
cinematografica che ha trasformato la cultura in merce, Moravia tocca un altro
vertice letterario con “La noia”, romanzo con cui vince il premio Viareggio
e che ritorna sul tema dell’incapacità di connettersi al reale di
protagonisti abulici che ricalcano quelli de “Gli indifferenti”.
Con “L’attenzione” (1965) il tema dell'ambiguità del reale viene indagato con l'utilizzo di nuove forme narrative, in “Io e lui” (1971) l'autore gioca ironicamente con la questione sessuale.
Nel 1983 scrive "La cosa e altri racconti" (1983) dedicato a Carmen Llera che sposerà nel gennaio del 1986.
Scompare a Roma nel 1990 e l’anno seguente esce postumo “La donna leopardo” (1991).
Temi e motivi
Il macrotema sotteso all´intera opera di Moravia è quello dell´indifferenza. L´indifferenza è la condizione umana, la condizione dell´uomo moderno, dell´uomo che ha ormai soddisfatto ampiamente i suoi bisogni primari, e non trova più stimoli che lo facciano sentire vivo.
Da questa condizione l´uomo di Moravia non ha né possibilità di fuga, né il supporto di una qualche forma di trascendenza. Resta solo il desiderio forsennato di provare qualcosa. Questa é la sua sola possibilità di entrare in contatto con il mondo. E tale contatto può avvenire essenzialmente attraverso la liberazione dei sensi e degli istinti. Ma il risultato non è e non può essere il possesso della conoscenza, bensì la noia, la noia intesa come consapevolezza di essere una cosa.
Se si guarda la realtà con lucidità razionale, nel tessuto ottimistico della civiltà "borghese" si può avvertire l´esistenza di questa indifferenza di fondo. L´occhio dell´analisi razionale avverte così una sfasatura, al pari di Svevo e Pirandello.
Moravia individua una crisi senza uscita nella società borghese. Lo scrittore appartiene alla classe borghese e avverte pienamente questa appartenenza. All´inizio nel suo rapporto con la propria classe vede solo i segni di una trasformazione in corso. Ma poi si mette in scena un vero e proprio psicodramma: nel divenire della storia non sono possibili sviluppi in positivo. Le evoluzioni cui va incontro la società nel divenire storico non le consentono alcuna ulteriore soluzione di continuità. Lo sbocco di chi tenta una via di uscita è che un suicidio fallito, in cui si acquista la consapevolezza dell´impossibilità di qualsiasi redenzione.
ASPETTI DEL PENSIERO
Il pensiero di Moravia è pervaso da un pessimismo privo di fiducia , i
personaggi dei suoi romanzi sono eroi negativi isoddisfatti dell'angustia del
loro mondo e incapaci di reagire cadendo in un conflitto interiore fino ad
arrivare all'indifferenza.I protagonisti sembrano dei prigionieri che non vanno
oltre l'ossessione del sesso e del denaro senza la possibilità di arrivare ad
un reale miglioramento della società.Marx e Freud furono fondamentali per la
sua formazione, anche se di Marx e Freud condivise l’aspetto critico e
analitico ma non gli elementi propositivi..
La crisi della società moderna viene
svelata dalla relazione tra sesso e denaro, che a causa dell’avidità riduce i
rapporti umani a quelli puramente sessuali. La prostituta un personaggio-tipo,
un esempio di umanità alienata, incapace di stabilire rapporti sociali, al di là
di quelli sessuali; un esempio di persona sopraffatta dai valori mistificanti
della società borghese. Tutti gli
uomini, in fondo, hanno il destino della prostituta: rimangono schiavi dei falsi
valori proposti dalla vita.
Negli "infiniti intrighi sessuali dei personaggi di Moravia il possesso
della donna e della ricchezza viene elevato a nume tutelare e univoco di una
società borghese ormai in piena crisi di valori. E Moravia si fa interprete
della crisi della borghesia moderna, alienata dalla ricchezza, dal denaro, dalla
produzione, dalla tecnologia, dal lusso, il cui unico mezzo di comunicazione
sembra essere il rapporto sessuale. Ma anche tale rapporto non è autentico, se
è vero che difficilmente chi veramente ama riesce a possedere la persona amata
- come accade per la Romana - in quanto gli uomini moderni hanno inquinato anche
i rapporti stessi dell'amore, mistificandoli con quelli della loro ricchezza
oppure delle loro manie ossessive" (Giacalone).
E da qui deriva, probabilmente, la ragione interiore della sua vocazione
narrativa che denunzia gli infiniti casi che la realtà ci presenta, attraverso
quei personaggi che dal fallimento e dal dramma dell'esperienza approdano
finalmente alla riva dell'arte che li rivela a tutti gli uomini. Ed ecco anche
la ragione per cui il tema del sesso non è mai narrato con compiacimento
sensuale, bensì con senso di disperazione e di amara solitudine.
In lui il contrasto tra ricco e povero, tra puri e corrotti non assume però una
fisionomia ideologica o politico-sociale, bensì è posto in un rapporto tutto
esistenziale per cui soffrono sia ricchi che poveri, sia puri che corrotti,
tutti presi da un delirio senza speranza.
Lui crede nella funzione narrativa chiamata ad esprimere sulla società un giudizio morale, e nella possibilità dello scrittore di farsi come testimone critico della società, di cui è tenuto a scardinare tabù ed ipocrisie.Il suo romanzo è, quindi, teso più a fornire una visione ideologica del mondo che a rappresentare azioni e avvenimenti.
Il suo stile è caratterizzato da una scrittura
oggettiva, priva di tensioni emotive, fredda e distaccata, idonea a
rappresentare la condizione alienata dell'uomo moderno.
Opere
Gli
indifferenti (1929) costituiscono un romanzo
di rottura con ogni aspetto della cultura italiana del tempo in quanto l'autore immetteva nell'arte
narrativa un mondo inconsueto. "La realtà che l'autore traduceva ne
"Gli indifferenti"e i modi linguistici, di cui si valeva, accusavano una
franchezza morale e una disinvoltura tecnica veramente singolari e, in gran
parte, inedite nella nostra letteratura contemporanea. Quel che colpiva in
questo suo primo romanzo era la convergenza d'un contenuto per così dire immorale e squallido
. Il trattamento ch'egli riservava ai suoi attori era contrassegnato
da un distacco intellettuale che gli permetteva di alienarli da se stesso e di
atteggiarli in una parvenza di oggettività talmente fredda e scostante da poter
sembrare quasi una diagnosi clinica" (Battaglia).
L’autore, come si è detto, non aveva l’intenzione di porre sotto accusa
diretta il fascismo, ma gli stessi modi realistici della narrazione costituivano
già un segno di protesta e di rottura. Il romanzo infatti implicava una
violenta accusa della struttura morale della famiglia borghese, e della società
che aveva mistificato i valori dell'etica ufficiale piccolo-borghese del
Fascismo.
Agostino "non è soltanto, come parve ai più, la storia della scoperta del
sesso, e non è nemmeno soltanto la storia di una iniziazione sessuale
dolorosamente frustrata: è piuttosto, in tale veste di narrato, la storia […]
di un ragazzo che si sforza, faticosamente, amaramente, di pervenire a vivere e
a sentire come un uomo" (Sanguineti).
Per questo Agostino costituisce un’evoluzione nella tematica di Moravia e
porta in primo piano il problema, particolarmente sentito dall’autore, del
passaggio dalla adolescenza alla virilità.
Mentre Michele ne GLI INDIFFERENTI e Girolamo in Inverno di malato, cercano il loro modello in
un amico a loro vicino agli occhi di Agostino, "chiuso nella fittizia
innocenza-ignoranza dell'educazione e della situazione vitale borghesi, la realtà
non è afferrabile e percepibile se non attraverso il mondo della banda, cioè
attraverso il tipo di alienazione affatto diverso, anzi direttamente antitetico.
Il mondo della banda, insomma, riflettendo la realtà in altra e proprio in
contraria alienazione, è lo specchio unico e indispensabile in cui Agostino può
vedere riflessa, sia pure confusamente, e comprendere più con il sangue che con
il cervello, qualche realtà che ha vagamente intuito e mai riconosciuto, e che
è, prima di tutto, la condizione effettiva del suo essere, la verità della sua
esistenza alienata. in una formula schematica: il ricco non può conoscersi e
intendersi nella sua essenza più profonda, che è quell'essere ricco che lo
condiziona integralmente, se non attraverso l'immagine che il povero ne
riflette, immagine non assoluta davvero, non oggettiva, ma certo più vera e
reale di quella che egli ha fabbricato, per sé, nella sua coscienza, immagine
insomma non alienata dalla ricchezza" (Sanguineti).
Nel romanzo La disubbidienza (1948) Luca, il protagonista, giunge alla
conclusione che non esiste paese innocente nel mondo borghese e che solo la
morte potrebbe permettere di raggiungere questa dimensione dell’innocenza. Ma
alla fine cede all’impulso vitale e accetta il rapporto sessuale che si rivela
come un ritorno al seno materno, alle sorgenti della vita; e il romanzo
concluderà:
Sì, concluse, la vita doveva proprio essere questo; non il cielo, la terra, il
mare, gli uomini e le loro sistemazioni, bensì una caverna buia e stillante di
carne materna e amorosa in cui egli entrava fiducioso, sicuro che vi sarebbe
stato protetto come era stato protetto da sua madre finché ella l'aveva portato
in seno.
Nel romanzo LA ROMANA in un momento in cui il poliziotto fascista Astarita sta in
ginocchio con la testa nel grembo di Adriana, lei osserva con una frase che
molto somiglia alla finale de La disubbidienza:
In quei momenti non mi pareva più un amante bensì un bambino che cercasse il
buio e il caldo del grembo materno. E pensavo che molti uomini vorrebbero non
esser mai nati; e che, in quel suo gesto, forse inconsapevolmente, si esprimeva
il desiderio oscuro di essere di nuovo riassunto dentro le viscere tenebrose
dalle quali con dolore era stato cacciato alla luce.
Si tratta come si è detto di un pessimismo cosmico e materialistico, che molto
da vicino ci richiama Lucrezio, il grande poeta latino che Moravia ha assimilato
benissimo.
Ma al di là del pessimismo, che nel romanzo è legato al personaggio di Mino,
l’intellettuale che non crede ad un'alternativa storica al mondo borghese, non
va dimenticata l'umana pietà che avvolge il personaggio della romana, della
prostituta, così sollecita e devota nel sopportare la sua croce, così
rassegnata e di cui Moravia ha fatto quasi un’eroina, vittima degli ideali
della borghesia. Mino arriva al suicidio perché è incapace di liberarsi dal
complesso della borghesia, pur negandone i valori; pertanto la rassegnazione di
Adriana è l'unica via che rende possibile la speranza di una vita migliore. La
vita, del resto, migliora soltanto vivendola fin nelle sue assurde
contraddizioni esistenziali. Questo è il problema essenziale ed esistenziale
del libro.
Con La
ciociara Moravia ha voluto pagare il suo tributo alla letteratura della
Resistenza e dell'antifascismo; ma ha anche ripreso i grandi problemi
esistenziali e ideologico-politici che animavano già i drammi di altri suoi
personaggi. Ce lo indica Moravia stesso:
Con LA CIOCIARA si chiude idealmente la mia fase di apertura e di fede senza
incrinatura nei confronti del Comunismo. Si consumava dentro di me
l'identi-ficazione tra comunista e intellettuale. In altri termini il
personaggio di Michele de GLI INDIFFERENTI si conclude là, ne "LA CIOCIARA". Non a caso, il protagonista maschile del romanzo l'ho chiamato
appunto Michele.
Ne "LA CIOCIARA" c’è il superamento dell’indifferenza di Michele che
diviene responsabile e consapevole della lotta antifascista, e la sua elevazione
ad esempio di eroe del sacrificio e dell'altruismo.
Questo processo di purificazione e superamento appare tuttavia come problema
esistenziale più che problema politico. Forse più che l'ideologia marxista,
spingono Michele all'azione attiva e diretta contro i fascisti e i nazisti la
situazione drammatica del mondo sconvolto e il buon senso di popolano. Anche
qui, come sempre, l'intellettuale è il prodotto migliore che è venuto fuori
dalla borghesia, e che ha saputo mettere in netta crisi quella stessa classe
sociale.
Indubbiamente ne La
ciociara, che rimane un romanzo autobiografico, una specie di
documentario delle esperienze che l'autore ha fatto nel suo rifugio a Fondi,
Moravia ha voluto sottolineare precisamente la tragedia della guerra, queste
nuove forme di alienazione degli uomini imbarbariti prima dal bisogno e dalla
fame, e poi dal profitto e dalla violenza. La vita è questa triste esperienza,
e non c'è alcun paese innocente che possa sfuggire alla realtà drammatica e
alienante della guerra e della violenza. Questo è il tono drammatico de
"LA CIOCIARA", uno dei romanzi più autentici e veristici scritti su
quest'ultima guerra, sofferta da Moravia nelle carni e nello spirito.
Nel 1960 Moravia affronta nel personaggio di Dino, protagonista de La noia il
tema della incomunicabilità, che è l’aspetto più desolato
dell’alienazione. E se nel 1929 aveva scelto i personaggi e l'ambiente
storico-sociale della società borghese fascista, ora sposta la sua indagine
sulla borghesia italiana neocapitalistica del secondo dopoguerra. Protagonista
sarà la società industrializzata e alienata del dopoguerra, la borghesia
fondata sul denaro. "Analizzando un Dino, come personaggio tipico della
società borghese contemporanea, Moravia viene a suggerire e rappresentare che
ciò che vi è di tipico in siffatta società, è il fenomeno per cui, mentre la
società borghese classica poteva vantare una pienezza di rapporti con il reale
prepotentemente assoluta e di grande ricchezza vitale almeno per la classe
borghese, e anzi una pienezza di rapporti crescente, quanto più ci si poteva
accostare al vertice di quella stessa classe sociale, riservando l'alienazione
ai soli strati inferiori, o moravianamente, ai poveri, oggi l'alienazione
investe, nel processo fatale di corruzione di siffatta società, anche gli
strati più alti, e raggiunge, nei termini di Moravia, anche i ricchi" (Sanguineti).
Quello de La noia è quindi un dramma di ordine sociale, perché basato
sull'analisi dei rapporti fra l'uomo e il sistema neocapitalistico del secondo
dopoguerra.
Il romanzo può apparire quasi pornografico, ma la prima impressione è smentita
dal dramma umano ed esistenziale che matura attraverso il rapporto sessuale,
sentito come unico mezzo disperato di comunicazione in una società alienata dal
denaro e dal benessere. E questo è chiaramente detto da Dino: eravamo madre e
figlio e il legame che ci univa non era l'amore bensì il denaro.
Qui il denaro non è più psicologicamente nobilitato dalla verghiana religione
della roba, unica realtà che possa dare l’eternità a Mastro don Gesualdo; è,
invece, un potente mezzo che condiziona la solitudine e l'incomunicabilità
umana nel mondo borghese. E quindi "se la sua efficacia di denaro viene
meno, se la sua essenza di strumento per possedere la realtà è sconfitta, è
la realtà stessa che è perduta e diviene assolutamente enigmatica. Perché il
denaro, in sostanza, è lo strumento non soltanto dell'alienazione, ma della
conoscenza stessa, nel mondo borghese; ciò che non si spiega in termini di
denaro, non si spiega affatto. Il che chiarisce ancora meglio quanto si
affermava più sopra: la realtà è tanto più amabile e desiderabile quanto più
non è economicamente valutabile, cioè proprio in quanto si sottrae al possesso
e rende vano quell'amore e quel desiderio" (Sanguineti).
E Dino stesso lo confessa:
Proprio perché Cecilia non si lasciava possedere attraverso il denaro, io mi
sentivo, adesso, spinto, irresistibilmente, a dargliene; così come proprio
perché non riuscivo a possederla attraverso l'atto sessuale, mi sentivo spinto
a ripetere più e più volte l'atto medesimo. In realtà, così il denaro come
l'atto sessuale mi davano per un istante l'illusione del possesso; e io non
potevo più fare a meno, ormai, di quell'istante, benché sapessi che era sempre
regolarmente seguito da un sentimento di profonda delusione.