SALVATORE QUASIMODO

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POESIE DI SALVATORE QUASIMODO


Quasi un madrigale( QUASIMODO)

 
Il girasole piega a occidente

e gi� precipita il giorno nel suo

occhio in rovina e l'aria dell'estate

s'addensa e gi� curva le foglie e il fumo

dei cantieri. S'allontana con scorrere

secco di nubi e stridere di fulmini

quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,

e da anni, cara, ci ferma il mutarsi

degli alberi stretti dentro la cerchia

dei Navigli. Ma � sempre il nostro giorno

e sempre quel sole che se ne va

con il filo del suo raggio affettuoso.

 

Non ho pi� ricordi, non voglio ricordare;

la memoria risale dalla morte,

la vita � senza fine. Ogni giorno

� nostro. Uno si fermer� per sempre,

e tu con me, quando ci sembri tardi.

Qui sull'argine del canale, i piedi

in altalena, come di fanciulli,

guardiamo l'acqua, i primi rami dentro

il suo colore verde che s'oscura.

E l'uomo che in silenzio s'avvicina

non nasconde un coltello fra le mani,

ma un fiore di geranio.




ALLA NUOVA LUNA QUASIMODO

In principio Dio cre� il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo,
e al settimo giorno si ripos�.
Dopo miliardi di anni l�uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d�una notte d�ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.





"Davanti al simulacro d'Ilaria del Carretto"

Quasimodo

Sotto la terra luna gi� i tuoi colli,
lungo il Serchio fanciulle in vesti rosse
e turchine si muovono leggere.
Cos� al tuo dolce tempo, cara; e Sirio
perde colore, e ogni ora s�allontana,
e il gabbiano s�infuria sulle spiagge
derelitte. Gli amanti vanno lieti
nell�aria di settembre, i loro gesti
accompagnano ombre di parole
che conosci. Non hanno piet�; e tu
tenuta dalla terra, che lamenti?
Sei qui rimasta sola. Il mio sussulto
forse � il tuo, uguale d�ira e di spavento.
Remoti i morti e pi� ancora i vivi,
i miei compagni vili e taciturni.





Che vuoi, pastore d'aria?

Ed � ancora il richiamo dell'antico 
corno dei pastori, aspro sui fossati 
bianchi di scorze di serpenti. Forse 
d� fiato dai pianori d'Acquaviva, 
dove il Pl�tani rotola conchiglie 
sotto l'acqua fra i piedi dei fanciulli 
di pelle uliva. O da che terra il soffio 
di vento prigioniero, rompe e fa eco 
nella luce che gi� crolla; che vuoi, 
pastore d'aria? Forse chiami i morti. 
Tu con me non odi, confusa al mare 
dal riverbero, attenta al grido basso 
dei pescatori che alzano le reti.





Antico inverno 


Desiderio delle tue mani chiare 
nella penombra della fiamma: 
sapevano di rovere e di rose; 
di morte. Antico inverno. 

Cercavano il miglio gli uccelli 
ed erano subito di neve; 
cos� le parole. 
Un po' di sole, una raggera d'angelo, 
e poi la nebbia; e gli alberi, 
e noi fatti d'aria al mattino. 

S. Quasimodo 




Ride la gazza, nera sugli aranci 

Forse � un segno vero della vita: 
intorno a me fanciulli con leggeri 
moti del capo danzano in un gioco 
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Piet� della sera, ombre 
riaccese sopra l'erba cos� verde, 
bellissime nel fuoco della luna! 
Memoria vi concede breve sonno; 
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo 
per la prima marea. Questa � l'ora: 
non pi� mia, arsi, remoti simulacri. 
E tu vento del sud forte di z�gare, 
spingi la luna dove nudi dormono 
fanciulli, forza il puledro sui campi 
umidi d'orme di cavalle, apri 
il mare, alza le nuvole dagli alberi: 
gi� l'airone s'avanza verso l'acqua 
e fiuta lento il fango tra le spine, 
ride la gazza, nera sugli aranci.






Nessuno di Salvatore Quasimodo

Io sono forse un fanciullo
che ha paura dei morti,
ma che la morte chiama
perch�  lo sciolga da tutte le creature:
i bambini, l'albero, gli insetti;
da ogni cosa che ha cuore di tristezza.

Perche' non ha piu doni
e le strade son buie,
e pi� non c'e' nessuno
che sappia farlo piangere
vicino a te, Signore.

 




S'ODE ANCORA IL MARE 

Gi� da pi� notti s'ode ancora il mare, 
lieve, su e gi�, lungo le sabbie lisce. 
Eco d'una voce chiusa nella mente 
che risale dal tempo; ed anche questo 
lamento assiduo di gabbiani: forse 
d'uccelli delle torri, che l'aprile 
sospinge verso la pianura. Gi� 
m'eri vicina tu con quella voce; 
ed io vorrei che pure a te venisse, 
ora, di me un'eco di memoria, 
come quel buio murmure di mare.






Ora che sale il giorno 

Finita � la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

E� cos� vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei pi� lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!


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