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POESIE DI GABRIELE D'ANNUNZIO
Un ricordo Ella teneva a terra gli occhi fissi. Nel silenzio incredibile i minuti pareano aprire smisurati abissi. Oh se per sempre, sotto un improvviso colpo, fossimo noi rimasti muti! Lenta mi sollev� quelli occhi al viso. Ancora la convulsa bocca esangue vedo. Le prime sue parole, rare, cadono come gocciole di sangue da piaga che incominci a sanguinare. IL VENTO SCRIVE D�ANNUNZIO Su la docile sabbia il vento scrive con le penne dell'ala; e in sua favella parlano i segni per le bianche rive. Ma, quando il sol declina, d'ogni nota ombra lene si crea, d'ogni ondicella, quasi di ciglia su soave gota. E par che nell'immenso arido viso della pioggia s'immilli il tuo sorriso. LE STIRPI CANORE I miei carmi son prole delle foreste, altri dell'onde, altri delle arene, altri del Sole, altri del vento Argeste. Le mie parole sono profonde come la redici terrene, altre serene come i firmamenti, fervide come le vene degli adolescenti, ispide come i dumi, confuse come i fumi confusi, nette come i cristalli del monte, tremule come le fronde del pioppo, tumide come la nerici dei cavalli a galoppo, labili come i profumi diffusi, vergini come i calici appena schiusi, notturne come le rugiade dei cieli, funebri come gli asfodeli dell'Ade, pieghevoli come i salici dello stagno, tenui come i teli che fra due steli tesse il ragno. IN SUL VESPERO In sul vespero, scendo alla radura. Prendo col laccio la puledra brada che ancor tra i denti ha schiuma di pastura. Tanaglio il dorso nudo, alle difese; e per le ascelle afferro la nai�da, la sollevo, la pianto sul garrese. Schizzan di sotto all'ugne nel galoppo gli aghi i rami le pigne le cortecce. Di l� dai fossi, ecco il triforme groppo su per le vampe delle fulve secce! STABAT NUDA AESTAS Primamente intravidi il suo pi� stretto scorrere su er gli aghi arsi dei pini ove estuava l'aere con grande tremito, quasi bianca vampa effusa. Le cicale si tacquero. Pi� rochi si fecero i ruscelli. Copiosa la resina gemette gi� pe'fusti. Riconobbi il col�bro dal sentore. Nel bosco degli ulivi la raggiunsi. Scorsi l'ombre cerulee dei rami su la schiena falcata, e i capei fulvi nell'argento pall�dio trasvolare senza suono. Pi� lunghi nella stoppia, l'allodola balz� dal solco raso, la chiam�, la chiam� per nome in cielo. Allora anch'io per nome la chiamai. Tra i leandri la vidi che si volse. Come in bronzea m�sse nel falasco entr�, che richiudeasi strepitoso. Pi� lungi, verso il lido, tra la paglia marina il piede le si tolse in fallo. Distesa cadde tra le sabbie e l'acque. Il ponente schium� nei sui capegli. Immensa apparve , immensa nudit�. L�ONDA DI D�ANNUNZIO Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l'antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S'argenta? s'oscura? A un tratto come colpo dismaglia l'arme, la forza del vento l'intacca. Non dura. Nasce l'onda fiacca, s�bito s'ammorza. Il vento rinforza. Altra onda nasce, si perde, come agnello che pasce pel verde: un fiocco di spuma che balza! Ma il vento riviene, rincalza, ridonda. Altra onda s'alza, nel suo nascimento pi� lene che ventre virginale! Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende. Il dorso ampio splende come cristallo; la cima leggiera s'aruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L'onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia, s'infiora, odora, travolge la cuora, trae l'alga e l'ulva; s'allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui 'l vento di� tempra diversa; l'avversa, l'assalta, la sormonta, vi si mesce, s'accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d'iridi ferve nella risacca; par che di crisopazzi scintilli e di berilli viridi a sacca. O sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace. E per la riva l'ode la sua sorella scalza dal passo leggero e dalle gambe lisce, Aretusa rapace che rapisce le frutta ond'ha colmo suo grembo. S�bito le balza il cor, le raggia il viso d'oro. Lascia ella il lembo, s'inclina al richiamo canoro; e la selvaggia rapina, l'acerbo suo tesoro obl�a nella melode. E anch'ella si gode come l'onda, l'asciutta fura, quasi che tutta la freschezza marina a nembo entro le giunga! Musa, cantai la lode della mia Strofe Lunga. O falce di luna calante Gabriele d'annunzio O falce di luna calante che brilli su l�acque deserte, o falce d�argento, qual m�sse di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua gi�! Aneliti brevi di foglie, sospiri di fiori dal bosco esalano al mare: non canto non grido non suono pe �l vasto silenzio va. Oppresso d�amor, di piacere, il popol de� vivi s�addorme... O falce calante, qual m�sse di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua gi�! La sera fiesolana Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il frusc�o che fan le foglie del gelso ne la man di chi le coglie silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta su l'alta scala che s'annera contro il fusto che s'inargenta con le sue rame spoglie mentre la Luna � prossima a le soglie cerule e par che innanzi a s� distenda un velo ove il nostro sogno giace e par che la campagna gi� si senta da lei sommersa nel notturno gelo e da lei beva la sperata pace senza vederla. Laudata sii pel tuo viso di perla, o Sera, e pe'; tuoi grandi umidi occhi ove si tace l'acqua del cielo! Dolci le mie parole ne la sera ti sien come la pioggia che bruiva tepida e fuggitiva, commiato lacrimoso de la primavera, su i gelsi e su gli olmi e su le viti e su i pini dai novelli rosei diti che giocano con l'aura che si perde, e su 'l grano che non � biondo ancora e non � verde, e su 'l fieno che gi� pat� la falce e trascolora, e su gli olivi, su i fratelli olivi che fan di santit� pallidi i clivi e sorridenti. Laudata sii per le tue vesti aulenti, o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce il fien che odora! Io ti dir� verso quali reami d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti eterne a l'ombra de gli antichi rami parlano nel mistero sacro dei monti; e ti dir� per qual segreto le colline su i limpidi orizzonti s'incurvino come labbra che un divieto chiuda, e perch� la volont� di dire le faccia belle oltre ogni uman desire e nel silenzio lor sempre novelle consolatrici, s� che pare che ogni sera l'anima le possa amare d'amor pi� forte. Laudata sii per la tua pura morte, o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare le prime stelle! PASTORI D'ABRUZZO Settembre, andiamo. � tempo di migrare. Ora in terra d�Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all�Adriatico selvaggio che verde � come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d�acqua nat�a rimanga ne� cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d�avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh�esso il litoral cammina la greggia. Senza mutamento � l�aria. Il sole imbionda s� la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacqu�o, calpest�o, dolci romori. Ah perch� non son io co� miei pastori? MERIGGIO A mezzo il giorno sul Mare etrusco pallido verdicante come il dissepolto bronzo dagli ipogei, grava la bonaccia. Non bava di vento intorno alita. Non trema canna su la solitaria spiaggia aspra di rusco, di ginepri arsi. Non suona voce, se acolto. Riga di vele in panna verso Livorno biancica. Pel chiaro silenzio il Capo Corvo l'isola del Faro scorgo; e pi� lontane, forme d'aria nell'aria, l'isole del tuo sdegno, o padre Dante, la Capraia e la Gorgona. Marmorea corona di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte. La foce � come salso stagno. Del marin colore, per mezzo alle capanne, per entro alle reti che pendono dalla croce degli staggi, si tace. Come il bronzo sepolcrale pallida verdica in pace quella che sorridea. Quasi let�a, obliviosa, eguale, segno non mostra di corrente, non ruga d'aura.La fuga delle due rive si chiude come in un cerchio di canne, che circonscrive l'obl�o silente; e le canne non han susurri. Pi� foschi i boschi di San Rossore fan di s� cupa chiostra; ma i pi� lontani, verso il Gombo, verso il Serchio, son quasi azzurri. Dormono i Monti Pisani coperti da inerti cumuli di vapore. Bonaccia, calura, per ovunque silenzio. L'Estate si matura sul mio capo come un pomo che promesso mi sia, che cogliere io debba con la mia mano, che suggere io debba con le mie labbra solo. Perduta � ogni traccia dell'uomo. Voce non suona, se ascolto. Ogni duolo umano m'abbandona. Non ho pi� nome. E sento che il mio v�lto s'indora dell'oro meridiano, e che la mia bionda barba riluce come la paglia marina; sento che il lido rigato con s� delicato lavoro dell'onda e dal vento � come il mio palato, � come il cavo della mia mano ove il tatto s'affina. E la mia forza supina si stampa nell'arena, diffondesi nel mare; e il fiume � la mia vena, il monte � la mia fronte, la selva � la mia pube, la nube � il mio sudore. E io sono nel fiore della stiancia, nella scaglia della pina, nella bacca, del ginepro: io son nel fuco, nella paglia marina, in ogni cosa esigua, in ogni cosa immane, nella sabbia contigua, nelle vette lontane. Ardo, riluco. E non ho pi� nome. E l'alpi e l'isole e i golfi e i capi e i fari e i boschi e le foci ch'io nomai non han pi� l'usato nome che suona in labbra umane. Non ho pi� nome n� sorte tra gli uomini; ma il mio nome � Meriggio. In tutto io vivo tacito come la Morte. E la mia vita � divina.PER COMMENTI CLICCA APPROFONDIMENTI LETTERARI
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