PERCORSO DI STUDIO :
La felicit� � la principale aspirazione di ogni individuo , si
vive per raggiungerla , tutti gli sforzi sono profusi per ottenerla con
qualsiasi mezzo , ma sembra irraggiungibile forse a causa dei nostri difetti o
per colpa della natura o di un destino che non ci ha dato i mezzi necessari
all�ottenimento di questo tanto sospirato piacere.
Il percorso di studi segue tre fasi :
Prima fase :
Leopardi e il problema della felicit�.
Poesia : L�INFINITO
Seconda fase:
Pascoli e l�illusione della nostra vita.
Poesia :� NOVEMBRE
Terza fase :
Quasimodo e il disorientamento dell�uomo del nostro tempo.
Poesia : ED E� SUBITO SERA
Poesia :� L�UOMO DEL MIO
TEMPO
Storia :� LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
Giacomo
Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a Recanati delle Marche, legazione dello
stato Pontificio, dal Conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici.
Nel
"nat�o borgo" il futuro poeta trascorse l'infanzia in compagnia dei
fratelli Carlo, Luigi e della sorella Paolina. La sua educazione fu affidata ai
precettori del luogo; l'infanzia tuttavia non fu serena in quanto l'ambiente di
casa era bigotto, cerimonioso e senza cordialit�; i rapporti fra i due coniugi,
fra i genitori e i figli erano irti di sotterfugi (si volevano bene, a modo
loro, ma escludendo ogni possibilit� di confidenza, di espansione).
Il
patrimonio della famiglia era stato condotto sull'orlo della rovina dalla
prodigalit� e dalle cattive speculazioni del padre, ed era subentrata perci� ad
amministrarlo la madre con un regime di disciplina e di severa economia, che
lasciava intatte solo certe apparenze di fasto esteriore.
In
questo ambiente uggioso e retrivo, isolato dalle correnti pi� vive ed aperte
del progresso intellettuale, crebbe Giacomo fanciullo con la sua precoce
intelligenza e la sua indole estremamente sensibile e fantastica. A dieci anni,
il Leopardi si sente solo e trova nello studio, nei libri della biblioteca
paterna, ricca non soltanto di classici ma anche di opere del Settecento, il
suo unico rifugio.
In
questi "sette anni di studio matto e disperatissimo" il ragazzo
solitario si tuffa giorno e notte in attivit� di letture e scritture
innumerevoli ed enciclopediche, dalle quali esce con la costituzione fisica
rovinata senza rimedio e con i primi segni della malattia che lo tormenter� per
tutto il resto della vita, gi� visibili nella deformit� stessa della persona.
Acquista
una conoscenza raffinata del latino e del greco, affronta l'ebraico, il
francese, l'inglese e lo spagnolo, conduce in porto lavori filologici di grande
impegno: traduzioni, commentari, revisioni critiche di testi rari e scarsamente
esplorati.
In
politica, infine, l'opera "Agli italiani" del 1815 mostra l'adesione
di Giacomo alle tesi reazionarie di Monaldo, nello sforzo di esaltare il
dispotismo illuminato e di distogliere i compatrioti dalle nascenti aspirazioni
verso l'unit� e l'indipendenza con argomenti di sapore schiettamente materiale:
meglio un'Italia divisa, ma pacifica e ricca, che un'Italia grande e unita, ma
privata del suo quieto vivere; meglio appigliarsi ai "reali vantaggi"
che non correr dietro alle utopie di una "gloria fantastica".
Nel
1816 si attua intanto quella che egli chiamer� la sua "conversione
poetica", il passaggio "dal tutto al bello", che porter� al
"pessimismo storico".
Sempre in questi anni, invia alla "Biblioteca italiana" una lettera
di risposta a quella della Madame de Stael, in cui difende le posizioni dei
classicisti: questa partecipazione alla polemica tra classicisti e romantici
avviene tramite la composizione della "Lettera ai compilatori della
Biblioteca italiana" e poi, nel 1818, con il "Discorso di un italiano
intorno alla poesia romantica" in cui si schiera a favore dei classicisti,
ma propone una poesia vicina alla "natura" con la quale si accosta ai
romantici.
L'amicizia
iniziata nel 1817 con Pietro Giordani e soprattutto la cresciuta consapevolezza
della propria infelicit� si matura in un travaglio e in una tetra macerazione
di pensieri solitari. I1 documento pi� prezioso di questo trapasso ci � fornito
dalle lettere scritte fra il '17 e il '19 appunto al Giordani, il primo uomo in
cui Leopardi incontrasse un cuore e un orecchio disposti ad ascoltarlo con
comprensione fraterna, una mente capace di intuire il genio ancora in boccio,
un letterato piacentino che ebbe il merito di comprendere la grandezza
dell'ingegno del giovane amico che defin� "smisurata e spaventevole".
Nel
1819 troviamo la cosiddetta "conversione filosofica": il passaggio
dal "bello al vero", dalle lettere alla filosofia, dalla poesia
d'immaginazione alla poesia sentimentale.
Il 1819 segn� una nuova crisi nella vita e nella poetica di Leopardi: sul piano
biografico c'� da registrare un infruttuoso tentativo di fuga dalla casa e dal
paese e l'acuirsi della malattia agli occhi. Ma tra il '19 e il '22, svanita
per il momento la possibilit� di evasione, egli � dominato proprio dalla noia,
un sentimento che il Leopardi poi defin� "il pi� sublime dei sentimenti
umani", "il maggior segno di grandezza e di nobilt�, che si vegga
nella natura umana", in quanto consiste nel "considerare l'ampiezza
inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e
trovare che tutto � poco e piccino alla grandezza dell'animo proprio". E'
la prima grande stagione della poesia leopardiana.
In
questi anni nel Leopardi comincia a nascere e svilupparsi il nocciolo della sua
concezione pessimistica, la sua filosofia. Intanto matura anche la novit� del
suo mondo sentimentale, l'orientamento originale della sua poetica. La
produzione di questi anni si orienta in due direzioni: da un lato troviamo la
poesia pi� colloquiale ed intimistica dei "Piccoli Idilli" e
dall'altro le "Canzoni" che sviluppano alcune temi civili e
patriottici ("All'Italia", "Sopra il monumento di Dante",
"Ad Angelo Mai"), altre tematiche esistenziali ("Ultimo canto di
Saffo", "Bruto Minore").
Nel novembre del 1822 Monaldo gli consente di uscir da Recanati e di
soggiornare alcuni mesi a Roma in casa dello zio. La vacanza non ha per�
l'effetto sperato: se si tralasciano alcune utili conoscenze, per il resto fu
un completo fallimento ed il Leopardi tornava al paese pi� deluso e amareggiato
che mai. Il Leopardi sent� progressivamente inaridirsi la vena poetica; anche
le conclusioni cui giunse la sua meditazione parvero imporgli l'abbandono della
forma poetica per la prosa: scrive quindi le "Operette morali"; in
questi brevi componimenti in prosa, il poeta affronta i temi della natura e
della morte, della felicit� e del dolore, esponendo in dialoghi, spesso
ironici, la sua concezione pessimistica della vita.
La
tesi di fondo che emerge dalle Operette � che l'infelicit� degli uomini non
dipende dalla loro storia, ma � intimamente connaturata con la loro vita; che
la Natura non si cura del dolore umano il quale cessa solo con la morte. Questo
� comunemente chiamato "pessimismo cosmico".
Nel
1825 riparte da Recanati per trasferirsi a Milano dall'ottobre del '25
all'ottobre del '26 e dall'aprile al giugno del '27 soggiorna a Bologna; e poi
fino all'autunno dell'anno successivo si sposta tra Firenze e Pisa. Pisa, con
il suo clima, il suo piccolo mondo raccolto, il suo "misto di citt� grande
e di citt� piccola, di cittadino e di villereccio, un misto cos� romantico che
non ho mai veduto altrettanto", gli offre il soggiorno pi� gradito, il pi�
dolce e riposante: in quest'ambiente e con questo stato d'animo il Leopardi
riprende a scrivere versi "all'antica". Compone "Il
risorgimento" (inaugurazione in ritmi arcadici della sua stagione poetica
pi� felice) e un capolavoro "A Silvia": l'annuncio della poesia che
rinasce dopo un lungo silenzio.
Verso
la fine del 1828 le condizioni fisiche si aggravano; ogni nuovo impegno di
lavoro risulta impossibile: Leopardi � costretto a ritornare a Recanati.
Vi
rimane poco meno di un anno e mezzo "sedici mesi di notte orribile",
il periodo pi� cupo e desolato della sua vita: eppure da quel fondo di
disperazione sbocciano, come un fiore miracoloso, i "Grandi Idilli",
le prove pi� alte e luminose della sua lirica. Nell'aprile del 1830 accett�
l'offerta degli amici fiorentini di recarsi a vivere nella citt� toscana: qui
conobbe Fanny Targioni Tozzetti. Il suo amore questa volta non � solitario
vagheggiamento, semplice infatuazione o evento ideale, ma piena realt�
sentimentale con una sua tesa parabola di speranze e di delusioni: la passione,
dominandolo, gli d� dapprima "gran diletto" e "gran
delirio", poi, con i primi disinganni, un languore amoroso che �
"desiderio di morir", infine, consumando "l'inganno
estremo" che aveva creduto eterno, una sorta di quiete disperata che,
spegnendo i palpiti di quest'estrema illusione, scopre per l'ultima volta
"l'infinita vanit� del tutto". Di fronte all'ennesima delusione, si
ritir� a vivere con Antonio Ranieri .
E
questo incontro, questa solidariet� di due giovani infelici e diseredati, era
anch'essa, almeno in principio, un atto di coraggio, un bel gesto romantico,
che il Ranieri doveva pur troppo profanare in seguito con un libro di memorie,
altrettanto utile per apporto di notizie biografiche preziose, quanto
inopportuno per il rilievo dato ai pettegolezzi pi� meschini .
Nel
settembre del 1833 con l'amico Ranieri part� per Napoli: in questi ultimi anni
napoletani il Leopardi non smise di scrivere; compose "Aspasia" e i
"Paralipomeni della Batracomiomachia" .
Intanto
a Napoli scoppia un'epidemia di colera e il Leopardi si trasferisce, con
Ranieri, in una villa alle falde del Vesuvio, dove compone "La
Ginestra", che � il suo testamento letterario. In quest'opera, troviamo un
Leopardi nuovo che ha un suo messaggio da consegnare all'umanit�, una sua
verit� sconsolata e virile da esporre e da difendere, proprio nel tempo in cui
gli vengono meno le energie fisiche e la voglia stessa di vivere.
Intanto
le sue sofferenze sono al limite. Scrive al padre il 27 maggio 1837: "I
miei patimenti fisici giornalieri e incurabili sono arrivati con l'et� ad un
grado tale che non possono pi� crescere: spero che finalmente la piccola
resistenza che oppone loro il mio moribondo corpo, mi condurranno all'eterno riposo
che invoco caldamente ogni giorno, non per eroismo, ma per il rigore delle pene
che provo".
Il 14 giugno 1837 � colto da malore e muore rapidamente. Dal 1939 le ossa
riposano presso il Parco Virgiliano di Piedigrotta.
Opere
E' un insieme di appunti, pensieri sulla vita, sul
mondo, sull'uomo e sulla filosofia. Anzi a volte Leopardi viene definito
filosofo, appunto per le sue idee filosofiche, ma lui fu filosofo nel senso
illuminista, cio� filosofo come uomo di cultura, che cerca la spiegazione di
ogni cosa. Appunto, nello Zibaldone Leopardi sistem� le sue idee e quest'opera
� importante per conoscere le opere future. Infatti, nello Zibaldone si parla
della noia, parola che lui ha preso dal sensismo precedente e che significava
insoddisfazione; per uscire dalla noia, la quale non � provata solo dal
Leopardi, ma da tutti gli uomini grandi, bisogna risolvere i problemi sociali,
cio� storici. Il poeta � sicuro che il suo pessimismo non derivi dalla sua vita
ma dal periodo storico. Per Leopardi i motivi storici dell'infelicit� umana
nascono dal contrasto di cui ha parlato anche Rousseau, fra natura e ragione o
civilt� o anche societ�: la natura ci crea felici perch� ci d� una grande forza
di vivere, per� il progresso e la civilt� hanno frenato la gioia di vivere, i
nostri impulsi pi� buoni, hanno ucciso le illusioni. Perci� a questo punto per
salvarci, secondo il poeta, abbiamo bisogno della ragione, perch� non possiamo
ritornare pi� come eravamo prima, allo stato di "natura", il quale esiste
solamente nelle foreste pi� nascoste; quindi solo la ragione ci pu� salvare
facendoci capire chiaramente la nostra vera situazione, aiutandoci a
risolverla. Appunto per la sua grande fede nella ragione, Leopardi, am� molto
l'illuminismo e ammir� pure la rivoluzione francese che aveva fatto nascere
tante speranze e illusioni negli uomini ma la rivoluzione era fallita e l'uomo
invidiava gli animali, perch� non pensano o si ribellano contro il presente e
sognano il passato. Questi sono gli argomenti principali dello Zibaldone.
Sono prose satiriche, fantastiche, filosofiche in
cui Leopardi parla con ironia dell'infelicit� e della tragedia degli uomini.
Per esempio nel "Dialogo della natura e di un Islandese", parla di un
uomo, islandese, che nel cuore dell'Africa incontra la Natura (sfinge) e le
chiede il motivo del dolore dell'uomo ma la Natura non si preoccupa n� della
felicit� n� dell'infelicit� dell'uomo, perch� lei non ha creato il mondo per
l'uomo e dice ancora che la vita dell'universo � un ciclo di nascita e di
morte; alla fine l'islandese muore, non si capisce se sbranato da un leone o
coperto da una tempesta di sabbia.
Questo pessimismo nasce nel Leopardi proprio dall'ottimismo dell'illuminismo
nel credere in una societ� futura migliore; per� per il fallimento della
rivoluzione francese e quindi dell'illuminismo e della sua fede nella ragione o
ci si abbandonava alla fede come il Manzoni o si accusava la natura matrigna
come il Leopardi; questo ci fa capire la grande differenza fra Rousseau e
Leopardi, cio� fra tutti i preromantici ed i veri romantici: infatti, mentre
Rousseau ebbe sempre fede nella natura benigna ed era sicuro che l'uomo avrebbe
raggiunto la felicit�, Leopardi e tutti gli altri romantici per il momento
storico (fallimento della rivoluzione francese) considerarono la natura sempre
matrigna come nel dialogo dell'Islandese; allora l'uomo deve guardare in
faccia, deciso, la realt� e non vivere di illusioni, deve ancora ammettere la
propria condizione infelice e vivere in modo chiaro, lucido e forte
(titanismo).
Appunto per questo, dal momento che tutti soffrono, Leopardi si sente fratello
con tutti (La Ginestra) ma, il poeta, con l'ironia cerca di strappare il velo
dell'ignoranza dagli occhi degli uomini, i quali non avendo il coraggio di
guardare in faccia la realt� vivono di illusioni e di menzogne. Tutti questi
motivi sono presenti nelle Operette morali. Un'altra operetta � "Il
venditore di almanacchi e di un passeggero", in cui si parla degli uomini
che credono sempre alla felicit� futura, sperando che il domani sia migliore di
oggi, ma non riescono mai a raggiungere questa felicit�. Leopardi per queste
opere pens� a uno scrittore greco, Luciano, che nei suoi dialoghi servendosi di
gioiose invenzioni, faceva dell'ironia, ma Leopardi pens� pure ad alcune opere
del '700 francese, di Diderot e di Voltaire, i quali volevano insegnare e anche
divertire. Il modo di scrivere in queste opere � diverso da quello del Manzoni,
perch� la prosa di Leopardi � pi� letteraria, pi� lavorata, meno vicina al
parlato, basti pensare al -Dialogo di un Islandese- in cui gli aggettivi sono
scarsi, per cui la prosa � asciutta e coincisa e se ci sono servono all'ironia.
Invece sono presenti i nomi e i verbi, cio� le parti principali del periodo, le
sue espressioni sono curate ma scorrevoli e chiare. Anche nella prosa si vede
la sua educazione illuminista, cio� razionale e sentimentale, che deve spiegare
ma anche commuovere.
Soltanto i critici di oggi come il Russo, il Binni, giudicano queste operette
"opere di poesia", mentre i critici precedenti, fra cui il De
Sanctis, dicevano che in queste opere c'era troppo freddo ragionamento.
Le opere principali di Leopardi sono i Canti che
sono stati pure chiamati "Grandi Idilli" che sono: "A Silvia, Il
Sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto
di un pastore errante dell'Asia, Le ricordanze". Mentre i primi Idilli
(l'Infinito, alla Luna, La sera del d� di festa), sono poesie pi� impulsive;
nei grandi Idilli vi � maggiore riflessione;
infatti i cosiddetti piccoli Idilli sono soprattutto tristi confessioni
dell'animo di Leopardi. Tutti gli Idilli nascono dalla riflessione e dalla
contemplazione di paesaggi naturali o della vita di Leopardi. Negli Idilli sono
importanti soprattutto i concetti dell'infinito e del ricordo. Per spiegare la
parola "idillio" bisogna pensare a quello che ha detto il critico
Russo: Idillio, in Leopardi, vuole dire contemplazione dolorosa dell'infinito,
dell'infelicit� del mondo, idillio � quindi uno stato d'animo, e rappresentano
un momento di pausa, di riflessione prima del "Grandi Idilli".
Mentre gli idilli degli scrittori greci Teocrito e Mosco sono poesie rusticali,
nelle canzoni (canzoni; all'Italia, Ultimo canto di Saffo) di Leopardi la
lingua � classica e si hanno argomenti presi dal mondo classico; negli idilli
la lingua � pi� familiare anche se c'� sempre una certa eleganza e usa pure
arcaismi per rendere pi� elegante la lingua.
Molti aspetti degli Idilli prendono lo spunto da Recanati, il luogo d'origine,
come il Passero solitario, l'Infinito, La sera del d� di festa, Il sabato del
villaggio.
A proposito di ci�, bisogna dire che nel Leopardi � molto importante il
concetto della memoria o della ricordanza. Difatti il ricordo del passato (cio�
dei sogni e dei luoghi dell'adolescenza � molto importante), Leopardi stesso
nello Zibaldone ci parla di questo e ci dice che un oggetto qualunque, un luogo
anche se bello, se non fa nascere in noi nessun ricordo non � poetico, mentre
se un luogo ci ricorda qualcosa diventa dolce e poetico. Altri aspetti cari al
Leopardi e anche a tutta la poesia romantica sono la luna ed il paesaggio
lunare: la luna � per il Leopardi o come una confidente o come quella che
guarda impassibile la vita degli uomini. (Alla luna, La sera del d� di festa).
I vari personaggi delle opere di Leopardi, come Silvia, non sono vere e proprie
persone ma servono ad esprimere soprattutto sentimenti del poeta. Il Leopardi
non � solo poeta del sentimento ma anche della ragione, perch� in lui c'� pure
l'educazione illuministica che gli fa amare la chiarezza. La poesia del
Leopardi ha una grande forza morale perch� lui non si abbandona al lamento e
cerca sempre di reagire.
In questo Idillio vi � il motivo della solitudine,
perch� Leopardi anche se vede gli altri giovani felici, non riesce a
partecipare e si isola, anche se questo uccellino � reale e simbolo, quindi nel
solitario uccellino si nasconde la solitudine del Leopardi. In questo Idillio
anche se ci sono immagini familiari c'� sempre qualcosa di impreciso che va al
di l� del paesaggio stesso, difatti in Leopardi vi sono due aspetti: quello
della chiarezza e semplicit� dei paesaggi e quello di mondi lontani,
misteriosi.
Questo Idillio nasce dalla vista di una siepe che
non facendo vedere ci� che c'� al di l� spinge il Leopardi ad immaginare un
mondo lontano, infinito e le piante che si muovono col vento gli fanno pensare
al mondo passato e a come passa il tempo. Il Leopardi si pu� considerare
romantico per l'amore dell'infinito, dei grandi spazi ma tutto ci� espresso
senza sentimentalismi, in modo chiaro ed equilibrato, perci� qui non abbiamo n�
filosofia n� sentimentalismo. E' presente il Titanismo quando il poeta pur
riconoscendo la sua limitatezza di uomo si stupisce di poter sentire dentro di
se sentimenti cos� estesi e superiori all'uomo stesso (sentimenti di
grandezza).
I motivi principali di questo Idillio sono: il
paesaggio lunare iniziale, reale e anche lontano, il canto solitario
dell'artigiano che ricorda al poeta che tutto nella vita finisce, come pure il
ricordo della fanciullezza.
Questo Idillio nasce da un ricordo personale, vero;
infatti Silvia � la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta giovane. Ma il
canto poi si allontana da questa realt� e Silvia oltre ad essere la figura di
una giovinetta che muore giovane, � pure simbolo delle speranze e delle
delusioni di Leopardi. Questo canto non � una poesia d'amore, perch� in Silvia
Leopardi vede la sua vita di speranze e delusioni. Il paesaggio, pi� che
descrizione, serve ad esprimere gli stati d'animo, i sentimenti.
Qui abbiamo il motivo del piacere, figlio d'affanno
di cui gi� Leopardi aveva parlato nello Zibaldone, cio� il piacere negli uomini
non � veramente piacere, � soprattutto una privazione, una diminuzione del
dolore. In questo Idillio abbiamo due parte: la prima � gioiosa, descrittiva;
la seconda � triste e riflessiva. Nella prima abbiamo la festa e nella seconda
il piacere figlio d'affanno. Le due parti non sono separate, perch� gi� nella
prima, dove il poeta sente le gioie e pensa subito che durano poco, la tempesta
e la quiete rappresentano il dolore e la gioia umana. Anche se vi � scritta la
realt� quotidiana come gli uccelli che cantano, l'artigiano che lavora, non si
pu� solo parlare di realismo perch� c'� sempre qualcosa che va al di l� della
realt�.
Canto delle illusioni, questo Idillio parla di come
si trascorre un sabato di un paese, Recanati, ma � anche simbolo dell'attesa
della festa e della felicit� nella vita. Infatti il motivo principale � la
gioiosa attesa (della festa), anche se vi � sempre un velo di malinconia,
perch� Leopardi sa che tutto nella vita dura poco. Concludendo, Leopardi vuole
dire che la vera gioia � nell'attesa, nel sabato, perch� la festa ci lascia
delusi in quanto pensiamo gi� al giorno dopo in cui dobbiamo lavorare: tutto
ci� � simbolo della felicit� che non esiste, ma esiste solo l'attesa della
felicit�, per� Leopardi dice questo in modo sereno.
In questo canto, a differenza di tutti gli altri,
Leopardi, non parla lui ma si serve della figura di un pastore; di diverso c'�
pure che il paesaggio non � quello di Recanati. Questo canto gli fu suggerito
dalla lettura di un libro di un barone, che parlava di un viaggio nell'Asia
Centrale. Nel pastore si nasconde Leopardi, ma il pastore rappresenta pure un
personaggio semplice, primitivo, che chiede il perch� della vita in modo
semplice. Si parla della vita umana che � infelice e forse anche quella di
tutte le creature viventi, non solo, ma tutta la vita appare inutile e
misteriosa, per� nel canto si nasconde una lontana speranza di avere una risposta
certa a tutte le domande del pastore. Per questo canto Leopardi pens� al De
Rerum Natura di Lucrezio e all'antico testamento in cui si parla dell'inutilit�
delle cose terrene. Molti versi sono uguali a quelli del Petrarca, ma mentre
Petrarca parla del suo amore, il Leopardi parla del mistero della vita. In
conclusione, questo canto parla del dolore universale.
E' stata giudicata un'opera povera di poesia ma
anche un canto nuovo, come dice il Binni, l'ultima grande opera in cui si
rivela l'eroismo ed il titanismo leopardiano. Gli aspetti principali sono: il
paesaggio deserto del Vesuvio, la Ginestra, fiore gentile che col suo profumo
consola il deserto, pronta a morire rassegnata senza vilt�; si parla pure della
stupida superbia degli uomini che hanno paura di conoscere la loro vera
situazione mentre vi sono gli uomini forti che come il Leopardi accettano la
triste realt� e condannano il secolo ottocento che crede nelle illusioni; la
natura matrigna e l'eruzione del Vesuvio, la fratellanza degli uomini che,
essendo tutti infelici, dovrebbero unirsi contro la natura. La critica moderna
ha parlato soprattutto del motivo pi� importante, quello della fratellanza
degli uomini che � un motivo sociale: questo canto � romantico perch� parla di
una poesia impegnata che discute i problemi concreti. In questo canto il
linguaggio � forte. L'espressione "contenta dei deserti" vuole dire
che la Ginestra accetta, rassegnata, di vivere nei luoghi deserti dove nasce ed
� il simbolo; come dice il Binni dell'uomo illuminato e che ha le idee chiare
sulla propria triste realt� nel deserto della vita (cio� una vita priva di
felicit�).
Poetica
leopardiana
Per
Leopardi, la poesia � lirica (= ogni forma in [verso|versi]] nella quale si
esprimono i sentimenti e gli affetti, per Leopardi, anche la Divina commedia �
lirica perch� Dante vi compare sempre con i propri sentimenti). La poesia di
Leopardi nasce dal sentimento, ed anche i canti che hanno implicazioni
filosofiche sono espressione dei sentimenti e voce del dolore esistenziale del
poeta. I canti coprono tutto l'arco della vita del poeta, che mor� a soli
trentanove anni, mentre il suo pensiero era ancora in pieno svolgimento e la
sua poesia era ancora feconda e pronta ad aprirsi a nuove soluzioni. Leopardi
guarda al passato in una atemporalit� che esclude il futuro, in uno spazio -
tempo legato all'esperienza (hic et nunc). Leopardi scrive nel presente,
precisando sempre dove si trova, dando al tempo non una dimensione psicologica
bens� autobiografica al confine tra poesia e prosa e, con ci� anticipa la
poesia moderna per genere e temi. La formazione classica ed illuministica
consentono al poeta di considerare criticamente il passato e di costruire su
una tradizione ormai usurata una poesia innovativa, precocemente analogica e
che, grazie alla memoria, il cui strumento � l'immaginazione (la vita anteriore
� perduta per sempre, l'immaginazione la ricostruisce e reinterpreta), indaga
sul vago, l'indefinito alla ricerca dell'anteriorit� e dell'altrove che
appartengono all'immaginario moderno. Leopardi ha con il passato un rapporto di
lontananza psicologica, che trascende dalla fisicit� (pu� essere fisicamente a
Recanati, ma ne � psicologicamente lontanissimo ed emergono sprazzi di ricordo
reinterpretati alla luce della successiva esperienza esistenziale. Il suo
occasionale ritorno non � un traguardo, bens� incredulit� di essere tornato).
L'arte di Leopardi, massima nei canti, � un po' appannata nelle Operette morali
dalla speculazione filosofica. Caratteristico del poeta � lo scarno linguaggio
che, con rapidissime immagini e sapienza ritmica e sintattica, crea brani di
straordinaria suggestione. L'infinito � paradigmatico per potenza espressiva.
L'idea dell'immensit� e dell'eternit� sono rese con un limitatissimo impiego di
mezzi lessicali, che consente alle idee di giganteggiare nel deserto delle
parole. Anche per questo Leopardi � classico, per� la sua ansia, il tedio della
vita, e la personalit� esasperata ne fanno un romantico. In Leopardi, accanto
alla poetica dell'idillio che si esprime, romanticamente, nel dualismo
paesaggio - stato d'animo, v'�, parallelamente, una poetica non idilliaca,
dalle immagini incisive e dalla sintassi perentoria. In Leopardi l'originario
slancio sentimentale si evolve in una complessa vicenda spirituale. Leopardi
parte dal razionalismo illuministico, ma giunge a negarlo ed a condannare la
stessa ragione.
Leopardi
romantico
La
partecipazione di Leopardi allo spirito romantico deriva, come per Foscolo, dal
bisogno di focalizzare il problema del significato e del fine della vita. La
differenza fondamentale, tra Foscolo e Leopardi, � che, mentre nel primo
l'angosciosa presa di coscienza della realt� innesca uno sforzo titanico di
ricostruzione dei valori della vita, nel Leopardi, di indole introversa e
scarsamente combattiva, dagli stessi presupposti si sviluppa una desolata e
chiusa meditazione che lo rende incapace di aderire alla vita, che gli appare
remota ed aliena. Il primo risultato psicologico di tale condizione di spirito
� la noia della vita, l'assenza di speranze, di illusioni, di desideri ed il
dolore puro che lo rende poeta assolutamente romantico. La sua � poesia di
memoria, lirica concepita come attivit� a-razionale (non irrazionale), come
originalit� assoluta, entusiasmo, immaginazione, totale illusione. Leopardi
occupa un posto particolare nel quadro letterario dell'800, infatti, il
Cristianesimo romantico fu un riflesso imprescindibile del Congresso di Vienna,
ma Leopardi respinse sempre, tenacemente, tale cattolicesimo di stampo
progressista che contrabbandava i miti del secolo precedente, rifiutandone per�
le intuizioni e le conquiste pi� vere, pertanto Leopardi fu non solo fuori, ma
anche contro il proprio secolo.
Il
pensiero
Il
pessimismo leopardiano
Il
pessimismo di Leopardi ha radici, oltre che nella sua difficile vicenda
esistenziale, in quel razionalismo illuministico che volle porre nella ragione
ogni verit� della vita. L'ipersensibilit� del poeta unita all'idealismo � causa
d'amarissime disillusioni, convincendolo troppo presto che la realt� � la morte
di tutto ci� che l'intelletto sogna ed il sentimento idealizza. Inizialmente il
pessimismo di Leopardi � personale, in seguito, agli esordi della sua attivit�,
il poeta crede che gli ideali ormai perduti abbiano illuminato la vita degli
antichi e che soltanto la corruzione del tempo abbia svuotato gli uomini d'ogni
ideale. Da tale concezione viene il rimpianto per le et� antiche. Ben presto
per� il contrasto tra ideali e realt�, tra aspirazioni e limiti imposti dalla
vita, porta il poeta a concludere che l'infelicit� non � conseguenza del
progresso, bens� stato naturale di ogni essere vivente e che la natura � nemica
dell'uomo. Leopardi afferma che si insegna all'uomo che la morte prematura � un
bene, ma egli la teme, la vita � fragile cosa e pi� che dono � disgrazia, ma
l'uomo teme la morte. La virt� morale � pi� preziosa della bellezza, ma
un'anima sublime in un corpo sgraziato � derisa e misconosciuta (Ultimo canto
di Saffo). L'uomo aspira a cose infinite ed eterna, ma vivere � un continuo
morire (infinito). L'uomo � destinato a non godere d'alcun bene, si dispera, �
afflitto da un tedio mortale che lo spinge al suicidio, dal quale lo
trattengono la paura della morte e la superstizione religiosa. l'aspirazione
all'irraggiungibile verit� � il massimo tormento della vita ed � senza
speranza, infatti, l'uomo � destinato a non sapere perch� sia nato, viva,
soffra, dove vada (Canto notturno di un pastore errante nell'Asia) e tale
forzata cecit� uccide l'anima umana (L'infinito: "...e il naufragar m'�
dolce in questo mare"), poich� questa � la legge inesorabile
dell'universo. La posizione filosofica del Leopardi consiste nel drammatico
sviluppo della constatazione dell'infelicit� umana che non trova sbocco nella
Fede. La poesia di Leopardi � mirabilmente intessuta di sogni ed illusioni,
nonostante la disperazione totale che avrebbe potuto soffocarne il lirismo o
renderla mortalmente gelida. Il pensiero di Leopardi sul pessimismo si basa su
due presupposti:
� L'uomo non pu� conoscere la verit� (scetticismo).
� La realt� coincide con la Natura (senza idealit� o provvidenzialit�), ed �
moto eterno e meccanico (materialismo, illuminismo)
�
Fasi del pessimismo leopardiano:
1. Dolore personale - La vita � stata spietata con Leopardi (esperienza
personale/dolore personale), ma altri possono essere felici.
2.
Dolore storico - Questi due punti generano l'ironia ed il sarcasmo di Leopardi
contro i filosofi idealisti e neocattolici, che esaltano "le magnifiche
sorti e progressive dell'umanit�" (Ginestra) e contro l'ottimismo
illuministico (Ginestra).
o
La vita � dolore, il male � nella razionalit�. La Natura benigna ha creato
l'uomo come creatura semplice che, nella sua ignoranza, trova piacere nelle
illusioni. Gli uomini, con la ragione, fugarono le illusioni e scoprirono la
verit�, quindi il male ed il dolore, uscendo cos� dalla loro infanzia felice.
La storia della civilt� � la scoperta dell'infelice condizione umana (gli
uomini primitivi furono felici: il tragico destino umano nasce dal contrasto
tra la provvida Natura, che vuol celare la dolorosa verit� agli uomini, e la
ragione, che tale verit� scopre nel momento dell'esperienza personale del
dolore).
o L'origine dell'infelicit� umana � nella contraddizione tra il desiderio di
felicit� e l'impossibilit� di conseguirla (Leopardi: teoria del piacere).
Dolore storico: non la natura, bens� la societ� � nemica dell'uomo. L'uomo
comune si consola del male quando lo riconosce necessario, l'uomo superiore non
si rassegna, piuttosto si uccide, non maledicendo la vita, bens� lasciandola
con rimpianto (Saffo).
3.
Dolore cosmico - Pessimismo universale. Se l'uomo � creatura della Natura, �
evidente la contraddizione fra tale affermazione e la reale condizione umana.
Tale contraddizione � spiegata da Leopardi affermando che in ci� sta la
perfidia della natura (Natura matrigna). Non � infelice la societ�
"adulta", ma ogni societ�, in ogni tempo. L'infelicit� non � retaggio
solo dell'uomo, bens� di tutte le creature (esiste solo la legge della
continuit� della specie). Il dolore � fatale all'uomo che � dotato di
intelligenza e quindi avverte il tedio ed il "senso della morte".
Tutto quello che �, � male (Zibaldone). Pur su tali posizioni, Leopardi
vagheggia l'azione e le illusioni eroiche, creando il "mito della
giovinezza" e quasi confutando le accuse di fatalismo e di misantropia,
sogna un'azione concorde di tutti gli uomini, uniti dalla solidariet�, per
tentare di vincere la Natura ostile (Ginestra). Leopardi rifiuta il suicidio
(che in precedenza aveva considerato lecito), poich� lo considera una
diserzione da tale disperata battaglia (dialogo di Plotino e Porfirio).
La condizione fondamentale dello spirito di Leopardi � la totale incapacit� di
aderire alla vita, che gli appare come uno spettacolo remoto ed alieno. Tale
atteggiamento porta il poeta al "taedium vitae (la noia lo fa sentire
estraneo al mondo). L'intima dialettica di Leopardi oscilla tra la necessit� di
appartarsi orgogliosamente da un mondo che sente estraneo, per immergersi nel
proprio universo interiore, ed il bisogno di consolare ed essere consolato.
Leopardi
ed il suicidio
Leopardi
pur giudicando irrazionale il rassegnarsi alla vita e ragionevole il suicidio,
inteso come liberazione dalla sofferenza, tuttavia ritiene che l'uccidersi sia
atto inumano, poich� non tiene conto del dolore altrui e sebbene sia proprio
del sapiente non piegarsi al sentimento e non lasciarsi vincere dalla piet�,
tale forza d'animo deve essere usata per sopportare la triste condizione umana,
usarla per rinunciare alla vita ed alla compagnia delle persone care � un
abuso, non soffrire al pensiero di lasciare nel dolore le persone care �
indegno del saggio. Il suicidio � un atto d'egoismo, poich� il suicida cerca
solo la propria utilit�, disprezzando l'intero genere umano (dialogo di Plotino
e Porfirio) ed agisce come un disertore, che abbandona i compagni impegnati in
una lotta impari contro la natura nemica (La ginestra). Il problema della
legittimit� del suicidio, tormenta Leopardi fin dalla crisi esistenziale del
1819, ed ancora nel 1824 (Ultimo canto di Saffo), egli sostiene la tesi della
legittimit� del suicidio, ma gi� in quello stesso anno si notano nel poeta le
prime affermazioni sul dovere di subire il destino con animo forte, trovando
conforto nella bellezza delle creazioni dello spirito umano. Infine nel 1827,
Leopardi scrive il dialogo di Plotino e Porfirio. Nel dialogo, Leopardi
ripercorre il cammino spirituale lungo il quale la propria concezione
pessimistica della vita � giunta all'affermazione delle ragioni pi� alte
dell'esistenza Porfirio � il Leopardi del 1821 - 1824, mentre Plotino � il
poeta pi� maturo. Porfirio difende il suicidio sostenendo che, se la Natura
destina gli uomini al dolore, se tutto ci� che esiste � male, l'uomo ha diritto
di sottrarvisi, scegliendo la morte volontaria (1822), anche se la vita, in
quel momento, non � particolarmente sventurata, poich� la vita � tedio, i mali
sono vani, il dolore stesso � vano, quindi l'uomo ha il diritto di sottrarsi al
male dell'esistenza. Solo la noia, poich� nasce dalla coscienza della realt�,
non � vana n� ingannevole. L'evoluzione spirituale di Leopardi lo conduce a
posizioni pi� equilibrate (Plotino) e svincolate dalle situazioni contingenti,
infatti, l'uomo � condannato alla sofferenza, ma una legge di natura vuole che
egli viva nonostante tutto. Solamente pochi si rendono conto della realt�,
tutti gli altri combattono vanamente contro la natura. Tale lotta deve
affratellare gli uomini, quindi il suicidio � una diserzione inammissibile.
Inoltre la vita � degna di essere vissuta non perch� sia felice, ma perch� sia
spiritualmente elevata. L'uomo deve prendere coscienza della propria vita
interiore. Nel dialogo Leopardi ripercorre il proprio cammino spirituale.
IL PESSIMISMO LEOPARDIANO
Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo leopardiano:
una fase di "pessimismo storico" , una di "pessimismo
psicologico" e una di "pessimismo cosmico" .
1. Il "Pessimismo Storico" si basa sulla "Teoria
delle Illusioni".
Indagando sulla causa dell'infelicit� umana, il Leopardi segue la
spiegazione di Rousseau, e afferma, con la sua "Teoria delle
Illusioni", che gli uomini furono felici soltanto nell'et� primitiva,
quando vivevano a stretto contatto con la natura, ma poi essi vollero uscire da
questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si
misero alla ricerca del vero. Le scoperte della ragione furono catastrofiche:
essa infatti scopr� la vanit� delle illusioni, che la natura, come una madre
benigna e pia, aveva ispirato agli uomini; scopr� le leggi meccaniche che
regolano la vita dell'universo; scopr� il male, il dolore, l'infelicit�,
l'angoscia esistenziale.
La storia degli uomini quindi, dice il Leopardi, non � progresso, ma decadenza
da uno stato di inconscia felicit� naturale, ad uno stato di consapevole
dolore, scoperto dalla ragione. Ci� che � avvenuto nella storia dell'umanit�,
si ripete immancabilmente, per una specie di miracolo, nella storia di ciascun
individuo. Dall'et� dell'inconscia felicit�, quale � quella dell'infanzia,
dell'adolescenza e della giovinezza, allorch� tutto sorride intorno e il mondo
� pieno di incanto e di promesse, si passa all'et� della ragione, all'et�
dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile .
La ragione � colpevole della nostra infelicit�, in contrasto con la natura
madre provvida, benigna e pia, che cerca di coprire col velo dei sogni, delle
fantasie e delle illusioni le tristi verit� del nostro essere.
2. Il "Pessimismo Psicologico". si basa sulla "Teoria
del Piacere"
Partendo dalla riflessione sull'infelicit�, elabora la
"Teoria del Piacere" che diventa il cardine del suo pensiero: secondo
questa teoria, "l'amor proprio" porta l'individuo ad una richiesta di
piacere infinito per intensit� e per estensione; poich� questa richiesta non
potr� mai essere soddisfatta interamente, l'individuo, anche nel momento di
maggior piacere, continuer� a sentire l'assillo del desiderio non colmato.
Questo assillo � di per s� patimento, sicch� l'individuo, anche quando non
soffre di mali materiali, � in stato di sofferenza per la sua stessa richiesta
inappagata. Questo tipo di pessimismo � ben pi� radicale del primo, perch�
l'infelicit� non � un dato occasionale, ma ormai � una costante della
condizione umana.
3. Il "Pessimismo Cosmico" si basa sulla "Teoria
del Patimento".
Un ulteriore aggiustamento della concezione di natura si ebbe
quando il poeta spost� la sua attenzione dal tema del Piacere, che non si pu�
avere, a quello della Sofferenza che non si pu� evitare. Anche se l'individuo
potesse raggiungere il piacere, il bilancio della sua esistenza sarebbe
comunque negativo, per la quantit� dei mali reali (infortuni, malattie,
invecchiamento, morte) con cui la natura, dopo averlo prodotto, tende a
eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione
e distruzione, destinata a perpetuare l'esistenza e non a rendere felice il
singolo.
In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del
dolore e conclude scoprendo che la causa di esso � proprio la natura, perch� �
proprio essa che ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicit�, pur
sapendo che egli non l'avrebbe mai raggiunta: "0 natura, natura, perch�
non rendi poi quel che prometti allor ? Perch� di tanto inganni i figli tuoi
?", dice il poeta nel canto "A Silvia".
Cos�, di fronte alla natura, il Leopardi assume un duplice atteggiamento: ne
sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione, in una specie di "odi
et amo" catulliano. L'ama per i suoi spettacoli di bellezza, di potenza e
di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a
considerarla non pi� la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una
matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e misteriosa,
governata da leggi meccaniche ed inesorabili .
E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le
creature (sia gli uomini che gli animali).
Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima
considerata causa di infelicit�. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le
illusioni con la scoperta del vero, ma � anche l'unico bene rimasto agli
uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente
di fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignit�, anzi,
unendosi tra loro con fraterna solidariet�, come egli dice nella
"Ginestra", possono vincere o almeno lenire il dolore.
L�INFINITO
COMMENTO
L'infinito
di Leopardi � un infinito "negativo", nel senso che � un infinito
creato dall'immaginazione e dal desiderio, un puro prodotto della mente umana.
� chiaro che il suo modo di porsi di fronte al "problema infinito" �
di tipo metafisico, � la ricerca del rapporto tra infinito come spazio assoluto
e tempo assoluto e la nostra cognizione del tempo e dello spazio empirici. Ma
nella sua riflessione inserisce il suo particolare modo di interpretare
l'infinito, o meglio l'indefinito, come fluttuare di sensazioni.
Nello
"Zibaldone" Leopardi afferma che "L'infinito � un parto della
nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra
superbia [�] l'infinito � un'idea, un sogno, non una realt�: almeno niuna prova
abbiamo noi dell'esistenza di esso, neppur per analogia". Per Leopardi l'infinito
coincide con lo slancio vitale, con lo spasimo, la tensione che l'uomo ha
connaturata in s� verso la felicit�. L'infinito diventa il principio stesso del
piacere, e il fine stesso a cui tende questo slancio dell'uomo.
�
il desiderio assoluto di felicit� che porta l'uomo a ricercare il piacere in un
numero sempre crescente di sensazioni, nella speranza vana della sua
completezza; � una tensione che non ha limiti, n� per durata nel tempo, n� per
estensione, per questo si scontra irrevocabilmente con la vita umana, lo
spazio, il tempo, la morte. Infatti "l'anima umana desidera sempre
essenzialmente e mira unicamente, bench� sotto molti aspetti, al piacere, ossia
alla felicit� [�] Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch� �
ingenita e congenita con l'esistenza, e perci� non pu� avere fine in questo o
in quel piacere che non puy� essere infinito, ma solamente, termina con la
vita".
Per
Leopardi, questa tensione pu� spegnersi solo nel momento della morte perch� �
uno slancio connaturato alla vita stessa, "l'anima, amando sostanzialmente
il piacere, abbraccia tutta l'estensione immaginabile di questo sentimento,
senza poterla neppure concepire, perch� non si pu� formare idea chiara di una
cosa che ella desidera illimitatamente".
Per
superare i limiti fisici della natura umana interviene l'immaginazione, che ha
come "attivit�" principale la raffigurazione del piacere: "Il
piacere infinito non si pu� trovare nella realt�, si trova cos�
nell'immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni, ecc�"
Ma l'immaginazione ha bisogno di stimoli e perci� "l'anima si immagina
quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde,
e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la
sua vita si estendesse dappertutto, perch� il reale escluderebbe
l'immaginario.".
E
dunque "la molteplicit� delle sensazioni confonde l'anima, gli impedisce
di vedere i confini di ciascheduna, toglie l'esaurimento subitaneo del piacere,
la fa errare da un piacere in un altro senza poterne approfondire nessuno, e
quindi si rassomiglia in certo modo ad un piacere infinito.". Resta quindi
nell'animo un senso di inappagamento, di insoddisfazione perch� non si riesce
effettivamente a concepire l'infinitudine, ma solo l'indefinito, che � un'idea
inadeguata, approssimata, vaga: e questa insoddisfazione conduce al tedio, alla
noia spirituale. Ci sono per� immagini, sensazioni che suscitano nell'animo
l'idea di infinito, ad esempio la visione di una torre antica, perch� "il
concepire uno spazio di molti secoli produce una sensazione indefinita, l'idea
di un tempo indeterminato, dove l'anima si perde e sebbene sa che non ci sono
confini, non li distingue e non sa quali sieno", oppure le immagini
"di una campagna ad andamento declive in guisa che la vista in certa
lontananza non arrivi alla valle, e quella di un filare di alberi, la cui fine
si perde di vista" o, infine "una fabbrica, una torre veduta in modo
che paia innalzarsi sola sopra l'orizzonte e questo non si vede, produce un contrasto
efficacissimo e sublimissimo tra finito e indefinito" Ovviamente, a questo
proposito, l'immagine che meglio ha esemplificato questa concezione leopardiana
dell'indefinito � senz'altro costituita dagli "interminati spazi"
della famosa poesia intitolata, appunto, "L'infinito".
"L'infinito"
di Leopardi � forse uno degli idilli pi� organici per quanto riguarda
significato-struttura-significante, la disposizione delle parole, il loro
potere semantico, l'uso stesso che ne fa il poeta contribuiscono a rendere
questa poesia un "viaggio interiore", una scoperta dello spirito, una
illuminazione. L'infinito di cui parla � temporale e spaziale e viene evocato
tramite il limite fisico(la siepe, il fruscio del vento) che porta il poeta da
una dimensione fisica e sensoriale ad una "metafisica". I sensi, in
questo caso la vista e l'udito, conducono alla intuizione di qualcosa che � al
di l�.
L'osservazione
del paesaggio si svolge in meditazione: il paesaggio, la natura, la fisicit�
vengono interiorizzati ed entrano a far parte dello "spirito" del
poeta, o meglio: il poeta riesce a calarsi nell'infinito. Parte da una visione
familiare, la vista del colle, il Monte Tabor, ermo, ma caro, ovvero solitario
ma gi� appartenente alla esperienza personale del poeta, spettatore ma anche
compartecipe della sua vita, cos� come familiare � la siepe. Una siepe che
diventa un limite, che evoca il desiderio, l'immaginazione di ci� che il guardo
esclude, di ci� che non si pu� raggiungere con il solo ausilio dei sensi Da un
connotato fisico di realt�, si risveglia l'immaginazione di uno spazio ben pi�
u1timo. Ed ecco che sia il colle che la siepe prima indicati con gli aggettivi
questo/questa ad indicarne la vicinanza sia fisica che spirituale, diventano la
porta per l'infinito. La siepe diventa quella, � gi� posta in un'altra
dimensione, decisamente diversa da quella fisica. Il poeta siede e guarda, in
uno spazio senza tempo, e la sua immaginazione coglie e crea (io nel pensier mi
fingo) irterminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete.
Leopardi
ha colto, ha intuito l'infinito spaziale, che viene visto nella negazione della
realt� fisica a cui � sempre abituato. Infatti gli spazi sono interminati, i
silenzi sono sovrumani, la quiete � profondissima. Danno l'idea di una dimensione
impossibile da paragonare con quella "solita", "abituale".
Anche la disposizione nel verso, con l'enjambemant tra interminati e spazi e
tra sovrumani e silenzi e la dieresi su quiete danno la sensazione di una
vastit� infinita; inoltre sono tutte parole polisillabe: tutto acquista una
dilatazione inusitata in tutte le direzioni. Portando all'interno del suo animo
questi pensieri, rivelano il confine tra la limitatezza della vita umana e
l'immensit� della Natura, di cui l'uomo fa parte, ma che non pu� cogliere
appieno .
Questa
intuizione gli d� un senso di paura (ove per poco il cor non si spaura), un
senso di smarrimento in una dimensione mai conosciuta prima, mai immaginata con
tale chiarezza.I1 cuore quasi non riesce a sostenere la potenza di questa
visione, � uno sgomento dato dalla consapevolezza di aver superato i suoi
limiti, di aver trasceso la sua quotidianit� e di aver partecipato di un evento
ai confini della religiosit�. Ma il vento, espressione della sua limitatezza
fisica, lo riporta all'esistenza terrena e non pi� cosmica; tuttavia gli d�
l'impulso per spaziare di nuovo nell'infinito temporale perch� la voce della
realt� (odo stormir tra queste piante) viene paragonata al silenzio
dell'infinito(da notare quello infinito, cio� appartenente all'altra
dimensione).
Il
senso della vita terrena si rianima nel vento, e con esso il limite temporale
dell'uomo, la morte. Ma il pensiero riprende il suo corso e fluisce
(l'affollarsi dei pensieri � sottolineato dall'anafora della "e")
nell'eterno, nella distensione temporale della vita dal passato al presente,
che � vivo, mentre il passato � morto. Tutto si riduce a un suono, � il respiro
della vita universale, il suo battito eterno, smorzato, affievolito e quindi
morto nel passato e invece vivo e prepotente nel presente. Il pensiero e l'uomo
vengono sommersi da questa immensit�, da questa incommensurabilit� e il mare,
simbolo della vastit� (come riprender� Montale), fa annegare il suo pensiero,
la sua mente, la sua razionalit�, lo fa perdere, obliare in una dimensione
universale in comunione con l' infinito , tanto pi� dolce perch� insperata,
inaspettata. � la pace dell'uomo che ha abbandonato l'umanit� per il
non-limite, anche se � consapevole di aver creato egli stesso questa
dimensione: non riesce a darne una consistenza reale, � un infinito del
pensiero, ma ugualmente dolce e potente.
Che
cosa resta di questo mare nell'animo dell'uomo? La consapevolezza di poter
annegare in esso solo per il breve istante di una illuminazione, perch� come
basta una siepe ad evocarlo, � altres� bastante un soffio di vento per
riportarlo alla sua essenza limitata.
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855.
Il padre gli mor� assassinato quando egli aveva solo 12 anni; a questo lutto si
sommarono altre tragedie familiari (tra cui la morte della madre) che
influenzarono profondamente la sua vita, la sua visione del mondo e la sua
poetica. A Bologna, dopo la laurea, si avvicin� a gruppi anarchici e socialisti
ma, in seguito ad una esperienza di carcere che lo segn� in maniera pesante,
abbandon� la politica attiva. Decise di dedicarsi all'insegnamento
universitario non tralasciando mai, per�, la sua unica passione: la poesia. ).
Nel 1905 succedette a Carducci alla cattedra di letteratura italiana
all'universit� di Bologna.
L'opera
di Pascoli s'incentra su tre diverse linee espressive: quella della poesia in
italiano, quella della poesia in latino e quella dell'attivit� di critico e
commentatore di Dante.
Nel 1891 fu pubblicata la raccolta Myricae, il cui titolo � una citazione dalla
quarta egloga delle Bucoliche di Virgilio. Con ci� il poeta volle alludere ad
una lirica delle cose semplici, fatta d'oggetti comuni presi soprattutto dalla
campagna ("sono frulli d'uccelli, stormire di cipressi, lontano cantare di
campane") e cantati con un lessico e un metro molto originali per la
tradizione poetica italiana. Questo risultato fu ottenuto con gran perizia
tecnica: pascoli si rifece alla lezione dei classici (oltre appunto a Virgilio,
anche Catullo e Orazio), ma guard� anche all'esperienza simbolista non solo
francese. La sua poesia non �, infatti, descrittiva ma allusiva, e parte dalla
convinzione che si possa cogliere l'ineffabile solo con mezzi formali rigorosi
e grazie ad una nuova lingua poetica, che attinge al latino, alla lingua
parlata, ai vocabolari tecnici.
I
Primi poemetti (1904) e i Nuovi poemetti (1909) segnarono una diversa tendenza,
basata sulla volont� di "raccontare". Oltre ai temi gi� sperimentati
(il mondo della campagna, la contemplazione della natura, l'aspirazione a una
vita semplice), risalta lo spazio dato alla rappresentazione delle vicende
degli emigranti verso l'America: il lessico si fa particolarmente sperimentale,
una commistione di italiano e inglese assolutamente estranea alla tradizione
lirica italiana. Di alto livello sono anche i Canti di Castelvecchio (sette
edizioni, l'ultima nel 1914), nei quali la ricerca pascoliana prosegu� su una
linea ormai ben identificata. Invece, nei Poemi conviviali (1904), l'attenzione
si spost� sul mondo classico e sui suoi miti, anche in forma di riflessione, e
con una precisa ricaduta sulle tecniche della versificazione, che ricalcano
modelli antichi. Con Odi e inni (1906) l'ultima produzione pascoliana si
avvicin� alle tematiche nazionalistiche, chiaramente sostenute nel discorso
favorevole all'impresa coloniale in Libia La grande proletaria si � mossa
(1911). Le idee fondamentali di Pascoli sulla poesia si leggono in un testo
molto importante intitolato Il Fanciullino (apparso nel 1897 come Pensieri
sull'Arte poetica). La poesia � una disposizione infantile a stupirsi, ed �
dunque una qualit� irrazionale dell'uomo; grazie a questa sensibilit� �
possibile cogliere analogie sottili e nascoste fra gli oggetti e le forme di
vita pi� semplici: il poeta deve perci� calarsi in una situazione
"infantile" per poter cantare, stupito, il mistero delle piccole
cose. Grazie a questa poetica Pascoli allarg� i confini della r realt� degna di
diventare soggetto di poesia e confer� nuova libert� al verso, tricco di
suggestioni sonore.
Giovanni Pascoli si spense nel 1912.
La
poetica del Pascoli
La
poesia � per Pascoli la voce del poeta-fanciullo che riscopre la realt� delle
cose, anche delle pi� piccole; � uno sguardo vergine e primigenio che si posa
sul mondo e ne evidenzia gli aspetti pi� nascosti. Secondo Pascoli, dunque, pu�
dirsi poeta colui che � riuscito ad esprimere quello che tutti stavano pensando
ma che nessuno riusciva a dire.
La poesia per� deve avere anche un compito sociale e civile: deve migliorare
l'uomo, renderlo buono, renderlo etico. Questa concezione riflette pienamente
il suo socialismo umanitario, utopistico, interclassista, patriottico.
Il discorso La grande proletaria si � mossa (con cui Pascoli si dichiarava
favorevole all'entrata in guerra dell'Italia)� stato il manifesto di questa
sorta di "socialismo nazionale", vicino per alcuni aspetti ad un
nazionalismo populista, che considera la guerra come un momento di superamento
dei conflitti sociali e delle differenze di classe.
Si tratta, in realt�, di una prospettiva indubbiamente falsata, basata su
posizioni che in seguito lo stesso Pascoli provveder� a rivedere:
-
lo spostamento della lotta di classe all'esterno delle nazioni: non pi� tra
parti sociali di una stessa nazione, ma tra nazioni ricche e nazioni
proletarie.
-
il continuo scivolare delle argomentazioni politiche e sociali dal piano della
ragione a quello del sentimento (illusione di una possibile fratellanza e di
un'istintiva bont� che porterebbe gli uomini di una stessa nazione ad abbattere
le differenze e ad unirsi nella lotta contro il nemico comune).
Si
intrecciano nella sua poetica due spinte fondamentali:
-
una verso l'esterno, verso l'intervento attivo nella societ� per produrre nei
cambiamenti nelle cose e negli uomini.
-
una verso l'interno, intimista, abbinata al gusto contadino per le cose
semplici e all'attenzione a volte ossessiva alle complicazioni tortuose del suo
animo decadente.
Uno scambio continuo, insomma, tra grande e piccolo, in un rovesciamento di prospettiva
e di valori.
Il
fanciullino
Come
nel mito platonico del Fedone esiste dentro di noi un fanciullino che
nell'infanzia si confonde con noi, ma, anche con il sopraggiungere della
maturit�, non cresce e continua a far sentire la sua voce ingenua e primigenia,
suggerendoci quelle emozioni e sensazioni che solo un fanciullo pu� avere.
Spesso, per�, questa parte che non � cresciuta non viene pi� ascoltata
dall'adulto. Il poeta invece � colui che � capace di ascoltare e dare voce al
fanciullino che � in lui e di provare di fronte alla natura le stesse
sensazioni di stupore e di meraviglia proprie del bambino o dello stato
primigenio dell'umanit�.
Il
fanciullino prova sensazioni che sfuggono alla ragione, ci spinge alle lacrime
o al riso in momenti tragici o felici, ci salva con la sua ingenuit�, � sogno,
visione, astrazione. � come Adamo che d� per la prima volta il nome alle cose e
scopre tra esse relazioni e somiglianze ingegnose, che nulla hanno a che vedere
con la logica della razionalit�. Il nuovo si scopre, non si inventa, la poesia
� nelle cose, anche nelle pi� piccole.
La poesia ha un compito civile e sociale: il poeta in quanto tale esprime il
fanciullino ed ispira i buoni e civili costumi e l'amor patrio, senza fare
comizi, senza dedicarsi alla politica nel senso classico, ma solo grazie al suo
sguardo puro ed incantato.
GIOVANNI
PASCOLI : NOVEMBRE
Vi � inizialmente un'immagine primaverile (gemmea l'aria -
il sole � cos� chiaro): l'immagine di una giornata soleggiata nel mese di
novembre, durante la cosiddetta "estate di S. Martino". Ma ci� che il
poeta vuole realmente rappresentare � la breve illusione della felicit�(I punti
di sospensione che chiudono la prima strofa per� interrompono questa illusione
e segnano una forte pausa).Nella bella giornata autunnale , la luce del sole e
l'aria limpida danno per un istante l'illusione che sia primavera.Ma subito ci
si rende conto che le piante sono secche e spoglie(La seconda strofa ha infatti
inizio con una forte avversativa "Ma", che segna un netto rovesciamento
della situazione precedente. E' il ritorno alla realt� dopo quell'illusione di
dolcezza primaverile. E' la realt� autunnale ,triste , evidenziata con queste
parole "secco -stecchite- nere - vuoto - cavo"" ) , che tutto
intorno � vuoto � silenzio e silenzio, non ci sono i rumori gioiosi della vita
.Allo stesso modo , ci vuol dire il poeta ,la dolcezza dell'infanzia e della
giovinezza dura poco e presto si rivela essere un'illusione. Sulla vita
dell'uomo incombono tristezza , silenzio e morte.
La realt� di morte viene confermata nella terza strofa che si conclude con la
parola "morti", preceduta da parole-chiave che contengono un
significato di vuoto, solitudine: silenzio, solo , lontano, fragile, fredda .
Metrica.
Tre strofe saffiche, formate da tre endecasillabi e un quinario a rime
alternate. L'endecasillabo � ricco di spezzature ed enjambement (vv. 1-2, 7-8,
11-12).
Da
un punto di vista sintattico sia la prima che la terza strofa iniziano con una
frase senza verbo (ellissi) "gemmea l'aria" - "il sole cos�
chiaro" che crea un senso di sospensione e di mistero a cui il poeta d�
spiegazione solamente alla fine della poesia "E' l'estate , fredda, dei
morti". Questo senso di ansia e di incertezza � dato da una sintassi
sempre pi� frantumata e da un ritmo sempre pi� spezzato da pause.Questa tecnica
mette in risalto la singola parola, che viene quindi caricata di un particolare
significato.Pascoli anticipa qui le sperimentazioni che caratterizzeranno la
poesia di Ungaretti. Il ritmo della prima strofa � disteso, rapido e allegro, �
interrotto da una pausa solamente alla fine del secondo verso ; poi le pause
diventano sempre pi� forti e lunghe.
Infine
� da notare nella poesia una frequente ricerca di effetti fonici.Ricorre la
figura dell'allitterazione, cio� la ripetizione di uno o pi� suoni(ripetizione
dei suoni "v" -"l"
-"f"-"fr"-"r" ).
L�illusione della primavera � praticamente l�illusione
della nostra vita.Come l�estate di san Martino , l�infanzia e la giovinezza
durano poco, sono un�illusione perch� durano poco ;
tutti i nostri progetti non troveranno mai il tempo per la
loro realizzazione per tanti motivi, anzi proprio sul pi� bello ci troviamo a
fare i conti con la nostra et�: dopo la giovinezza c�� infatti , tristezza,
silenzio e morte.La stessa poesia �Novembre� ce lo fa capire con il susseguirsi
delle strofe : la prima con un ritmo allegro e veloce , la seconda con un ritmo
rallentato dalla congiunzione �e� e la terza con un ritmo ancor pi� lento a
causa della continua punteggiatura e dalle parole che esprimono solitudine.
SALVATORE
QUASIMODO
Nacque a Modica (Ragusa) nel 1901 e trascorse la sua
infanzia in vari paesi della Sicilia dove via via s'era trasferito il padre che
faceva il capostazione. Dal 1919 al 1926 visse a Roma per frequentare il
Politecnico e laurearsi in ingegneria, ma le ristrettezze economiche e gli
interessi per le lingue latina e greca lo dissuasero presto da quel tipo di
studi. Nel 1926 si impieg� presso il Genio Civile di Reggio Calabria e nel
1929, trasferito a Firenze, fu introdotto da suo cognato Elio Vittorini,
nell'ambiente letterario della rivista "Solaria" dove conobbe
Montale, La Pira, Loria... e cominci� le sue pubblicazioni poetiche.
Nel
1930 pubblic� la sua prima raccolta di versi Acque e Terre e nel'32, trasferito
a Genova, pubblic� Oboe Sommerso. Nel'34 il poeta era a Milano, accolto
nell'ambiente culturale milanese, e lasciato l'impiego al Genio Civile si
dedic� completamente alla poesia. Nel 1940 pubblic� la sua mirabile traduzione
dei Lirici Greci ottenendo tali consensi che nel 1941 "per chiara
fama" fu chiamato ad insegnare letteratura italiana al Conservatorio.
Intanto, scoppiata la seconda guerra mondiale, il poeta ne fu profondamente
sconvolto e matur� l'idea che la poesia dovesse uscire dalla sfera
aristocratica del privato per interessarsi alle problematiche sociali e civili,
intenta a "rifare l'uomo" abbruttito dagli orrori della guerra.
Questo impegno si riscontra in tutte le successive raccolte poetiche di
Quasimodo: Giorno dopo giorno (1947), La vita non � sogno (1949), La terra
impareggiabile (1958). Nel 1959 gli fu attribuito il premio Nobel per la
letteratura. Mor� a Napoli nel 1968.
LA
POETICA
L'esperienza
poetica di Quasimodo si puo suddividere in tre tappe essenziali. La prima �
rappresentata dalle poesie improntate ai modelli pi� illustri del tempo, dal
Pascoli ai simbolisti, dal d'Annunzio ai crepuscolari.
"Temi"
salienti:
l'amore
per la terra siciliana
la
malinconia
il
ricordo dell'infanzia.
Sono
sentimenti che il poeta lascia sgorgare dall'animo con sincera effusione, ma
con linguaggio sobrio. La seconda ha come esperienza "l'ermetismo";
nelle liriche di questo periodo prevale la scelta formale (lo studio della
parola porta ad una poesia "pura" e intensa). Siamo negli anni
dell'appassionato studio dei lirici greci e l'esercizio sulle lingue classiche
permette a Quasimodo di conciliare le esigenze della nuova poetica con il
costante impegno di chiarezza. La terza tappa si pu� considerare quella che
scaturisce dalla dolorosa esperienza della guerra. In quello sconquasso la
poesia non pu� rimanere nel suo idilliaco isolamento, ma deve farsi interprete
dell'uomo, acquistare concretezza e coscienza.
Quasimodo si impegna in una poesia "nuova" che manifesta
l'aberrazione per la guerra e l'ansia di "rifare" l'uomo, ridandogli
le sue illusioni e la fiducia nel futuro.
Purtroppo,
in questa ultima fase, la poesia di Quasimodo, nell'impegno di diventare
incisiva, decade spesso in una certa magniloquenza declamatoria.
Quasimodo
figura tra i maggiori interpreti della condizione dell'uomo moderno. Egli
svolse una funzione significativa nella letteratura del Novecento, come
dimostrano i numerosi riconoscimenti a lui tributati dalla cultura
internazionale, che culminarono nel 1959 con l'assegnazione del premio Nobel
per la letteratura. Nella sua opera letteraria egli rivel� il suo carattere
pensoso e profondamente umano e nello stesso tempo giunse, attraverso un
itinerario ricco di svolte e di approfondimenti, a soluzioni originali e ricche
sul piano intellettuale ed artistico. Nelle prime raccolte Acque e terre (1930)
e Ed � subito sera (1942) Quasimodo svilupp� i temi connessi con la solitudine,
con lo sradicamento dell'uomo, che egli individuava anche nella sua personale
condizione di esule profondamente legato al mondo della sua infanzia, ossia ad
una dimensione di bont� e di sanit� non pi� raggiungibile.
Egli
ader� all'Ermetismo spontaneamente, per la sua naturale esigenza di concretezza
e perch� vide nella nuova poesia un sussidio contro il Romanticismo, il
sentimentalismo, l'autobiografismo e qualcosa di utile per il raggiungimento di
una pi� acuta visione delle cose; il suo ermetismo risult� in ogni caso
originale, poich� egli ader� ad un linguaggio scarno ma non privo di sfumature
musicali e caratterizzato da un velo di tristezza. Il paesaggio della Sicilia �
quindi al centro della sua ispirazione nella prima parte della sua produzione
letteraria ma non viene meno nei successivi momenti della sua storia
spirituale. La sua stessa adesione alla sensibilit� greca, che egli sent� come
viva e importante, si collega in parte al legame affettivo che lo univa al
mondo siciliano, che egli consider� particolarmente vicino a quello ellenico.
Di tale adesione � frutto un libro di traduzioni di lirici greci (1940),
importante come autentica opera di poesia, oltre che per l'aspetto culturale.
Alla
traduzione dei poeti greci tenne dietro in particolare l'arricchimento del
linguaggio poetico ed un approfondimento sul piano della concezione e della
ispirazione. Di tali cambiamenti abbiamo validi esempi soprattutto nelle
raccolte successive alla Seconda Guerra Mondiale. Le tragiche esperienze del
conflitto indussero in particolare il poeta ad allontanarsi dagli aspetti pi�
rigidi dell'Ermetismo, ad abbandonare le meditazioni solitarie e ad avvicinarsi
a tutti gli uomini, nel tentativo di aiutarli nella ricostruzione degli antichi
valori. Ci� notiamo soprattutto in Giorno dopo giorno (1949) e nella raccolta
successiva La vita non � un sogno (1949) e in genere in quella parte della sua
produzione che � la pi� apprezzata dai critici e la pi� ricca di valori e di
significati. Tra gli elementi pi� importanti di questo periodo appaiono il
rinnovamento del linguaggio ed un arricchimento dei temi, nell'ambito dei quali
trovano posto importanti istanze sociali. � significativa inoltre la volont�
dell'autore di agire per la trasformazione della realt� e per la realizzazione
di un mondo migliore.
Per
la presenza di questo ideale, che in realt� illumina in vario modo tutta la produzione
dell'autore e per la costante partecipazione al rinnovamento della letteratura,
il messaggio di Quasimodo si riassume pertanto in una nota di notevole impegno.
QUASIMODO
: UOMO DEL MIO TEMPO
Versi endecasillabi sciolti
Secoli
e millenni di civilt� e di progresso non sono riusciti a mutare l'uomo e i suoi
istinti brutali; egli � ancora simile all'uomo delle caverne: la stessa
violenza insana ed omicida guida le sue azioni; ha solo inventato pi� efficaci
e pi� rapidi strumenti di rovina e di morte. Il poeta, con un linguaggio
accalorato e vibrante di immagini crude e realistiche, condanna duramente chi
persiste ancora nella follia che ha disseminato la storia del mondo di guerra e
di stragi; ma l'accorato invito ai giovani a dimenticare gli orrori dei loro
padri per costruire un mondo nuovo su basi d'amore, � indice della sua fede nel
futuro e in uomini migliori.
L'uomo
di oggi , dice l'autore, si � rivelato sempre il primitivo selvaggio e in tempi
ipocritamente civili uccide uccide dalla carlinga in volo, dal carro armato,
formando un corpo solo con le macchine da guerra, uccide con la stessa
aggressiva ferocia con cui i progenitori uccidevano nelle et� remote per
liberarsi dagli animali , scagliatisi contro a divorarli.
Questo
sangue di oggi � lo stesso sangue che spinse Caino omicida contro il fratello.
Oh,
desistete da tanta crudelt�, non seminate p� il male, figli , - �
l'appassionata invocazione che l'autore rivolge agli uomini chiamandoli col
dolce nome di figli ; e amatevi , in nome di quella legge universale d'amore
che Cristo ha dettato alle genti.
COMMENTO DELLA POESIA �ED E� SUBITO SERA�
�di
SALVATORE QUASIMODO
Ognuno
sta solo sul cuor della terra
trafitto
da un raggio di sole:
ed
� subito sera
La lirica
originariamente costituiva la strofa finale di un testo pi� ampio dal titolo
�Solitudini�, poi ridotto a questi tre versi, risultato della ricerca ermetica
del poeta.
La lirica � una
riflessione fulminea sulla condizione esistenziale dell�uomo. La solitudine, la
pena del vivere, la brevit� dell�esistenza sono i temi espressi in tre versi
incisivi, secondo un modello di essenzialit� e di ambiguit� semantica, tipici
della corrente ermetica.
I nuclei tematici sono:
solitudine, pena del vivere, morte.
Solitudine = nel primo verso acquista
un particolare rilievo il sintagma �nel cuor della terra�, che contrappone alla
grandezza della terra la limitatezza e lo smarrimento di uomo che, pur vivendo
al centro delle cose, si sente tragicamente solo, incapace di comunicare con i
suoi simili.
Pena del vivere = nel secondo verso
l�immagine del cuore di ogni individuo �trafitto da un raggio di sole� evoca
analogicamente la dimensione della vita umana oscillante tra l�attesa della
felicit� (il raggio di sole) e il sentimento del dolore (trafitto): il raggio
di sole non illumina l�uomo ma lo trafigge, poich� la speranza di appagamento
lascia presto il posto alla delusione.
Morte = la brevit� del terzo verso, rispetto ai
due precedenti, accentua la drammaticit� della conclusione: le illusioni crollano
in fretta al sopraggiungere� della sera,
metafora della morte.
Il tempo e lo spazio = allo spazio cosmico,
rappresentato dal sole e dalla terra, corrisponde la contrazione del tempo,
ridotto a quel subito, a un attimo che spegne la vita dell�uomo.
Lo stile = la forma metrica � di versi liberi di
varia misura, un dodecasillabo, un novenario, un settenario. Le due frasi
coordinate presentano un lessico semplice e ridotto all�essenziale, ma
ricchissimo di allusioni.
Il senso complessivo si
ricava da alcune parole chiave, che alludono alle caratteristiche della vita:
solo (solitudine), raggio di sole (speranza di felicit�), subito sera
(precariet� della vita).
I tre versi sono legati
dalla consonanza solo-sole, l�assonanza terra-sera e dall�allitterazione, che
accentua l�intensit� ritmica (sta, solo, sul, sole, subito, sera).
Quasimodo
dice che la nostra esistenza � dolorosa e breve.Egli evidenzia l�ineluttabilit�
di un destino al quale nessun uomo pu� sfuggire e con il quale ciascuno deve
fare i propri conti personalmente.Ogni individuo trascorre la propria vita
ripiegato su se stesso in attesa di un destino che sostanzialmente sfugge al
suo controllo.Nemmeno il progresso tecnologico, che in sostanza dovrebbe
favorire la comunicazione e dargli pi� tempo per il divertimento,riesce a
smorzare la solitudine� e la
frustrazione provocata da conflitti interiori.Dopo secoli di civilt� l�uomo �
sempre lo stesso, non � mutato e conserva sempre la sua aggressivit�.