FIABE CLASSICHE E MODERNE


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LA FIACCOLA DEI DESIDERI

LA FIACCOLA DEI DESIDERI

DI GUIDO GOZZANO
... un vecchio contadino che viveva in una povera capanna. Questo contadino aveva un figliuolo malaticcio, gobbo, distorto; e per colmo d'ironia questo figliuolo si chiamava Fortunato. Sui diciott'anni Fortunato decise di lasciare la capanna paterna e di mettersi alla ventura. Salut� il padre, che lo bened� piangendo; si fabbric� un paio nuovissimo di grucce scolpite e prese la via di levante, attravers� monti e pianure, pat� la fame e la sete, in attesa sempre della fortuna. E la fortuna non veniva.

Un giorno, sul crepuscolo, s'attard� per un sentiero sconosciuto, in una foresta d'abeti. Camminava in fretta, per giungere prima di notte a qualche capanna dove riparare, e sentiva il cuore balzargli dal terrore alle prime grida degli uccelli notturni, al primo ululato dei lupi. Ad un tratto, tra la ramaglia e i tronchi diritti, gli parve di scorgere un chiarore tremulo: affrett� il passo sulle stampelle, giunse ad una capanna di legno, picchi� freddoloso. La porta si apr�: una vecchietta minuscola, curva, canuta, grinzosa, apparve nel vano, al chiarore del focolare.

- Buona donna, mi sono perduto; accoglietemi per carit�.
- Vieni avanti, figliuolo mio.
Fortunato entr� nel tepore della capanna.
- Ti far� parte della mia cena; ti accontenterai di quel poco.
- Anche troppo, madre mia.
Si sedettero al desco. La vecchia pose in mezzo un piattello ed una ciotola minuscola, con una briciola e due chicchi di riso. Fortunato la guardava stupito. "Non aveva torto" pensava tra s� "a dirmi che mi accontentassi del poco."

Ma la vecchietta fece un segno imperioso con la mano destra: ed ecco la briciola crescere, crescere, prendere la forma d'un passero, d'un colombo, d'un pollo, d'un tacchino arrostito, dagli appetitosi riflessi d'oro. Ed ecco la ciotola crescere, convertirsi in una zuppiera elegante, dove fumigava una minestra dal soave profumo. Fortunato credeva di sognare. Mangi� con appetito, meravigliato di sentire sotto i denti quei cibi creati dall'arte magica. E guardava di sott'occhi l'ospite misteriosa.

Dopo cena la vecchietta fece sedere Fortunato presso gli alari, sotto la cappa del camino, e gli si accoccol� di contro.
- Figliuolo, raccontami la tua storia.
Fortunato le disse delle sue vicende e del suo vano pellegrinare in cerca di fortuna. - Aiutatemi voi, che dovete essere una fata potente.
- Io non sono una fata potente e i miei incantesimi sono pochi... Ti giover� confidandoti un segreto che tutti ignorano. Ti indicher� la via che conduce al castello dei desider�...
All'alba del domani la vecchietta accompagn� Fortunato attraverso i boschi, si ferm� ad un crocevia, e gli indic� la strada da scegliere.
- Cammina tre giorni e tre notti senza voltarti indietro, qualunque cosa tu senta. Da secoli nessuno osa affrontare il mistero di quelle mura. Picchierai con questa pietra alla gran porta, che s'aprir� per incanto. Attraverserai cortili e stanze, androni e corridoi. Nell'ultima stanza troverai un vecchio addormentato in piedi, con il braccio teso, recante fra le dita un cero verde; � quello il talismano che tu devi carpire e che esaudir� ogni tuo desiderio. Bada che il castello � pieno di frodi magiche e di orrori diabolici. Ma il negromante, i draghi, gli spiriti si addormenteranno dal mezzogiorno al tocco. Se tu ti fermassi scoccato il tocco, saresti perduto...
Fortunato prese la pietra, ringrazi� la vecchia e prosegu� la strada sulle sue stampelle. Verso sera si sent� chiamare alle spalle:
- Fortunato! Fortunato! Fortunato!
Non ricord� l'avvertimento della vecchia e si volt�. Ed eccolo ricondotto d'improvviso al punto donde era partito.
- Pazienza, ricomincer�.
- Mi ammazzano! Aiuto! Giovine, per carit�!
Si volt� impietosito, ed eccolo ricondotto al punto di partenza. Ebbe un moto d'ira, poi riprese pazientemente il cammino sulle sue stampelle. Cammin� due giorni: al tramonto del secondo giorno sent� un fragore d'armi, uno scalpit�o di cavalli; si volt� impaurito ed eccolo ricondotto al crocevia di partenza.

- Sono inganni che mi tende il negromante; ma sapr� come fare.
E si tur� le orecchie con batuffoli di stoppa e prosegu� tranquillo la strada, sordo ai richiami. Dopo tre giorni giunse al castello disabitato. Attese lo scoccare delle dodici e picchi� con la pietra. La porta immensa, scolpita a disegni favolosi, s'apr� per incanto.

Fortunato indietreggi�, inorridito. Aveva innanzi un cortile pieno di salamandre gigantesche, di rospi, di vipere, di scorpioni colossali. Ma tutti dormivano e Fortunato si fece animo, pass� con le stampelle tra i dorsi viscidi, le code, le corazze, i tentacoli inerti. Attravers� cortili, androni, corridoi, giunse ad una sala tutta coperta di monete d'argento: si chin� e se ne emp� le tasche. Giunse ad una seconda sala piena di monete d'oro: si chin�, gett� le monete d'argento e raccolse le monete d'oro. Giunse ad una terza sala, ingombra di alte piramidi di gemme: vuot� le tasche dell'oro e le emp� di brillanti. Attravers� altri cortili, altri corridoi, giunse in un'ultima sala immensa ed oscura. Il negromante decrepito, dalla barba lunga e candida, dormiva in piedi, recando nella mano protesa il cero verde.

Fortunato lo guardava stupito, guardava stupito le mille cose del laboratorio diabolico. Poi si sovvenne del tempo che passava, tolse il cero di mano al negromante, ritorn� indietro di corsa, si smarr� pei corridoi... Il tocco doveva essere imminente e s'egli non usciva prima, era perduto... Ritrov� finalmente le sale dei diamanti, dell'oro, dell'argento, attravers� il cortile delle belve addormentate, pass� colle sue stampelle tra i dorsi e le code viscide, raggiunse la porta immensa. I battenti si rinchiusero alle sue spalle, con fragore sordo. Il tocco suon� nell'istante. Un clamore spaventoso s'alz� dietro le mura del castello: gracidii, urla roche e furenti; erano i mostri guardiani che s'accorgevano del furto. Ma Fortunato era salvo.

Subito accese il cero e comand�:
- Mi sparisca la gobba, mi si raddrizzino le gambe!
E la gobba disparve e le gambe si raddrizzarono. Fortunato gett� via le grucce, spense il cero, perch� consumava rapidamente, e si diresse alla citt�. Giunse in citt� a notte fatta, scelse un'altura spaziosa e vi comand� un palazzo pi� bello di quello reale. All'alba i cittadini guardarono trasecolati l'edificio meraviglioso, le sue torri, le logge, le scalee, i terrazzi, gli orti pensili fioriti in una sola notte. Fortunato stava ad un balcone, vestito da gran signore.

Il Re, ch'era un tiranno malvagio, arse di sdegno e d'invidia per l'ignoto forestiero e gli mand� un valletto intimandogli di recarsi a Corte.
- Direte al Re che non m'inchino a nessuno. Se crede bene venga lui da me.
Il Re fece decapitare il valletto che ritorn� con tale risposta, e giur� odio eterno al forestiero misterioso. Fortunato viveva la vita del gran signore, eclissando con lo sfoggio delle vesti, delle cavalcature, dei levrieri la magnificenza della Corte Reale. Gli bastava accendere pochi secondi il cero verde e subito ogni suo desiderio era appagato. Ma intanto il cero s'accorciava sempre pi� e Fortunato cominciava ad inquietarsi e a diradare i comandi. E non era felice. Sentiva che una cosa gli mancava e non sapeva quale.

Un giorno, cavalcando per la citt�, vide ad una loggia della reggia la figlia unica del Re. La principessa sembrava sorridergli benevola, ma era circondata dalle dame e guardata a vista dai paggi e dai cavalieri. Il giorno dopo Fortunato pass� ancora sotto la loggia e rivide la principessa fra le sue donne accennargli un sorriso compiacente. Fortunato s'innamor� perdutamente di lei. Una sera di plenilunio egli stava sul pi� alto dei suoi giardini pensili, appoggiato ai balaustri che dominavano la citt�.

- Forse il cero potrebbe appagarmi anche in questo...
E medit� a lungo come esprimere il suo desiderio.
- Cero, bel cero, voglio che la principessa sia fatta invisibile e venga trasportata all'istante nel mio giardino. Fortunato attese col cuore che gli palpitava forte... Ed ecco apparire la figlia del Re, vestita di una tunica bianca e con le chiome scomposte.

- Aiuto! Aiuto! Dove sono? Chi siete voi?
La principessa tremava, folle di terrore. Si era sentita sollevare dal suo letto, trasportare a volo attraverso lo spazio. Fortunato s'inginocchi�, baciandole il lembo della tunica.
- Sono il cavaliere che passa ogni giorno sotto i vostri balconi, principessa, e se vi feci trasportare qui, non � con fine malvagio, ma per potervi umilmente parlare -. E Fortunato le dichiar� il suo amore e le disse che voleva presentarsi al Re per chiederla in isposa.
- Non fate questo! Mio padre vi odia perch� siete pi� potente di lui. Se vi presentate vi farebbe uccidere all'istante.
Dopo quella sera Fortunato faceva convenire sovente sui suoi terrazzi la principessa Nazzarena. Essa appariva al richiamo dello sposo, non pi� pallida e tremante, ma sorridendo, improvvisa come un'apparizione celeste. Passeggiavano sotto i palmizi, fra le rose e i gelsomini, e guardavano la citt� addormentata. All'alba Fortunato comandava al cero verde di trasportare la principessa nelle sue stanze e questa si ritrovava, pochi attimi dopo, nel suo letto d'alabastro. ma un'ancella malevola si era accorta di queste assenze notturne e rifer� la cosa al Re.

- Se non � vero ti faccio appiccare - aveva detto il Sovrano minaccioso.
- Sacra Corona, potete accertarvene con gli occhi vostri.
La sera dopo il Re si nascose dietro i cortinaggi, spiando la figlia addormentata. Ed ecco, verso la mezzanotte, una voce remotissima che dice: - Cero, bel cero, portami Nazzarena! Ed ecco la figlia farsi invisibile e la finestra aprirsi per incantesimo. Il Re era furente. E quando all'alba Nazzarena riapparve dormendo nel suo letto, il padre l'afferr� per le trecce d'oro:
- Dove sei stata, disgraziata?
- Nel mio letto. Ho dormito tutta notte, padre mio.
Il Re si calm�.
- Allora si tratta di un malefizio che tu stessa ignori e che sapr� bene scoprire. Si consigli� con un negromante.
Questi consult� invano la sua scienza profonda.
- Non c'� che un solo espediente, Sacra Corona. Appendete alle vesti della principessa Nazzarena una borsa forata piena di farina: all'alba scopriremo la traccia del suo cammino.

Con l'aiuto della fantesca fu appesa alla tunica notturna della principessa la borsa forata piena di farina. All'alba il Re arm� tutto il suo esercito e con la spada in pugno segu� la sottile traccia candida... E la traccia lo condusse al palazzo del forestiero misterioso. Irruppe nelle stanze di Fortunato che dormiva. Prima che questi potesse ricorrere al cero salvatore, lo fece legare, trasportare al palazzo reale, rinchiudere nei sotterranei, per decretarne la pena. Fu condannato a morte e il giorno del supplizio tutto il popolo s'accalcava sulla gran piazza. Ai balconi del palazzo reale stava tutta la Corte, col Re, la Regina, la principessa pallida e disperata. Fortunato sal� tranquillo il palco del supplizio.

Il carnefice gli disse:
- Com'� usanza nel regno, potete esprimere a Sua Maest� un ultimo desiderio.
- Chiedo soltanto mi sia recato un piccolo cero verde, che ho dimenticato a palazzo, in un cofano d'avorio. � un caro ricordo e vorrei baciarlo prima di morire.
- Gli sia concesso - disse il Re.
Un valletto ritorn� col cofano d'avorio e, fra l'attenzione di tutto il popolo, Fortunato trasse il cero verde, lo accese mormorando:
- Cero, bel cero, che tutti i qui presenti, che tutti i sudditi del regno, eccezion fatta della principessa, sprofondino in terra fino al mento.
Ed ecco la folla, la Corte, il Re, la regina, inabissarsi d'improvviso. La piazza e le vie della citt� apparivano coperte di teste che stralunavano gli occhi e invocavano aiuto. Fortunato distinse fra le innumerevoli teste brune, bionde, calve, canute, la testa coronata del Re che rotava gli occhi a destra e a sinistra e ordinava imperiosamente d'essere dissepolto. Ma in tutto il regno non era rimasto in piedi un suddito solo!

Fortunato prese Nazzarena al braccio e s'appress� alla testa regale.
- Maest�, ho l'onore di chiedervi la mano della principessa Nazzarena.
Il Re guard� Fortunato con occhi irosi e non fece motto.

- Se tacete, partir� oggi stesso con lei e lascer� voi e i vostri sudditi sepolti fino al mento. Il Re guard� Fortunato, lo vide giovine e bello, pens� che era pi� potente di lui, e che sarebbe stato un buon successore.
- Maest�, vi chiedo la mano di Nazzarena.
- Vi sia concessa - sospir� il re.
- Parola di Re?
- parola di Re.
Fortunato comand� al cero il disseppellimento di tutti e tutti risorsero per incanto... E nel giorno stesso, invece della condanna feroce, furono celebrate le nozze.

LA LEPRE D'ARGENTO

DI GUIDO GOZZANO

... un principe chiamato Aquilino, che aveva vent'anni e voleva condurre in moglie la pi� bella principessa del mondo. Pubblic� un bando di nozze e giunsero centinaia di ritratti, ch'egli fece esporre nelle gallerie del castello; e l� meditava sulle belle sorridenti dalle grandi cornici dorate. La scelta cadde su Nazzarena, principessa di Bikar�a, e per mezzo ad ambasciatori furono concertate le nozze.

Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativi per la cerimonia e all'alba del giorno sospirato il principe era gi� sulla torre pi� alta, alle vedette. Il corteo doveva giungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima volta quella bellezza famosa. Ma il corteo non giungeva. Si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchietto gobbuto e barbuto.

- Io sono il Re di Bikar�a. E questa � la mia figliuola Nazzarena che chiedete per moglie.
La principessa era nana, pallida, vizza, per nulla rassomigliante al ritratto della scelta. Il vecchietto se n'avvide.

- La stanchezza del viaggio e l'emozione l'hanno sfinita. Si rimetter� e la ritroverete bella.
Aquilino voleva disdire le nozze, ma la parola era data e bisognava mantenerla. Chiese che la cerimonia fosse rimandata di due giorni e ospit� il vecchio e la figlia nel castello. Al mattino seguente, per distrarsi dallo sconcerto e dalla delusione, usc� a caccia, solo, con una bella spingarda d'oro, costellata di gemme. Cammin� per campi e prati, giunse in una foresta millenaria.

Attraverso un sentiero gli apparve una lepre d'argento che brucava l'erba e lo guardava fisso, per nulla spaurita di lui. Il principe punt� l'arma e fece fuoco. Ma il fumo del fuoco si dissip� e la lepre riapparve al medesimo posto, incolume e tranquilla. Il principe s'avanz�. La lepre fugg�, si arrest� dopo un tratto, fissandolo coi suoi calmi occhi umani. Aquilino spar� ancora. Il fumo si dilegu� e la lepre riapparve ancora calma ed intatta, seduta sulle sue zampe, un orecchio su e l'altro gi�, con gli occhi supplichevoli, col muso palpitante, proteso verso di lui. Ma come il principe gett� l'arme e s'avanz�, essa di� un balzo e disparve fra i tronchi degli abeti. Aquilino rest� perplesso. Si trattava di un malefizio.

S'appoggi� al tronco d'un albero gigantesco, ripensando lo sguardo dolce della vittima invulnerabile. E gli parve di sentire dietro di s�, dall'interno del tronco, una eco lontana di musiche e di voci; si volse, fece il giro dell'albero: nessuno. Si riappoggi� al tronco. E riud� il suono e le voci. Picchi� la corteccia col pugno impaziente. La corteccia cigol�, s'apr� a due battenti, e al principe sbigottito apparve una scala abbagliante. Egli sal� i primi scalini, trasognato, ud� il colpo della porta che si chiudeva. Il palazzo era immenso. Le scale, gli atrii, i corridoi, le logge, le sale si succedevano senza fine, ricche di marmi, di porfido, di diaspro, di gemme. Aquilino s'avanzava trasognato.

Si faceva notte e nessuno appariva nel palazzo incantato. Solo due mani lo precedevano: l'una recando una lucerna, l'altra facendogli segno di seguirla. Giunsero cos� in una sala vastissima da pranzo; Aquilino si sedette a tavola. E le due mani cominciarono a recar cibi e vini prelibati. Egli guardava quelle due mani isolate, volanti, cercava di afferrarle quando le aveva vicine, ma quelle deponevano i piatti e guizzavano via come farfalle. Mangi�, poi si sent� prendere dal sonno, s'alz� per andare a dormire. Le due mani lo precedettero in una camera di damasco vermiglio, gli fecero un gesto d'addio e d'augurio, disparvero. Egli si cacci� fra le lenzuola fini, e si addorment�. Sognava di riveder la principessa Nazzarena, non quella condotta dal gobbo barbuto, ma quale gli era apparsa nel quadro, bellissima e bionda. Quand'ecco uno schiamazzo lo svegli�. Socchiuse gli occhi. La stanza era illuminata e molte paia di mani, eguali a quelle della sera prima, guizzavano, s'intrecciavano, accennando verso di lui.

- A che giuoco si gioca?
- Alla palla.
- Giochiamo alla palla con quel tale che dorme?
- Chi dorme?
- L�, nel letto, non lo vedete?
E attraverso le ciglia socchiuse, il principe vide le mani avvicinarsi. Afferrarono le lenzuola e, tenendole tese agli orli, cominciarono a farlo sbalzare con risa rauche e sibili acuti. Egli teneva le ciglia chiuse, fingendo di dormire.

- Non vuole svegliarsi!
- Lo sveglieremo! Lo sveglieremo!
E raddoppiarono la foga del gioco crudele. Al primo canto del gallo le mani lo sbalzarono nel letto e disparvero. Aquilino si palpava le ossa indolenzite, quando ud� un fruscio e si vide accanto la lepre d'argento. Invece delle quattro zampe aveva due piedi e due mani bianchissime di donna.

- Principe Aquilino, io sono la principessa Nazzarena, quella che il vostro cuore scelse per compagna. Quando giunsi col mio corteo nel bosco, un mago mi trasform�, imprigionandomi con la mia gente in questo castello. Sar� salva se passerete qui dentro tre notti simili a questa. Il mago � quegli stesso che si present� al vostro cospetto tentando di farvi sposare la sua nanerottola.
La lepre disparve.
Aquilino attese ansioso la seconda sera. Mangi�, servito dalle due mani volanti, and� a letto, s'addorment�. Si svegli� allo schiamazzo: molte mani lo ripresero dal letto, sollevarono le lenzuola, cominciarono il gioco, pi� furenti della sera innanzi.

- Non vuole svegliarsi!
- Se non si sveglia siamo perduti!...
Allora le mani lo sbalzarono un'ultima volta, appiccandolo a un chiodo delle travi. E disparvero sibilando. Aquilino apr� gli occhi, vide la lepre d'argento. Aveva ormai tutto il corpo di donna; solo la testa restava di lepre e lo guardava con dolci occhi umani.

- Povero principe! Soffrite per amor mio ancora una notte e saremo salvi.
Giunse la terza notte. Riapparvero le mani pi� furiose che mai.

- Si gioca?
- Giochiamo!
- Ma questa notte dobbiamo finirlo!
- Dobbiamo finirlo!
E cominci� il rimbalzello crudele. Aquilino giungeva al soffitto, picchiava, restava aderente come una tartina di pasta, ricadeva nel lenzuolo teso, rimbalzava ancora tra le risa infernali. E non apriva gli occhi per amor di Nazzarena.

- Non si sveglia! Siamo perduti!
- Siamo perduti!
- � l'alba! Siamo perduti!
Le mani furibonde s'appressarono alla finestra, tesero le lenzuola, sbalzarono Aquilino ad un'altezza vertiginosa. Egli sal�, sal�, cadde per dieci minuti, picchi� sull'erba, si tast� le ossa peste, apr� gli occhi, ancora vivo. Si trovava ai piedi dell'albero incantato. Presso di lui stava la sua vera fidanzata Nazzarena, bella di una bellezza mai pi� vista. E aveva il suo seguito di carrozze, di dame, di cavalieri liberati con lei dal malefizio del mago. Il principe li condusse al suo castello, adun� tutta la Corte nella sala del Gran Consiglio, fece condurre il gobbo barbuto e la figliuola laida, e rivoltosi ai ministri disse: - Avevo ordinato un cofano d'oro e di gemme; un malandrino me lo tolse strada facendo e lo sostitu� con un altro di legno tarlato. Fortuna vuole che io ritrovi il primo. A quale dar� la preferenza?

- Al primo! - sentenzi� la Corte.
- E del ladro e del cofano tarlato che dovr� farne?
- Bruciarli sulla stessa catasta!
Cos� fu fatto. E la sentenza e le nozze ebbero luogo fra gli applausi di tutto il popolo.



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