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POESIE DI ALESSANDRO MANZONI
IN MORTE DI CARLO IMBONATI 165. (...) Or dimmi, e non ti gravi, 166. Se di te vero udii che la divina 167. De le Muse armonia poco curasti�. 168. Sorrise alquanto, e rispondea: �Qualunque 169. Di chiaro esempio, o di veraci carte 170. Giovasse altrui, fu da me sempre avuto 171. In onor sommo. E venerando il nome 172. Fummi di lui, che ne le reggie primo 173. l'orma stamp� de l'italo coturno: 174. E l'aureo manto lacerato ai grandi, 175. Mostr� lor piaghe, e vendic� gli umili; 176. E di quel, che sul plettro immacolato 177. Cant� per me: Torna a fiorir la rosa. 178. Cui, di maestro a me poi fatto amico, 179. Con reverente affetto ammirai sempre 180. Scola e palestra di virt�. Ma sdegno 181. Mi fero i mille, che tu vedi un tanto 182. Nome usurparsi, e portar seco in Pindo 183. L'immondizia del trivio e l'arroganza 184. E i vizj lor; che di perduta fama 185. Vedi, e di morto ingegno, un vergognoso 186. Far di lodi mercato e di strapazzi. 187. Stolti! Non ombra di possente amico, 188. N� lodator comprati avea quel sommo 189. D'occhi cieco, e divin raggio di mente, 190. Che per la Grecia mendic� cantando. 191. Solo d'Ascra venian le fide amiche 192. Esulando con esso, e la mal certa 193. Con le destre vocali orma reggendo: 194. Cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene, 195. E Rodi a Smirna cittadin contende: 196. E patria ei non conosce altra che il cielo. 197. Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli 198. Sopravissuti, oscura e disonesta 199. Canizie attende�. E tacque; e scosso il capo, 200. E sporto il labbro, amaramente il torse, 201. Com'uom cui cosa appare ond'egli ha schifo. 202. Gioja il suo dir mi porse, e non ignota 203. Bile destommi; e replicai: �Deh! vogli 204. La via segnarmi, onde toccar la cima 205. Io possa, o far, che s'io cadr� su l'erta, 206. Dicasi almen: su l'orma propria ei giace. 207. �Sentir�, riprese, �e meditar: di poco 208. Esser contento: da la meta mai 209. Non torcer gli occhi: conservar la mano 210. Pura e la mente: de le umane cose 211. Tanto sperimentar, quanto ti basti 212. Per non curarle: non ti far mai servo: 213. Non far tregua coi vili: il santo Vero 214. Mai non tradir: n� proferir mai verbo, 215 Che plauda al vizio, o la virt� derida. IL CINQUE MAGGIO Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, cos� percossa, attonita 5 la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; n� sa quando una simile orma di pie' mortale 10 la sua cruenta polvere a calpestar verr�. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, 15 cadde, risorse e giacque, di mille voci al s�nito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, 20 sorge or commosso al s�bito sparir di tanto raggio; e scioglie all'urna un cantico che forse non morr�. Dall'Alpi alle Piramidi, 25 dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppi� da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar. 30 Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito 35 pi� vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile serve, pensando al regno; 40 e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar; tutto ei prov�: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, 45 la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar. Ei si nom�: due secoli, l'un contro l'altro armato, 50 sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe' silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor. E sparve, e i d� nell'ozio 55 chiuse in s� breve sponda, segno d'immensa invidia e di piet� profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor. 60 Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere 65 prode remote invan; tal su quell'alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, 70 e sull'eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, 75 le braccia al sen conserte, stette, e dei d� che furono l'assalse il sovvenir! E ripens� le mobili tende, e i percossi valli, 80 e il lampo de' manipoli, e l'onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir. Ahi! forse a tanto strazio 85 cadde lo spirto anelo, e disper�; ma valida venne una man dal cielo, e in pi� spirabil aere pietosa il trasport�; 90 e l'avvi�, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov'� silenzio e tenebre 95 la gloria che pass�. Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; ch� pi� superba altezza 100 al disonor del G�lgota giammai non si chin�. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, 105 che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui pos�. LA PENTECOSTE Madre de� Santi, immagine Della citt� superna; Del Sangue incorruttibile Conservatrice eterna; Tu che, da tanti secoli, Soffri, combatti e preghi, Che le tue tende spieghi Dall�uno all�altro mar; Campo di quei che sperano; Chiesa del Dio vivente; Dov�eri mai? qual angolo Ti raccogliea nascente, Quando il tuo Re, dai perfidi Tratto a morir sul colle Imporpor� le zolle Del suo sublime altar? E allor che dalle tenebre La diva spoglia uscita, Mise il potente anelito Della seconda vita; E quando, in man recandosi Il prezzo del perdono, Da questa polve al trono Del Genitor sal�; Compagna del suo gemito, Conscia de� suoi misteri, Tu, della sua vittoria Figlia immortal, dov�eri? In tuo terror sol vigile. Sol nell�obblio secura, Stavi in riposte mura Fino a quel sacro d�, Quando su te lo Spirito Rinnovator discese, E l�inconsunta fiaccola Nella tua destra accese Quando, segnal de� popoli, Ti colloc� sul monte, E ne� tuoi labbri il fonte Della parola apr�. Come la luce rapida Piove di cosa in cosa, E i color vari suscita Dovunque si riposa; Tal rison� moltiplice La voce dello Spiro: L�Arabo, il Parto, il Siro In suo sermon l�ud�. Adorator degl�idoli, Sparso per ogni lido, Volgi lo sguardo a Solima, Odi quel santo grido: Stanca del vile ossequio, La terra a lui ritorni: E voi che aprite i giorni Di pi� felice et�, Spose che desta il subito Balzar del pondo ascoso; Voi gi� vicine a sciogliere Il grembo doloroso; Alla bugiarda pronuba Non sollevate il canto: Cresce serbato al Santo Quel che nel sen vi sta. Perch�, baciando i pargoli, La schiava ancor sospira? E il sen che nutre i liberi Invidiando mira? Non sa che al regno i miseri Seco il Signor solleva? Che a tutti i figli d�Eva Nel suo dolor pens�? Nova franchigia annunziano I cieli, e genti nove; Nove conquiste, e gloria Vinta in pi� belle prove; Nova, ai terrori immobile E alle lusinghe infide. Pace, che il mondo irride, Ma che rapir non pu�. O Spirto! supplichevoli A� tuoi solenni altari; Soli per selve inospite; Vaghi in deserti mari; Dall�Ande algenti al Libano, D�Erina all�irta Haiti, Sparsi per tutti i liti, Uni per Te di cor, Noi T�imploriam! Placabile Spirto discendi ancora, A� tuoi cultor propizio, Propizio a chi T�ignora; Scendi e ricrea; rianima I cor nel dubbio estinti; E sia divina ai vinti Mercede il vincitor. Discendi Amor; negli animi L�ire superbe attuta: Dona i pensier che il memore Ultimo d� non muta: I doni tuoi benefica Nutra la tua virtude; Siccome il sol che schiude Dal pigro germe il fior; Che lento poi sull�umili Erbe morr� non colto, N� sorger� coi fulgidi Color del lembo sciolto Se fuso a lui nell�etere Non torner� quel mite Lume, dator di vite, E infaticato altor. Noi T�imploriam! Ne� languidi Pensier dell�infelice Scendi piacevol alito, Aura consolatrice: Scendi bufera ai tumidi Pensier del violento; Vi spira uno sgomento Che insegni la piet�. Per Te sollevi il povero Al ciel, ch�� suo, le ciglia, Volga i lamenti in giubilo, Pensando a cui somiglia: Cui fu donato in copia, Doni con volto amico, Con quel tacer pudico, Che accetto il don ti fa. Spira de� nostri bamboli Nell�ineffabil riso, Spargi la casta porpora Alle donzelle in viso; Manda alle ascose vergini Le pure gioie ascose; Consacra delle spose Il verecondo amor. Tempra de� baldi giovani Il confidente ingegno; Reggi il viril proposito Ad infallibil segno; Adorna la canizie Di liete voglie sante; Brilla nel guardo errante Di chi sperando muor. MARZO 1821 Soffermati sull�arida sponda V�lti i guardi al varcato Ticino, Tutti assorti nel novo destino, Certi in cor dell�antica virt�, Han giurato: non fia che quest�onda Scorra pi� tra due rive straniere; Non fia loco ove sorgan barriere Tra l�Italia e l�Italia, mai pi�! L�han giurato: altri forti a quel giuro Rispondean da fraterne contrade, Affilando nell�ombra le spade Che or levate scintillano al sol. Gi� le destre hanno strette le destre; Gi� le sacre parole son porte; O compagni sul letto di morte, O fratelli su libero suol. Chi potr� della gemina Dora, Della Bormida al Tanaro sposa, Del Ticino e dell�Orba selvosa Scerner l�onde confuse nel Po; Chi stornargli del rapido Mella E dell�Oglio le miste correnti, Chi ritorgliergli i mille torrenti Che la foce dell�Adda vers�, Quello ancora una gente risorta Potr� scindere in volghi spregiati, E a ritroso degli anni e dei fati, Risospingerla ai prischi dolor; Una gente che libera tutta O fia serva tra l�Alpe ed il mare; Una d�arme, di lingua, d�altare, Di memorie, di sangue e di cor. Con quel volto sfidato e dimesso, Con quel guardo atterrato ed incerto Con che stassi un mendico sofferto Per mercede nel suolo stranier, Star doveva in sua terra il Lombardo: L�altrui voglia era legge per lui; Il suo fato un segreto d�altrui; La sua parte servire e tacer. O stranieri, nel proprio retaggio Torna Italia e il suo suolo riprende; O stranieri, strappate le tende Da una terra che madre non v��. Non vedete che tutta si scote, Dal Cenisio alla balza di Scilla? Non sentite che infida vacilla Sotto il peso de� barbari pi�? O stranieri! sui vostri stendardi Sta l�obbrobrio d�un giuro tradito; Un giudizio da voi proferito V�accompagna a l�iniqua tenzon; Voi che a stormo gridaste in quei giorni: Dio rigetta la forza straniera; Ogni gente sia libera e p�ra Della spada l�iniqua ragion. Se la terra ove oppressi gemeste Preme i corpi de� vostri oppressori, Se la faccia d�estranei signori Tanto amara vi parve in quei d�; Chi v�ha detto che sterile, eterno Saria il lutto dell�itale genti? Chi v�ha detto che ai nostri lamenti Saria sordo quel Dio che v�ud�? S�, quel Dio che nell�onda vermiglia Chiuse il rio che inseguiva Israele, Quel che in pugno alla maschia Giaele Pose il maglio ed il colpo guid�; Quel che � Padre di tutte le genti, Che non disse al Germano giammai: Va�, raccogli ove arato non hai; Spiega l�ugne; l�Italia ti do. Cara Italia! dovunque il dolente Grido usc� del tuo lungo servaggio; Dove ancor dell�umano lignaggio Ogni speme deserta non �: Dove gi� libertade � fiorita, Dove ancor nel segreto matura, Dove ha lacrime un�alta sventura, Non c�� cor che non batta per te. Quante volte sull�alpe sp�asti L�apparir d�un amico stendardo! Quante volte intendesti lo sguardo Ne� deserti del duplice mar! Ecco alfin dal tuo seno sboccati, Stretti intorno ai tuoi santi colori, Forti, armati dei propri dolori, I tuoi figli son sorti a pugnar. Oggi, o forti, sui volti baleni Il furor delle menti segrete: Per l�Italia si pugna, vincete! Il suo fato sui brandi vi sta. O risorta per voi la vedremo Al convito dei popoli assisa, O pi� serva, pi� vil, pi� derisa Sotto l�orrida verga star�. Oh giornate del nostro riscatto! Oh dolente per sempre colui Che da lunge, dal labbro d�altrui, Come un uomo straniero, le udr�! Che a� suoi figli narrandole un giorno, Dovr� dir sospirando: �io non c�era�; Che la santa vittrice bandiera Salutata quel d� non avr�.PER COMMENTI CLICCA APPROFONDIMENTI LETTERARI
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