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Medio Oriente: anni Ottanta
Gli accordi di Camp David
Nella seconda met� degli anni Settanta al grave problema della questione
medio-orientale, imperniata sul conflitto arabo-israeliano per l'assetto
territoriale della Palestina e sulla condizione dei profughi palestinesi, si era
aggiunto il problema del Libano, dilaniato dalla guerra civile e divenuto
terreno di scontro tra musulmani filopalestinesi e cristiano-maroniti sostenuti
da Israele.
Per cercare di giungere a una composizione del conflitto tra stato d'Israele e
mondo arabo, il presidente americano Jimmy Carter convoca nel settembre 1978 il
primo ministro israeliano Menahem Begin e il rais (presidente) egiziano Anwar
el-Sadat nella sua residenza estiva di Camp David. I tre siglano uno storico
accordo che pone fine a trent'anni di inimicizia tra Egitto e Israele e che
sembra concretizzare le speranze in una prossima e definitiva risoluzione di
tutta la questione medio-orientale. L'intesa rappresenta una sorta di
preliminare al trattato di pace (che verr� stipulato nel marzo successivo),
subordinato al ritiro delle truppe israeliane dal Sinai; stabilisce, inoltre, il
ritiro delle forze dell'Onu dall'area del conflitto e definisce alcuni
principi-base per futuri accordi tra Israele e gli altri stati arabi,
nell'ottica di una totale pacificazione del Medio Oriente.
Ben presto, per�, appaiono in tutta la loro evidenza i limiti del trattato di
Camp David: esso, infatti, si limita a regolare uno solo degli elementi del
conflitto, quello dei territori contesi tra Egitto e Israele, ma non affronta le
vere radici della questione medio-orientale, in particolare la creazione di uno
stato palestinese autonomo. Il governo israeliano su questo aspetto sembra
irrigidirsi in una posizione di assoluta intransigenza: conferma che i territori
di Giudea e Samaria, meglio conosciuti con il nome di Cisgiordania, appartengono
storicamente a Israele; emana un'apposita legge (agosto 1980) con la quale
proclama Gerusalemme capitale indivisibile di Israele e infine ordina (dicembre
1981) l'annessione del territorio occupato del Golan siriano.
L'attentato a Sadat
Il riavvicinamento tra Egitto e Israele in seguito agli accordi di Camp David
viene avvertito come una sorta di tradimento da parte degli stati arabi
oltranzisti, indispettiti anche dal sostegno che Sadat nei suoi ultimi giorni di
presidenza decide di dare al deposto sci� dell'Iran. Il rais, che anche in
politica interna ha avviato una riforma dello stato in senso marcatamente
liberista attirandosi l'odio dell'opposizione di sinistra, � ormai solo di
fronte alle minacce interne che vanno a saldarsi con quelle dei palestinesi e
degli altri popoli arabi.
Il 6 ottobre 1981, mentre assiste a una parata militare al Cairo, Sadat viene
ucciso da un commando di militari.
Il potere viene assunto dal suo vicepresidente, Hosni Mubarak, che, pur
mantenendo una posizione moderata, prende in qualche modo le distanze dal suo
predecessore, cercando di riguadagnare il consenso interno e riaprendo il
dialogo con l'opposizione. In politica estera interrompe la linea di progressivo
avvicinamento all'Occidente, ristabilendo i rapporti diplomatici con l'Unione
Sovietica e cercando di riallacciare i contatti con la Lega araba, nella quale
l'Egitto viene riammesso nel 1987.
La rivoluzione islamica in Iran
Fin dalla primavera del 1978 tutto l'Iran � scosso da tumulti e manifestazioni
popolari che chiedono a gran voce la cacciata dello sci� Rheza Pahlevi e il
ritorno dell'ayatollah Khomeini, l'anziano capo religioso che dal suo esilio
francese continua instancabilmente a predicare l'avvento di una rivoluzione
islamica purificatrice.
Nel gennaio 1979, l'aggravarsi della situazione interna, ormai sull'orlo
dell'insurrezione popolare, convince lo sci� della necessit� di assicurare un
trapasso incruento: col pretesto di un viaggio diplomatico, Reza Pahlavi lascia
l'Iran con tutta la famiglia reale, dopo aver nominato un consiglio di reggenza
e affidato il governo a Shapur Baktiar.
Il 31 gennaio l'ayatollah Khomeini torna trionfalmente a Teheran e assume di
fatto le redini del potere, bench� formalmente, deposto Baktiar, il governo
passi nelle mani prima di Mehdi Bazargan, poi di Abulassan Bani Sadr.
Khomeini instaura un regime teocratico duro e intransigente, ispirato alle pi�
rigide prescrizioni del Corano, fomentando nel popolo un cieco e pericoloso
fanatismo religioso-politico. Il nuovo regime entra subito in rotta di
collisione con gli Stati Uniti, accusati da Khomeini di essere il grande Satana
e, alla fine del 1979, la situazione sembra precipitare quando un commando di
sedicenti "studenti" islamici fa irruzione nell'ambasciata statunitense a
Teheran e sequestra 52 diplomatici Usa. Solo dopo un anno di frenetiche
trattative, il nuovo presidente statunitense Reagan riuscir� a ottenere la
liberazione degli ostaggi.
Il fondamentalismo islamico
Si tratta di un'ideologia politico-religiosa che caratterizza i movimenti
islamici di tendenza pi� radicale. � fondata sul presupposto dell'esistenza di
un legame diretto tra i precetti religiosi desunti dal Corano e l'organizzazione
politica dello Stato. Dato che il Corano contiene la Legge divina, sacra e
immutabile, annunciata dal profeta Maometto, allora lo Stato, che �
identificabile con la comunit� dei credenti uniti dalla medesima fede, � tenuto
a uniformarsi a essa in tutte le sue manifestazioni: istituzioni politiche,
ordinamenti giuridici, linee-guida di politica economica ecc.
Ogni forma di laicizzazione della vita pubblica, ovvero di separazione della
politica dai princ�pi religiosi dell'isl�m, � giudicata come una sorta di
intervento di Satana ed � perci� dannosa e da combattere. In particolare, i
fondamentalisti si oppongono con forza all'importazione di modelli e
comportamenti di derivazione occidentale, che potrebbero corrompere l'identit�
islamica.
I movimenti integralisti, finanziati e fomentati soprattutto dall'Iran, aspirano
inoltre alla diffusione dell'isl�m a livello mondiale e per la realizzazione di
questo progetto non esitano a far ricorso alla strategia del terrorismo
internazionale. I loro attentati sono rivolti soprattutto contro gli Stati
Uniti, considerati il regno di Satana, e contro i loro alleati.
La guerra Iran-Iraq
A rendere pi� complicata la situazione dell'Iran si aggiunge una controversia
con l'Iraq per la sovranit� sulle acque dello Shatt el-Arab, contesa che nel
settembre 1980 degenera in guerra aperta; la posta in gioco � la supremazia
nella regione del golfo Persico e, pi� in generale, in tutto il mondo arabo.
Se nei primi due anni di conflitto l'Iraq, armato dall'Occidente che lo
considera un baluardo contro il dilagare del fanatismo islamico, sembra avere la
meglio, nel 1982 si riorganizza la controffensiva iraniana e la guerra mantiene
un andamento incerto destinato a trascinarsi per molti anni.
Il prolungarsi del conflitto, oltre a mettere in ginocchio le economie dei due
paesi belligeranti, si ripercuote negativamente sull'intero mondo arabo che,
anche in questa circostanza, non riesce ad assumere una posizione unitaria:
sostengono l'Iraq i paesi arabi moderati, in particolare Arabia Saudita,
Giordania e Marocco: dalla parte dell'Iran si schierano Siria, Libia, Algeria e
Olp.
In due fasi distinte riprese, nel 1983 e nel 1987, la guerra minaccia
direttamente le installazioni petrolifere del golfo Persico, tradizionale luogo
di approvigionamento energetico dell'Occidente.
Nell'estate del 1987 gli Stati Uniti (cui si aggregano Francia, Gran Bretagna e
Italia) decidono di intervenire, assumendo al contempo l'incarico di scortare le
petroliere in transito nel golfo.
La decisione americana scatena la furiosa reazione iraniana, che bandisce una
vera e propria "guerra santa" nel tentativo di impedire l'intervento della
flotta statunitense, ignorando la risoluzione dell'Onu che impone un immediato
cessate il fuoco in tutta la regione.
La tensione sale per tutta la prima met� del 1988, finch�, nel mese di agosto,
una mediazione del segretario dell'Onu Perez de Cuellar ottiene una tregua
seguita da immediate trattative di pace.
La guerra, durata otto sanguinosi anni, finisce cos�, senza vincitori n� vinti.
La guerra in Libano
Indipendente dal 1946, il Libano aveva goduto per circa un ventennio di una
posizione privilegiata nell'ambito del mondo arabo, grazie a un particolare
regime fiscale che attirava ingenti capitali esteri e a una politica estera
moderata e filo-occidentale.
Gli squilibri cominciano dopo il conflitto arabo-israeliano del 1967, che
provoc� una massiccia immigrazione palestinese nel Libano, ulteriormente
amplificatasi nel 1970 dopo l'espulsione dei palestinesi dai territori giordani.
L'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) fissa qui il proprio
quartier generale e proprio dal Libano meridionale dirige i suoi attacchi contro
Israele, esponendo di conseguenza la regione alle controffensive israeliane.
A questa situazione si salda una sanguinosa guerra civile, in atto a partire dal
1975, tra la maggioranza musulmana (scissa al suo interno nei due gruppi degli
sciiti e dei drusi), alleata dei palestinesi, e la minoranza cristiano-maronita,
la quale detiene quasi completamente le principali leve del potere.
L'infuriare della guerra apre la strada alla presenza delle truppe straniere nel
paese: fin dal 1976, la Siria ha occupato la parte orientale del Libano, mentre
nel 1982 Israele ha avviato l'operazione Pace in Galilea, vera e propria
invasione del Libano meridionale che si pone come obiettivo dichiarato lo
smantellamento definitivo del quartier generale dell'Olp a Beirut, la capitale.
Il governo libanese chiede l'intervento di una forza multinazionale di pace:
aderiscono all'invito Francia, Stati Uniti, Italia e, in seguito, Gran Bretagna,
ma nemmeno l'intervento internazionale riesce a pacificare la regione.
Nel 1983 il presidente libanese Amin Gemayel stipula con Israele un trattato di
pace per effetto del quale deve essere disposto il ritiro delle truppe
israeliane dal Libano meridionale. La situazione, tuttavia, resta inalterata
visto il perdurare dei conflitti tra Israele, Siria e alcune fazioni libanesi,
nonch� dei dissidi interni all'Olp tra la componente filosiriana e quella fedele
a Yasser Arafat.
La forza multinazionale di pace viene definitivamente ritirata nel 1984 e, di
fronte al precipitare della situazione, il presidente Gemayel impugna il
trattato di pace con Israele e chiede l'intervento della Siria. Questa svolge un
ruolo per certi versi ambiguo e contraddittorio e, pur non riuscendo a far
tacere le armi n� tra cristiani e musulmani n� tra i diversi gruppi musulmani,
si avvia, soprattutto dopo il ritiro delle truppe israeliane avvenuto nel 1985,
a divenire il vero arbitro della situazione libanese.
Medio Oriente: anni Novanta
La guerra del golfo
Alla fine del conflitto con l'Iran, l'Iraq vede rafforzata la sua potenza
militare, ma fortemente compromessa la sua situazione economica.
Da questo punto di vista, un'ulteriore e grave minaccia viene dalla decisione
del piccolo ma ricchissimo emirato del Kuwait di incrementare la produzione di
greggio, in palese violazione degli accordi assunti dall'Opec (l'organizzazione
che riunisce gli stati produttori di petrolio). Il Kuwait comincia infatti a
estrarre enormi quantit� di petrolio dai giacimenti di Rumalia, una regione di
confine sulla quale l'Iraq avanza da tempo rivendicazioni territoriali.
Una tale politica da parte del Kuwait rischia davvero di dare il colpo di grazia
alla gi� disastrata economia irachena, perch�, aggravando la sovrapproduzione di
petrolio, determina un ulteriore ribasso dei prezzi dei materiali energetici,
che rappresentano il 90% delle risorse economiche dell'Iraq.
"Tempesta nel deserto"
Il 2 agosto 1990 Saddam Hussein, rais dell'Iraq, invade il Kuwait, occupandone
la capitale e i giacimenti petroliferi. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu
adotta dapprima una serie di sanzioni economiche contro l'Iraq, che arrivano
fino all'embargo totale; quindi, il 29 novembre, viene approvata (con i soli
voti contrari dello Yemen e di Cuba, e con l'astensione della Cina) una
risoluzione che legittima l'uso della forza se le truppe irachene non
abbandoneranno il Kuwait entro il 15 gennaio 1991.
Scaduto l'ultimatum senza che Saddam Hussein dia segno di voler recedere dal suo
proposito di annessione dell'emirato, il presidente americano George Bush
(successore ed erede politico di Ronald Reagan) d� il via all'operazione
"Tempesta nel deserto". La forza multinazionale alleata, il cui comando militare
� affidato agli Stati Uniti, sferra un violento attacco nella notte tra il 15 e
il 16 gennaio, bombardando massicciamente e a pi� riprese la capitale Bagdad.
Saddam Hussein tenta di legare la sua invasione del Kuwait alla questione
palestinese e lancia ripetutamente missili contro Israele, sperando in una
reazione dello stato ebraico. Egli mira a provocare il distacco dei paesi arabi
dalla compagine antirachena, chiamandoli a una sorta di guerra santa contro
l'Occidente. Israele, per�, su sollecitazione di Bush, non reagisce.
L'offensiva degli alleati prosegue incessantemente fino alla fine di febbraio,
quando Saddam Hussein abbandona il Kuwait e firma la resa dell'Iraq.
Le conseguenze del conflitto
Da quel momento il rais di Bagdad rivolge tutti i suoi sforzi alla repressione
interna: egli deve infatti fronteggiare continui tentativi di colpi di stato da
parte di oppositori del regime e il separatismo della minoranza sciita nelle
regioni meridionali del Paese, e dei curdi a nord.
La violenza con cui Saddam Hussein perseguita gli sciiti, e soprattutto i curdi,
spinge l'Onu, nell'estate 1992, a creare due zone aeree protette, corrispondenti
ai territori abitati da queste popolazioni, dove l'aviazione irachena non potr�
volare: lo scopo � quello di impedire i continui e feroci bombardamenti di
quelle regioni.
Saddam Hussein, per�, v�ola ripetutamente queste e altre risoluzioni prese
dell'Onu, impedendo, per esempio, agli osservatori internazionali di compiere le
ispezioni previste dal trattato di pace e minacciando nuovi tentativi militari
di annessione del Kuwait.
Il perdurare di questa situazione determina, nel corso del 1993, nuovi scontri
armati: Usa, Gran Bretagna e Francia bombardano a pi� riprese alcuni obiettivi
militari posti nel sud del paese, mentre l'aviazione americana colpisce la sede
dei servizi segreti a Bagdad.
� la popolazione irachena, intanto, a pagare lo scotto pi� pesante della guerra:
l'embargo internazionale ha ormai messo in ginocchio l'economia dello Stato e la
propaganda del regime serve sempre meno a far dimenticare al popolo problemi
gravi come la carenza di generi alimentari e di medicine.
La questione palestinese
L'inizio degli anni Novanta porta nell'annosa guerra tra israeliani e
palestinesi una ventata di ottimismo.
Le due parti in conflitto sembrano infatti ammorbidire le loro reciproche
posizioni e voler finalmente giungere a una seria trattativa di pace. Nel giugno
1992 le elezioni politiche israeliane sono vinte dal Partito laburista.
Il nuovo primo ministro, Yitzhak Rabin, si mostra subito pi� disponibile del suo
predecessore Shamir: vista l'impossibilit� di reprimere l'intifadah (la
cosiddetta "rivolta delle pietre" messa in atto dalla popolazione palestinese
dei territori occupati) che infuria dal 1987 a Gaza e in Cisgiordania, Rabin si
rende conto che non � pi� possibile negare il diritto dei palestinesi
all'autodeterminazione e che, per giungere un accordo, occorre riconoscere l'Olp
e ammetterla ai negoziati di pace.
Il leader dell'Olp Yasser Arafat, da parte sua, professa l'abbandono della
pratica terroristica e limita i suoi obiettivi politici all'instaurazione di uno
stato palestinese indipendente nei territori di Gaza e Cisgiordania.
E cos�, dopo lunghe trattative segrete svoltesi in Norvegia, il 13 settembre
1993 le due parti firmano a Washington, alla presenza del presidente americano
Bill Clinton, una storica "Dichiarazione di principio sull'autogoverno
palestinese". Essa prevede il ritiro dai territori occupati di Gaza e Gerico
dell'esercito israeliano, che continuer� comunque a essere responsabile della
sicurezza della zona, e soprattutto degli insediamenti ebraici che vi sono
collocati.
Il trattato prevede inoltre l'elezione di un Consiglio palestinese e il
passaggio graduale di tutti i poteri civili (fisco, sanit�, istruzione, servizi
sociali) all'amministrazione autonoma palestinese. Quest'ultima viene poi estesa
anche alla Cisgiordania dall'accordo firmato da Peres e Arafat il 24 settembre
1995.
Una battuta d'arresto verso la pace
Le fazioni estremistiche sia israeliane sia palestinesi si oppongono tuttavia a
questi accordi, che considerano una sorta di "tradimento" degli ideali
palestinesi: si susseguono, perci�, numerosi e sanguinosi attentati
terroristici, che rischiano spesso di vanificare tutti gli sforzi compiuti sulla
strada della pace.
Il 1� luglio 1994 Yasser Arafat rientra a Gaza dopo ventisette anni di esilio a
Tunisi e viene acclamato presidente del nuovo stato palestinese. Si trova "tra
l'incudine e il martello": viene contestato dagli integralisti del potente
movimento Hamas, e deve rassicurare le autorit� israeliane sulla sua capacit� di
rispettare gli accordi e di impedire il riacutizzarsi del terrorismo.
La pace in Medio Oriente � ancora incerta, ma il trattato del settembre 1993,
perfezionato da quello del settembre 1995, rappresenta una svolta storica.
Il premio Nobel per la pace 1994 viene attribuito alle tre personalit� che hanno
reso possibile questa svolta: Itzhak Rabin, premier di Israele, Shimon Peres,
ministro degli esteri israeliano, e Yasser Arafat.
Il 4 novembre 1995 Itzhak Rabin � assassinato da Yigal Amir e il giorno
successivo Shimon Peres � nominato premier. Nel maggio 1996 � eletto Benjamin
Netanyahu, che congela il processo di pace dei predecessori.