O del grand'Apennino.(T.Tasso)
O del grand'Apennino
figlio picciolo s�, ma glorioso
e di nome pi� chiaro assai che d'onde,
fugace peregrino
a queste tue cortesi amiche sponde
per sicurezza vengo e per riposo.
L'alta Quercia che tu bagni e feconde
con dolcissimi umori, ond'ella spiega
i rami s� che i monti e i mari ingombra
mi ricopra con l'ombra.
L'ombra sacra, ospital, che altrui non
niega
al suo fresco gentil riposo e sede,
entro al pi� denso mi raccoglia e chiuda,
s� che io celato sia da quella cruda
e cieca dea, che � cieca e pur mi vede,
ben che io da lei m'appiatti in monte o in
valle,
e per soligno calle
notturno io mova e sconosciuto il piede;
e mi saetta s� che ne' miei mali
mostra tanti occhi aver quanti ella ha
strali.
Oim�! dal d� che pria
trassi l'aure vitali e i lumi apersi
in questa luce a me non mai serena,
fui de l'ingiusta e ria
trastullo e segno, e di sua man soffersi
piaghe che lunga et� rinsalda a pena.
Sassel la gloriosa alma sirena,
appresso al cui sepolcro ebbi la cuna;
cos� avuto v'avessi o tomba o fossa
a la prima percossa!
Me dal sen de la madre empia fortuna
pargoletto divelse. Ah! di quei baci,
che ella bagn� di lagrime dolenti,
con sospir mi rimembra e de gli ardenti
preghi che sen portar l'aure fugaci:
che io non dovea giunger pi� volto a volto
fra quelle braccia accolto
con nodi cos� stretti e s� tenaci.
Lasso! e seguii con mal sicure piante,
qual Ascanio o Camilla, il padre errante.
In aspro esiglio e 'n dura
povert� crebbi in quei s� mesti errori;
intempestivo senso ebbi a gli affanni:
che anzi stagion, matura
l'acerbit� de' casi e de' dolori
in me rend� l'acerbit� de gli anni.
L'egra spogliata sua vecchiezza e i danni
narrer� tutti. Or che non sono io tanto
ricco de' propri guai che basti solo
per materia di duolo?
Dunque altri che io da me dev'esser pianto?
Gi� scarsi al mio voler sono i sospiri,
e queste due d'umor s� larghe vene
non agguaglian le lagrime e le pene.
Padre, o buon padre, che dal ciel rimiri,
egro e morto ti piansi, e ben tu il sai,
e gemendo scaldai
la tomba e il letto: or che ne gli alti
giri
tu godi, a te si deve ancor, non lutto:
a me versato il mio dolor sia tutto.
(Composizione incompiuta).
O del grand'Appennino
La poesia celebra il fiume Metauro (nel
ducato di Urbino)(un fiume che scorre in Romagna scaturendo
dall�Alpe di Luna sugli Appennini). Il fiume famoso per la sua
storia bagna la quercia (allude allo stemma dei della Rovere con
la visione dell�albero forte)(i Della Rovere di Urbino dove
Tasso vorrebbe essere accolto). L'autore sta scappando dalla dea
bendata (che per� con lui ci vede benissimo). Nella seconda
strofa incomincia una sua autobiografia (con i suoi rapporti con
la sfortuna); vi sono riferimenti mitologici. Continua la sua
riflessione sulla sua vita: l'acerbit� dei suoi anni (era
giovane) � resa matura dall'acerbit� dei suoi mali (qui acerbit�
vuol dire malvagit�).In questa lirica quindi al motivo
encomiastico si alterna il motivo autobiografico, la dolorosa
rievocazione di una vita costellata di sventure protestando
contro la Fortuna ostile.
I versi pi� apprezzati sono quelli in cui
il poeta canta liricamente la propria vita. � ci� che accade in
questa canzone incompiuta. Diversi gli spunti cortigiani, come
avviene per esempio ai vv. 7-9 con l'iperbolica rappresentazione
della Quercia, i cui rami si distendono su monti e mari, a
suggerire la potenza dei duchi di Urbino; l'esordio della
canzone � ricco di simili spunti elogiativi (figlio piccolo, s�
ma glor�oso, v.2; cortesi.....sponde, v.5; ombra....ospital,
v.11; gentil riposo e sede, v.12). Ma questi elementi vengono
riequilibrati nella meditazione autobiografica che si snoda a
partire dal v.21.
Colpisce l'insistenza con la quale Tasso si
dice incalzato dalla sorte avversa, spietata nel tendergli
agguati da cui appunto spera salvezza grazie alla protezione del
signore do Urbino. La canzone trova il suggello nel verso finale
(a me versato il mio dolor sia tutto), che suona come un
singhiozzo o un'epigrafe, per esprimere la certezza di un
destino di dolore e il sentimento dell'amara rassegnazione di
fronte al fato.
Prevalgono gli austeri endecasillabi,
rispetto ai pi� morbidi e musicali settenari; frequenti
enjambements (per esempio "non niega/ .....riposo", v.11-12;
"cruda /e cieca d�a", vv.14-15) spezzano il ritmo lirico,
sottolineando i momenti pi� meditativi o l'addensarsi dei
concetti; anafore in funzione enfatizzante sono presenti qua e
l�, come ai vv. 45-46 con due significati di "amarezza" prima e
"fanciullezza" poi. Il lessico � rivestito di una patina aulica,
con impiego sistematico di latinismi (chiaro, aure, egra),
termini letterari (m'appiatt�, risalda) e citazioni (con sospir
mi rimembra), perifrasi eloquenti (per designare per esempio la
Fortuna: cruda / e cieca d�a, vv. 14-15; ingiusta e ria, v. 24).
Un intero verso petrarchesco (il gi� menzionato " con sospir mi
rimembra", v. 34) viene con naturalezza incastonato entro il
discorso poetico. Impreziosiscono il dettato chiasmi (egro e
morto / la tomba e il letto, vv. 56-58), antitesi (piccolo /
glorios, v.2; sepolcro / cuna, v.28) e altre figure retoriche,
come l'ipallage aggettivale " per solingo calle/ notturno"
(vv.17-18).
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