VISIONE DELLA VITA IN MONTALE
La sua visione pessimistica ed amara della realtà,
non confortata da alcuna fede religiosa, ricorda per certi aspetti sia il
"pessimismo cosmico" del Leopardi, sia la visione dolorosa del Pascoli, ma
risente soprattutto dell'elaborazione filosofica del pensiero irrazionalistico
della seconda metà dell'Ottocento(in particolare Schopenhauer), sia del
Novecento, con chiari influssi sia dell'esistenzialismo, sia di quei filosofi
"antipositivisti", come Bergson e Boutroux, che hanno dato un'impronta
essenziale alla visione negativa della realtà, che Montale stesso definisce il
male di vivere .
Con tale definizione Montale intendeva indicare la condizione esistenziale
assurda e dolorosa dell'uomo, che si trova a vivere in un ambiente ostile e
senza poter dare una risposta alle ragioni incomprensibili dell'esistenza,
credendo erroneamente che la realtà è quella che si vede e non qualcosa di più
misterioso ed occulto, cui l'uomo non ha accesso, se non in rari bagliori,in
occasionali "stati di grazia", l'anello che non tiene. Ciò si verifica talora
grazie all'aiuto di una donna che, novella Beatrice, ci può come illuminare e
farci intuire per un istante qualcosa di diverso dall'aridità incomprensibile di
questo mondo indecifrabile ed allucinato. Questo "male di vivere" si concretizza
in alcune immagini di chiaro sapore metafisico : paesaggi accecati dal sole,
aride pietraie: riarse dal sole, la sonnolenza del caldo meriggio estivo, il
senso di una vita soffocante ed incomprensibile, senza poter mai approdare ad
alcuna certezza o "verità"; vivere è come camminare accanto ad un muro
invalicabile con in cima cocci aguzzi di bottiglia, quindi non poter superare
quella barriera, che ci impedisce di guardare oltre e cogliere,forse,
l'autentico senso dell'esistenza. In tale diaframma che si frappone tra noi e la
realtà più autentica è facile cogliere quello che Schopenhauer definiva il "velo
di Maia", rifacendosi alla antica saggezza indiana. Questi scenari così aridi,
desolati e illuminati da un sole accecante, ricordano da vicino certi paesaggi
della pittura metafisica di Giorgio De Chirico; è chiaro che dietro l'apparente
naturalismo della poesia di Montale si nasconde una valenza simbolica e
metafisica, per cui i vari oggetti descritti assumono un significato simbolico.
E' questa la tecnica del correlativo oggettivo, che Montale sembra aver ripreso
dal poeta anglo-americano Eliot. L'unico rimedio contro il male di vivere, per
non lasciarsi travolgere dalla banalità di una vita inspiegabile ed assurda è la
divina indifferenza,la capacità di estraniarsi dall'assurdo della vita; non
significa rifuggire dalla vita, non assumersi la responsabilità del vivere,
quanto rimanere distaccati e lucidi, con animo forte e "stoico" di fronte alle
lusinghe di una vita ed una società banali ed insensate. In altre parole
significa assumersi i compiti e doveri di cittadino, impegnarsi per il progetto
di una società più libera e migliore sotto tutti i punti di vìsta, ma con
distacco emotivo e lucidità interiore, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente.
Anche in ciò è facile vedere una spiccata analogia con quello stato d'animo
critico e distaccato che, sempre Schopenhauer, definiva la "nolontà". Vi sono
tre correlativi oggettivi, che indicano in modo chiaro tale atteggiamento di
indifferenza: il falco, la nuvola, la statua nella sonnolenza del meriggio. In
queste tre immagini è evidente il guardare la vita dall'alto, con distacco.