UNA STRANA SENSAZIONE DI SOFFOCAMENTO
UNA STRANA SENSAZIONE DI SOFFOCAMENTO
Ad un certo punto della nostra vita (non è dato di sapere quando) avvertiamo una
nuova strana sensazione, una sensazione sconosciuta e allo stesso tempo così
familiare da sembrare appunto strano non averla avvertita prima, la sensazione
che la vita ci ha tolto qualcosa, la sensazione che non
l'abbiamo vissuta appieno, la sensazione "di essere rinchiusi in una struttura
soffocante da cui probabilmente soltanto la morte (e nel frattempo
lo stato di una profonda grave depressione) potrebbe liberarci", la sensazione
che tutti quei dogmi immagazzinati ci abbiano limitati al punto da
farci considerare che "il mal d'amore non è altro che la conseguenza di una
maturazione psichica insufficiente o lacunosa", la sensazione che
"la libertà emotiva - sessuale - sentimentale risulta ingestibile e per di più
generatrice di nuove sconosciute afflizioni", la sensazione che
il luogo in cui vivo è troppo stretto per contenere l'espansione dell'anima, la
sensazione di comunicare (appartiene alla natura) e di non
accogliere ciò che è comunicato (appartiene alla cultura), insomma la sensazione
di soffocamento.
Ad un certo punto della nostra esistenza l'albero della vita scricchiola ed è
possibile notare anche un certo appassimento, comunque s'arresta
nell'insoddisfazione per la comparsa di quelle strane sensazioni suddette che,
improvvise, ne vogliono modificare il percorso, variare forme e
contenuti attraverso colori e musiche completamente diverse, cambiare lo
spartito da suonare e recitare liberamente un copione tutto ma proprio tutto
nuovo.
Ad un certo punto della nostra vita un uomo e una donna, una "presunta??!!"
coppia d'amore, unita o meno dal vincolo matrimoniale non importa, si ferma
guardando la perdita di quella unità
(ricordate il mito di Aristofane?) tanta agognata, ricercata, voluta, sognata,
creata e raggiunta (il senso è che l'altra metà proprio non ci va più) che ora
si sta piano piano sfaldando e incamminando verso la dualità e dunque verso
quella individualità che poi è tanto ma tanto lontana dal punto di partenza che
è la coppia, perciò ci si incammina in un viaggio a ritroso ritornando alle
origini e dunque al tempo della felicità imperante ed incontrastata.
Sorprende pero' che a questo punto nell'uno incombe il disagio prima, la
sofferenza angosciante poi, infine la psicopatologia (attacchi di panico -
fobia - depressione...) che si manifesta in tanti segnali, alcuni facilmente
visibili anche ad un occhio non attento, altri invece che si nascondono nel
profondo e là restano incatenati chissà per quanto tempo. In fondo non è poi mai
semplice "separare quell'unita' - coppia" così a cuor leggero, richiede tanta e
poi tanta fatica, nel corpo e nell'anima, uno
sforzo incredibile come quello di segare il grosso tronco di una quercia
gigantesca con una sega per niente elettrica o a scoppio ma solo con
l'aiuto delle proprie mani. D'altronde con chi dividere questa sofferenza?
A chi rivelarla per liberarsi almeno un po' del "peso" che si pone sull'anima e
non la fa respirare?
Sappiamo infatti (meglio dire dovremmo sapere) che "la felicità (corrispondente
in tema d'amore alla fine della ricerca dell'unita') non è divisibile e l'unico
modo di conservarla è quello di non farla conoscere a nessuno" mentre
l'infelicità la si può raccontare a iosa a tutti ma proprio a tutti.
Ora, nel ritrovare la felicità nell'introiezione di quella antica "metà" persa,
siamo improvvisamente inondati d'amore e facciamo conoscenza con qualcuno (senza
volto dal momento che è avvolto dal buio più fitto che poi è quello della notte
ma fino ad un certo punto) che non solo ci
fa sentire l'amore danzare nel nostro corpo ma ci permette anche di brillare nel
relazionarci con amore. Anticamente l'amore era chiamato
Eros, il dio dell'amore fisico e del desiderio, figlio di Caos, e questo non ci
aiuta molto nel ragionamento allorquando genericamente adoperiamo la
parola Amore e ci raffiguriamo il dio Amore.
Amore ed Eros sono distinti o s'inglobano in un unico dio?
Non ci affascina questo punto interrogativo, ci affascina invece sapere che ad
un certo punto della nostra/vostra vita ci sentiamo felici perché amiamo e
siamo amati, perché sulla scena della vita appare l'amore che "ogni cosa
travolge" e fa sorgere quella "creatività" dapprima sopita portandoci pian piano
alle "origine", alla nostra/vostra origine.
C'è però in tutto questo un qualcosa di strano: laddove l'amore dovrebbe portare
"gioia", accade il più delle volte (sempre) che il "dolore" incombe sulla scena.
Stranezza dell'umanità, la
professione d'amore si trasforma nel suo opposto, un odio senza limiti e senza
fine. Stranezza dell'umanità che ci induce a pensare che molto
cammino l'uomo ha ancora da fare nel campo dell'evoluzione socio - culturale per
affrancarsi da tali stranezze e chissà....