Stretto tra le braccia di Morfeo
là dove l’oblio tesse la sua tela
avvolto da un sonno oblioso, in un sogno
che prima o poi verrà gettato
nel fiume dell’oblio. Sale di mare
dal sonno mi scuote, cammino
lungo il bagnasciuga guardo
e sento il mare,
attimo per attimo tessitore
della mia e dell’altrui speranza.
Lascio grandi impronte nella sabbia,
sabbia poco scabra, il sole
ormai è alle spalle, le onde
arrivano alla mia impronta,
la colmano d’acqua, ne rodono
le estremità e la cancellano.
Vado avanti calpestando
la mia impronta: la guardo; sento
il mosaico della mia (in)sicurezza
sbriciolarsi ai miei piedi.
Nuoto ancora per stare a galla
e non affondare nel fiume dell’oblio,
sogna figlio di Ipno, tu
che segui e segni la mia traccia,
so che vivrò,
non per morire ma per sentire la vita,
acqua stagnante ancora trattiene
attimi di felicità poco assaporati,
dal ricordo di correnti fredde.
Corri menestrello viandante,
la primavera è alle porte,
ritornerò al mare, sul fiume
oblioso perenne inverno,
ed io sul ghiaccio
inciderò la mia impronta,
e la ricalcherò nel tempo
con i colori dell’arcobaleno.