CIELO D'ALCAMO  : ROSA AULENTISSIMA

CIELO D'ALCAMO  : ROSA AULENTISSIMA

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 E’ un'opera di CIELO D’ALCAMO, un autore vissuto alla corte palermitana di Federico II nella prima metà del 13° sec. E' un'opera giullaresca ritenuta per lungo tempo di origine popolare, ma in realtà di autore colto e di classe sociale elevata. Il componimento parla di un contrasto d'amore, è centrato sulle battute di un reciproco corteggiamento fra un amante e la sua donna, fino alla felice conclusione dell'ironico contrasto.

Lo spasimante si rivolge alla sua donna chiamandola “rosa fresca aulentissima”, intendendo per rosa la metafora della femminilità e dell’amore, che tutte le donne desiderano, e “madonna mia”, con netto richiamo alla connotazione religiosa dell’esperienza amorosa propria della tradizione provenzale.A quanto detto dall’amante, la donna risponde con toni altezzosi e superbi, e per esprimere il proprio rifiuto dice che, piuttosto che concedersi alle sue attenzioni, preferirebbe tagliarsi i capelli, e cioè diventare monaca.Ma poi la donna cede “dato il fatto che l’innamorato s’è dato tanta pena per lei”;lei dice che “obbedirà ai suoi desideri” , purché e dopo che  lui la chieda in sposa al padre ed alla madre e quindi, attraverso le vie ufficiali, la sposi pubblicamente in chiesa.

 

A dimostrazione che D’Alcamo non era sprovveduto ma autore colto nell’opera c’è :

 una perfezione metrica: il testo ha una struttura a strofe perfettamente simmetriche e concatenate tra loro attraverso la ripresa, in apertura di strofa, di elementi che chiudono la strofa precedente (m’aritonno v. 10 - aritonniti v.11; che s’ajunga il nostro amore v. 15 - ke’lnostro amore ajungasi v.16; pur de repentere v. 35 - pur repentesseme v. 36; fosti destinata v. 45 - distinata fosseti v.46). Una tecnica così raffinata, che si rifà al procedimento delle strofe provenzali, denuncia un assiduo studio dei modelli trobadorici.

la padronanza del registro aulico: nel creare il registro “misto” che abbiamo osservato, Cielo d’Alcamo dimostra una familiarità con la lingua cortese, col repertorio di immagini e con gli stilemi della poesia colta che solo un  profondo conoscitore della lirica della  Scuola Siciliana e della lirica cortese provenzale poteva avere.

Figure retoriche
Cablas capfinidas: ripresa, in apertura di strofa, di elementi che chiudono la strofa precedente (m’arritonno, v. 10 – aritonniti, v. 11; che s’ajunga il nostro amore, v. 15 – ke ‘l nostro amore ajungasi, v. 16; pur de repentere, v. 35 – pur repentesseme, v. 36; fosti destinata, v. 45; distinata fosseti, v. 46);
Apostrofe: “Rosa fresca aulentissima”, v. 1; “madonna mia” (v. 5); “rosa fresca de l’orto” (v. 13); “bella” (v. 25, 35); “canzonieri” (v. 39), “”rosa invidiata” (v. 44); “donna col viso cleri” (v. 51); “vitama”(v. 71);
Iperbole: “per quanto avere ha ‘n Bari” (v. 23); “Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino, / e per ajunta quant’ha lo soldano, / toc[c]are me non pòteri a la mano” (vv. 29-30); “Cercat’ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia, / Puglia, Costantinopoli, / Genoa, Pisa e Soria, /Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia (vv. 61-63);
Perifrasi: “li capelli m’aritonno” (v. 10);
Metafore: “este focora” (v. 3); “caderia de l’altezze” (v. 46); “penne penzasti mettere, sonti cadute l’ale” (v. 73); “d’esto forte castiello” (v. 78).
Adynaton: “Lo mar…asembrare” (vv. 7-8)

 

«Rosa fresca aulentissima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;

<< Oh fresca rosa profumatissima che appari all’arrivo dell’estate, le donne ti desiderano, sia le fanciulle che le donne sposate, tirami via da questi fuochi, se ne hai la volontà (lett. se la cosa ti sta a volontà).

 

per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia».

A causa tua non ho pace (abento: requie, pace, riposo) né di notte che di giorno, pensando sempre a voi, mia amata! >>

 

«Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
l’abere d’esto secolo tutto quanto asembrare:

<< Se ti tormenti a causa mia, è la follia che te lo fa fare, potresti arare il mare, seminare ai venti, radunare tutta la ricchezza di questo mondo:

 

avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m’aritonno».

eppure non mi potresti avere in questa vita, piuttosto mi rado i capelli. >>

 

«Se li cavelli artónniti, avanti foss’io morto,
ca’n is[s]i [sí] mi pèrdera lo solaccio e ’l diporto.
Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto,

Se ti tagli i capelli, che io possa morire prima, perché insieme a loro mi perderei il diletto e la gioia, quando passo di qui e ti vedo, fresca rosa di giardino,

 

 bono conforto dónimi tuttore:
poniamo che s’ajúnga il nostro amore».

mi dai sempre una piacevole gioia, decidiamo che ci si aggiunga il nostro amore >>.

 

«Che ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti:
se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t’ar[i]golgano questi forti cor[r]enti.

<< Che vi si aggiunga il nostro amore non voglio che mi piaccia, se ti trova qui mio padre con gli altri miei familiari, fa’ attenzione che questi rapidi corridori non ti acchiappino.

 

Como ti seppe bona la venuta,
consiglio che ti guardi a la partuta».

Visto che sei stato fortunato al tuo arrivo, ti consiglio di star attento alla partenza.

 

«Se i tuoi parenti trovanmi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèttonci di dumili’ agostari:
non mi toccara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.

<< Sei i tuoi familiari  mi trovano, e che mi possono fare? Ci metto una multa di duemila augustali: tuo padre non mi toccherebbe per tutto l’oro che è contenuto in Bari

 

  Viva lo ‘mperadore, graz[i'] a Deo!
Intendi, bella, quel che ti dico eo?»

Viva l’imperatore e grazie a Dio! Capisci, bella, quello che sto dicendo? >>

 

«Tu me no lasci vivere né sera né maitino.
Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino.
Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,

<< Tu non mi lasci vivere né di sera né di mattina, sono una donna che possiede bisanti d’oro e oro massamutino, se tu mi donassi tanto oro quanto ne ha Saladino,

 

e per ajunta quant’ha lo soldano,
toc[c]are me non pòteri a la mano».

e in aggiunta quanto ne ha il sultano, non mi potresti toccare nemmeno sulla mano. >>

 

«Molte sono le femine c’hanno dura la testa,
e l’omo con parabole l’adímina e amonesta:
tanto intorno procazzala fin che·ll’ha in sua podesta.

Sono molte le donne che hanno la testa dura e l’uomo con le parole le domina e le persuade: la incalza tanto tutt’intorno finché non l’ha in suo potere.

 

Femina d’omo non si può tenere:
guàrdati, bella, pur de ripentere».

Una donna non può fare a meno di un uomo, bada, bella, di non dovertene pentire. >>

 

«K’eo ne [pur ri]pentésseme? davanti foss’io aucisa
ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
[A]ersera passàstici, cor[r]enno a la distesa.

Che io me ne penta? Piuttosto io venga uccisa! Che nessuna donna onesta sia rimproverata a causa mia! Tempo fa sei passato di qui correndo a tutto spiano,

 

  Aquístati riposa, canzonieri:
le tue parole a me non piac[c]ion gueri».

Prenditi un po’ di riposo, cantastorie, le tue parole a me non piacciono affatto!

 

«Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core,
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
Femina d’esto secolo tanto non amai ancore

<< Quanti sono i dolori che mi hai messo nel cuore, anche solo pensandoci durante il giorno, quando esco! Non ho mai amato una donna di questo mondo

 

quant’amo teve, rosa invidïata:
ben credo che mi fosti distinata».

quanto amo te, rosa desiderata: ho ragione di credere che tu fosti destinata a me.

 

«Se distinata fósseti, caderia de l’altezze,
ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
Se tut[t]o adiveníssemi, tagliàrami le trezze,

<< Se ti fossi stata destinata farei una bella caduta, perché sarebbe sprecata con te la mia bellezza, se mi accadesse tutto ciò, mi taglierei le trecce,

 

  e consore m’arenno a una magione,
avanti che m’artoc[c]hi ’n la persone».

e mi faccio suora in un convento, prima che tu possa toccare la mia persona! >>

 

«Se tu consore arènneti, donna col viso cleri,
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
per tanta prova vencerti fàralo volontieri.

Se tu ti fai suora, oh donna col viso luminoso, io vengo a quel monastero e mi faccio frate,  per vincerti con una simile prova (d’amore) lo farei volentieri.

 

  Conteco stao la sera e lo maitino:
Besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino».

Starei con te mattina e sera, è necessario che io ti tenga sotto la mia egemonia >>

 

«Boimè tapina misera, com’ao reo distinato!
Geso Cristo l’altissimo del tut[t]o m’è airato:
concepístimi a abàttare in omo blestiemato.

Ohimé, sventurata e infelice, che brutta sorte ho avuto! Gesù Cristo l’altissimo è completamente adirato con me! Mi hai concepita per imbattermi in un uomo blasfemo!

 

Cerca la terra ch’este gran[n]e assai,
chiú bella donna di me troverai».

Percorri la terra, che è assai grande e troverai una donna più bella di me. >>

 

«Cercat’ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia:

Ho frugatola Calabria,la Toscanaela Lombardia,la Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa ela Siria,la Germaniae Babilonia e tutta l’Africa Berbera,

 

  donna non [ci] trovai tanto cortese,65
per che sovrana di meve te prese».

e non vi ho trovato una donna tanto cortese, per cui ho scelto te come mia sovrana. >>

 

«Poi tanto trabagliàsti[ti], fac[c]ioti meo pregheri
che tu vadi adomàn[n]imi a mia mare e a mon peri.
Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri,

Dal momento che ti sei tanto affaticato, ti faccio una richiesta, che tu mi vada a chiedere in sposa a mia madre e a mio padre. Se ti fanno l’onore di concedermi a te, portami al monastero,

 

e sposami davanti da la jente;
e poi farò le tuo comannamente».

e sposami davanti alla gente e poi eseguirò le tue volontà >>

 

 

 

 

 




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