A mezzodì scopersi
tra le canne
del Motrone argiglioso l'aspra ninfa
nericiglia, sorella di Siringa.
L'ebbi sù miei ginocchi di silvano;
e nella sua saliva amarulenta
assaporai l'orígano e la menta.
Per entro al rombo della nostra ardenza
udimmo crepitar sopra le canne
pioggia d'agosto calda come sangue.
Fremere udimmo nelle arsicce crete
le mille bocche della nostra sete.
Questa poesia è
un madrigale dove il poeta D’Annunzio mette in atto una continua
allegoria: egli allude infatti all’esperienza erotica avuta, fra le
canne del torrente Montrone , con la donna amata, trasfigurata – con un
riferimento mitologico – in ninfa, la “sorella di Siringa“. E’
una divinità delle acque , scontrosa ma bellissima, che ispira all’uomo
un’intensa passione amorosa, simile a una sete che nessuno riesce a
spegnere. Nella poesia predomina un intreccio di effetti di suoni di
assonanze e consonanze : il risultato è un mondo in cui l’uomo e la
natura intrecciano legami profondi e in cui il limite tra visibile ed
invisibile non è poi così netto, tanto che per un istante è possibile
vivere in entrambi le dimensioni.
Poesia composta
da tre terzine e da un distico a rima baciata, tutti di versi
endecasillabi molto rimati e ricchi di assonanze e di allitterazioni.
Figure Retoriche : l’espressione “arsicce crete” è una
metonimia per indicare la terra riarsa dal sole, le “mille bocche”
sono un riferimento metaforico e iperbolico, “come sangue” è una
similitudine che esprime la forza vitale della natura.