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I PROMESSI SPOSI


 

Capitolo XIX. Il conte zio organizza un pranzo al quale vengono invitati alcuni  nobili milanesi. Durante il banchetto il conte zio, parlando con il padre provinciale, insinua che fra Cristoforo abbia appoggiato Renzo nell'azione rivoltosa del tumulto milanese. Il religioso assicura che far� trasferire Cristoforo in cambio di una  prova d'amicizia verso il convento di Pescarenico, da parte di don Rodrigo. Al convento di Pescarenico arriva,cos�, l'ordine di trasferimento per padre Cristoforo. Appresa la volont� del padre provinciale, il frate parte per Rimini . Viene narrata brevemente la storia dell'Innominato, le sue azioni violente, il suo atteggiamento indifferente verso la legge, verso la morale e la religione. Viene inoltre descritta sommariamente la sua dimora, posta sul confine tra il Milanese e la Repubblica veneta, in modo da poter trovare rifugio nell'uno o nell'altro stato. Don Rodrigo interpella l'Innominato. Alla fine  decide di richiedere il suo aiuto per rapire Lucia e di andare al suo castello con un seguito di bravi.

Capitolo XX. Al castello dell�Innominato giunge don Rodrigo .  Gli chiede di far rapire Lucia e l'Innominato accetta, sapendo di poter contare sull'aiuto di Egidio, l'amante di Gertrude. Licenziato don Rodrigo, l'Innominato ripensa ai suoi crimini e appare terrorizzato dall'idea del giudizio divino. Anche il pensiero del rapimento di Lucia lo turba; ma per non ascoltare la voce della propria coscienza, egli invia subito il Nibbio, il capo dei suoi bravi, da Egidio per predisporre il piano . Convinta da Egidio a farsi complice del rapimento, Gertrude riesce ad inviare Lucia fuori dal convento con il pretesto di portare un messaggio al padre guardiano dei cappuccini. Giunta in una strada solitaria, Lucia viene avvicinata con l'inganno dai bravi dell'Innominato e caricata a forza su una carrozza. Lucia prega i suoi rapitori che la lascino andare rivolgendo le sue preghiere a Dio. Nel vedere la carrozza che si avvicina alla Malanotte, l'Innominato � tentato di sbarazzarsi rapidamente di Lucia e di farla condurre direttamente da don Rodrigo. Ma la sua coscienza gli consiglia di tenere ancora la fanciulla presso di s�.

Capitolo XXI. Il racconto che il Nibbio fa al padrone sul rapimento di Lucia scuote l'Innominato gi� da tempo scontento della sua vita; le lacrime di Lucia lo turbano. Durante la notte, mentre la ragazza fa voto di consacrarsi alla Madonna se verr� liberata, egli � assalito da una profonda crisi che lo spinge a meditare il suicidio. Ma all'alba sente suonare le campane nella valle e si alza con propositi nuovi. � questo il capitolo della giustamente famosa �conversione dell'Innominato�.

Capitolo XXII. L�innominato, viene informato da un bravo che tutta quella gente, cos� festosa, va verso un paese vicino, per vedere il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano. La popolarit�, il rispetto e la venerazione che il popolo dimostra verso il cardinale, fa nascere nell�innominato la speranza, parlandogli " a quattr�occhi, " che egli possa curare il suo spirito tanto in crisi, che possa pronunciare parole rasserenatrici. Presa, quindi, la decisione di parlare con il cardinale, si reca prima nella camera di Lucia, che intanto sta dormendo in un cantuccio; rimprovera la vecchia, per non aver saputo convincere Lucia a dormire sul letto, le raccomanda di lasciarla riposare in pace, e di riferirle, quando si sar� svegliata " che il padrone � partito per poco tempo, che torner� e che... far� tutto quello che lei vorr�. ". E� superfluo dire che la donna resta sbalordita per lo strano e insolito comportamento del suo padrone, che intanto mette di guardia un bravo, davanti alla porta della camera di Lucia, perch� nessuno la disturbi; quindi, risoluto, si dirige verso il paese, dove si trova il cardinale; e giuntovi, avuta indicazione che egli si trova in casa del curato, va l�, entra in un cortiletto, dove sono riuniti molti preti che lo guardano con aria di meraviglia e di sospetto, e chiede di voler parlare al cardinale. Prima che si svolga il colloquio tra l�innominato e l�arcivescovo, l�autore traccia un profilo di Federigo Borromeo; la descrizione, fatta con calore in tutta la sua splendida grandezza, risulta veramente efficace. Ancora giovinetto, manifestata la vocazione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, oltre a dedicarsi alle occupazioni prescritte, decide di sua spontanea volont� " di insegnare la dottrina cristiana ai pi� rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, con�solare e soccorrere gl�in fermi. ". Quantunque discenda da nobile famiglia, tutto il suo comportamento � improntato alla pi� servile umilt�; teme le dignit�, anzi cerca di evitarle, non per sottrarsi al servizio altrui, ma perch� non si stima " abbastanza degno, n� capace di cos� alto e pericoloso servizio". Poco pi� che trentenne, infatti, ricusa l�arcivescovado di Milano, successivamente costretto ad accettare su ordine del papa. Riduce al minimo le sue esigenze, ed offre tutto ai poveri; per lui, infatti, " le rendite ecclesiastiche sono patrimonio dei poveri". E� merito suo la fondazione della biblioteca ambrosiana. Ma quel che pi� spicca in lui � la bont�, la giovialit�, la cortesia verso gli umili. Quanto scrive il Manzoni, per magnificare questo uomo di virt� predare, non � un parto di fantasia, ma realt� evidente, tanto � vero che riuscir� a convertire, come per grazia divina, chi si era macchiato di tanti infami crimini: l�innominato.

Capitolo XXIII. Incontro tra l'Innominato e Federigo e abbraccio di riconciliazione. Il cardinale, conosciuta la vicenda di Lucia, fa chiamare don Abbondio, presente con gli altri parroci della zona. e gli d� l'incarico di provvedere al recupero della ragazza. Viaggio di don Abbondio, terrorizzato, in compagnia del terribile signore, fino al castello.

 Capitolo XXIV. Lucia � liberata e condotta provvisoriamente in paese, nella casa di un buon sarto, dove subito giunge Agnese e poco dopo il cardinale, cui Agnese racconta le loro vicende. L'Innominato, al castello, avverte i suoi uomini che potranno restare al suo servizio solo se intenzionati come lui a mutar vita.

Capitolo XXV. Don Rodrigo pensa bene di lasciare il paese e tornarsene a Milano, prima d'essere costretto a incontrare il cardinale. Il prelato viene accolto da don Abbondio al quale chiede informazioni su Renzo. Lucia viene ospitata da una ricca signora, donna Prassede, col beneplacito del cardinale, il quale finalmente chiede a don Abbondio perch� non abbia celebrato le nozze dei due giovani.

Capitolo XXVI. Celebre dialogo tra Federigo e don Abbondio, che sembra ravvedersi, anche se non nasconde le sue buone ragioni. L'Innominato regala a Lucia una dote di cento scudi d'oro; ma ad Agnese che porta alla figlia la buona notizia, Lucia rivela il voto fatto la notte del rapimento. Decidono cos� di mandare met� della somma a Renzo e di pregarlo di non pensar pi� al matrimonio. Ma non riescono a mettersi in comunicazione con lui: il giovane ha mutato il proprio nome in quello di Antonio Rivolta e ha cambiato filanda.

Capitolo XXVII. La guerra per la successione del ducato di Mantova, che aveva visto di giorno in giorno l'Italia settentrionale coinvolta nella guerra europea che prende il nome di guerra dei trent'anni, impegnava del tutto l'attenzione del governatore don Gonzalo. Temeva questi che anche Venezia volesse scendere in campo contro la Spagna: bisognava cercare di distoglierla facendo la voce forte contro la Repubblica veneta. E l'occasione fu fornita a don Gonzalo dalla notizia che Renzo si era rifugiato nel territorio bergamasco. Di qui la finzione delle ricerche condotte per accertare se Renzo era veramente a Bergamo. Era una formalit�: Renzo divent� una pratica burocratica. Il potere, di lui non s'accorse, perch� era sola un pretesto. Ma Renzo, pur cambiando residenza e nome, continuava a nascondersi: sapeva per esperienza che del potere politico non ci si poteva fidare. Una sola cosa lo tormenta: quella di mettersi in contatto con Agnese e Lucia. Riesce a trovare una fidata trafila e un giorno riceve insieme con una lettera di Agnese cinquanta scudi: Lucia, era detto nella lettera, non poteva sposarlo pi� perch� aveva fatto voto di castit�. Si mettesse il cuore in pace e attendesse agli affari suoi. Cosa che Renzo si dichiar� non disposto a fare. Il suo unico proposito ora sarebbe stato di indurre Lucia al matrimonio. Lucia, intanto, aveva trovato ospitalit� in casa di donna Prassede, una donna che poco poteva sul marito, don Ferrante, un intellettuale che da lei si difendeva chiudendosi tra i suoi libri. Cos� donna Prassede sfogava la sua volont� di strafare e la sua voglia di fare del bene ad ogni costo (ma il bene coincideva stranamente col suo concetto piuttosto storto di bene) alle persone come Lucia che si erano lasciate traviare. Non altrimenti si poteva e doveva spiegare l'innamoramento della giovane per uno come Renzo che per poco era sfuggito alla forca e che sicuramente doveva essere un poco di buono, se era ricercato dalla polizia. Pensiero dominante di donna Prassede era di liberare la mente di Lucia dall'immagine di Renzo e perci� a lei parlava spesso e in termini duri ed ingiusti: Lucia per forza di cose doveva difenderlo da tanta aggressivit� e cos� il suo Renzo se lo confermava sempre pi� dentro. E sempre pi� intensamente l'immagine di lui l'assediava, sempre come risultato dei metodi educativi di donna Prassede. Nulla c'era da temere dal marito di lei, don Ferrante, un letterato di grande classe: aveva tanti libri e la sua attenzione si fermava su scienze come l'astrologia e la duellistica, dove era diventato un'autorit�. Era il tipo di letterato astratto, inutile, formalistica, che non sa legare scienza e realt�, cultura e societ�.

Capitolo XXVIII.

Questo � un capitolo, in cui il Manzoni abbandona di nuovo i suoi personaggi, per tracciare un quadro storico degli avvenimenti successivi alla sedizione di San Martino, che ebbe come conseguenza un ribasso del prezzo del pane; un ribasso che risult� fatale, in quanto la plebe, affamata, si abbandon� ad uno sfrenato consumo, e troppo tardi se ne avvide delle conseguenze disastrose, perch� cos� facendo, non solo rendeva impossibile una lunga durata " a goder del buon mercato presente", ma addirittura ne impediva "una continuazione momentanea. ". Anche i contadini abbandonavano la campagna e si riversavano in citt�; la situazione era destinata a precipitare; i tentativi di porvi rimedio non ottenevano alcun risultato efficace. Consumate le scorte, la fame divenne un male disastroso, pericoloso e inevitabile.

In citt�, chiusi negozi e fabbriche, la disoccupazione imperversa e la miseria si spande a macchia d�olio. Accattoni di mestiere e mendicanti formano una lugubre e grossa schiera. Il cardinale Federigo in questa circostanza organizza i suoi soccorsi; forma tre coppie di preti che, seguiti da facchini carichi di cibi e di vesti, girano per la citt�, per ristorare chi � pi� bisognevole. Ma l�interessamento caritatevole del cardinale, unito alla generosit� dei privati e ai provvedimenti dell�autorit� della citt�, si dimostra inadeguato rispetto alla vastit� del male.

Per tutto il giorno nelle strade si ode " un ronzio confuso di voci supplichevoli, la notte, un sussurro di gemiti," ma non si ode " mai un grido di sommossa. ". Eppure, osserva il Manzoni, tra coloro che soffrivano " c�era un buon numero di uomini educati a tutt�altro che a tollerare, " per cui conclude che spesso " ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi". Se qualcuno era in grado di fare qualche elemosina, la scelta era ardua; all� avvicinarsi di una mano pietosa, all�intorno era una gara d�infelici, che stendevano la loro mano. Poich� le strade diventano ogni giorno di pi� un ammasso di cadaveri, trascorso l�inverno e la primavera, il tribunale di provvisione decide " di radunare tutti gli accattoni, sani ed infermi, in un sol luogo, nel lazzaretto, " dove potranno essere aiutati a spese del pubblico. In pochi giorni gli infelici ospitati divengono tremila; ma i pi�, o per godere l�elemosine della citt� o per la ripugnanza di star chiusi nel lazzaretto, restano fuori. Per cacciare dunque gli accattoni al lazzaretto, si deve ricorrere alla forza, e cos�, in pochi giorni, il numero dei ricoverati sale a circa diecimila.

Ma tale iniziativa, sia pur lodevole nelle intenzioni, per l�ammassarsi di tanti infelici in un sol luogo, per l�organizzazione carente e per l�inadeguatezza dei mezzi, � insufficiente. La gente dorme per terra o su paglia putrida; il pane � alterato " con sostanze pesanti e non nutrienti"; manca persino l�acqua potabile; perci� la mortalit� cresce a tal punto che si comincia a parlare di pestilenza. Per porre rimedio a questa grave e pericolosa situazione, si mandano via dal lazzaretto tutti i poveri non ammalati, mentre gli infermi vengono ricoverati nell�ospizio dei poveri di Santa Maria della Stella. Finalmente, con il nuovo raccolto il popolo ha di che sfamarsi, ma la mortalit�, per epidemia o contagio, anche se con minore intensit�, si protrae fino all�autunno, quand�ecco, implacabile, un nuovo flagello si abbatte sulla popolazione: la guerra. Infatti il cardinale Richelieu con il re, alla testa di un esercito, scende in Italia e occupa Casale, tenuto prima da don Gonzalo. Nel frattempo si dispone " a calar nel milanese" anche l�esercito di Ferdinando, nel quale pare che covasse la peste, tanto che si fa divieto a chiunque, quando l�esercito muove all�assalto di Mantova, " di comprar roba di nessuna sorte dai soldati". Ma tale divieto non � preso in alcuna considerazione. L�esercito di Ferdinando, era per lo pi� composto da bande mercenarie che mettevano a soqquadro tutti i paesi, asportando dalle case tutti gli oggetti di valore.


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