JACOPONE DA TODI


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O iubelo de core   di  Jacopone da Todi

O iubelo del core,
che fai cantar d’amore1!

Quanno iubel se scalda,
sì fa l’omo cantare2;
e la lengua barbaglia
e non sa che parlare:
dentro non pò celare,
tant’è granne ’l dolzore.3

Quanno iubel è acceso,
sì fa l’omo clamare;
lo cor d’amor è appreso,
che nol pò comportare:
stridenno el fa gridare,
e non virgogna allore.4

Quanno iubelo ha preso
lo core ennamorato,
la gente l’ha ’n deriso,
pensanno el suo parlato,
parlanno esmesurato
de che sente calore.5

O iubel, dolce gaudio
ched entri ne la mente,
lo cor deventa savio,
celar suo convenente;
non pò esser soffrente
che non faccia clamore6.

Chi non ha costumanza
te reputa ’mpazzito,
vedenno esvalïanza
com’om ch’è desvanito;
dentr’ha lo cor ferito,
non se sente da fore.

 


Parafrasi:

O giubilo(sentimento  di gioia)del cuore, che fai cantar d'amore quando ti riscaldi, così fai cantare l'uomo e gli fai balbettare la lingua, così che non sa più cosa dire.
Non può nascondere dentro la tristezza, tanto questa è intensa!
Quando il giubilo si è acceso nel cuore, fa gridare l'uomo, il cuore è così infiammato d'amore, tanto che non lo può più sopportare;
stridendo, e non si vergogna allora.
Quando il giubilo ha infiammato il cuore dell'innamorato, la gente lo deride, pensando al modo in cui si esprime, poichè parla senza misura di ciò di cui sente calore.
O giubileo, dolce piacere che sei dentro!
Il cuore sarebbe saggio nel nascondere la sua condizione, ma non può sopportare di non emettere grida.
Chi non ha esperienza ti reputa impazzito, vedendo il tuo comportamento anomalo.
Come quello di uno che ha perso la ragione.
Dentro ha il cuore ferito(lacerato dall'esperienza mistica).
Non ha percezione di ciò che c'è al di fuori della realtà.

 

 

 

metrica
L’opera è realizzata metricamente come una ballata, con ripresa di 2 versi settenari a rima baciata e strofe di 6 versi, anch’essi settenari. Il ritmo concitato del settenario, verso breve e imparisillabo, esprime sul piano metrico i motivi del «giubilo» e del canto enunciati già dalla ripresa. Lo schema delle rime è xx; ababbx: l’ultimo verso di ogni strofa rima dunque con la ripresa. Talora la rima è sostituita dall’assonanza.

 stile
Particolarmente significativa risulta, sul piano lessicale, la presenza di termini che, più che a un’esperienza mistica, fanno pensare all’amore profano (il caso più evidente è il participio con valore aggettivale «ennamorato» di v. 16) o che comunque si ricollegano alla tradizione della lirica amorosa: i sostantivi astratti formati con suffissi in -ore («dolzore», v. 8), e in -anza («costumanza», v. 27; «esvalïanza», v. 29), o la perifrasi «esser soffrente» (v. 25) sono tutti elementi tipici del linguaggio provenzale, trasportati nella nostra tradizione dai Siciliani. Emerge dunque, già a livello lessicale, una “contaminazione” tra sfera dell’amore sacro e sfera dell’amor profano che appare come uno dei tratti più caratteristici del componimento.
Sul piano retorico appare rilevante l’uso dell’anafora («Quanno iubel»), che scandisce gli incipit delle prime tre strofe. Prima e seconda strofa, in particolare, presentano una costruzione perfettamente simmetrica: in entrambe i primi due versi riguardano l’accendersi della passione, paragonata implicitamente al fuoco («Quanno iubel se scalda», v. 3; «Quanno iubel è acceso», v. 9) e la sua conseguente manifestazione immediata («sì fa l’omo cantare», v. 3; «sì fa l’omo clamare», v. 10); la coppia di versi successiva si sofferma sull’impossibilità per l’uomo di esprimere compiutamente o controllare razionalmente la passione («e la lengua barbaglia / e non sa che parlare», vv. 5-6; «lo cor d’amor è appreso / che non po’ comportare», vv. 11-12); gli ultimi due versi di ogni strofa descrivono invece la necessità di manifestare all’esterno il giubilo («dentro non po’ celare / tant’è granne ’l dolzore», vv. 7-8; «stridenno el fa gridare, / e non virgogna allore», vv. 13-14). La terza strofa mantiene lo stesso incipit ma modifica la disposizione dei temi: all’esperienza interiore («Quanno iubelo ha preso / lo core ennamorato») succede la visione dall’esterno dell’uomo in preda all’accensione mistica, deriso dagli altri per il suo «esmesurato» parlare di quell’amore che l’infiamma; quindi si torna al tema della necessità, per il cuore, di esprimere ciò di cui «sente calore» (v. 20).

 tema
Tema della lauda è l’esperienza mistica che consente all’uomo di “innamorarsi” di Dio, obbligandolo a manifestare la sua gioia in forme che non sono razionalmente controllabili. L’uomo che abbia provato tale esperienza si trova in una situazione contraddittoria , i cui termini sono indicati nella prima strofa: da un lato egli non trova parole adeguate per descrivere un’esperienza per definizione ineffabile («la lengua barbaglia / e non sa che parlare», vv. 4-5); dall’altro non può tacere il sentimento che gli occupa il cuore («dentro non po’ celare / tant’è granne ’l dolzore»). Il risultato sarà un’espressione che si configura come canto (v. 5) o come grido (v. 10), e che all’esterno apparirà scomposta e sarà oggetto di incomprensione e di derisione.

La lirica di Jacopone fa uso abbondante di termini, immagini e situazioni che rimandano alla contemporanea poesia profana d’amore. Si è già visto come, a livello lessicale, siano presenti termini desunti dalla tradizione provenzale e siciliana. Tale presenza non è causale, ma è indice di una profonda “contaminazione” tra due sfere che sembrerebbero a prima vista lontanissime. Infatti:
a) il paragone tra l’«amore» e il fuoco, che Jacopone applica alla sfera religiosa (il giubilo prima si scalda, v. 3, e poi si infiamma, v. 9) è largamente presente, in relazione all’amor profano, nella poesia siciliana. Il tema «foco d’amore» è centrale anche nella canzone-manifesto del dolce stil novo, Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli , in cui si fa uso dello stesso verbo «apprende» utilizzato da Jacopone al v. 11.


b) la precisazione che l’esperienza mistica non può essere intesa da «chi non ha costumanza» (v. 27) è analoga alla distinzione, anch’essa presente nella lirica d’amore profano, tra la cerchia di eletti in grado di intendere, per esperienza, un sentimento elevato come l’amore e il volgo “villano” ed escluso da esso.

c) l’opposizione tra l’uomo saggio, capace di celare il suo sentimento, e l’uomo impazzito d’amore, che si esprime in modo «esmesurato», trova precedenti tra i Siciliani, in particolare in Guido delle Colonne.
Mentre «è ormai assodata l’influenza sulla poesia di Jacopone della lirica dei trovatori e dei poeti della scuola siciliana», più difficile appare documentare rapporti di derivazione diretta con i testi dello Stilnovo (oltretutto per la maggior parte dei testi del ’200 non è possibile una datazione precisa5). Tuttavia i dati che abbiamo rilevato confermano la presenza, in testi poetici tra loro contemporanei, di immagini e motivi che si possono applicare indifferentemente all’amore sacro e amor profano; la distinzione tra queste due sfere, come ha rilevato Aurelio Roncaglia, «riguarda l’oggetto, non l’intrinseca natura della forza spirituale che ad esso si volge». Questo dato andrà tenuto presente nel trattare alcuni temi centrali nella poesia italiana del ’200 e del ’300: il conflitto tra amore e religione, di derivazione provenzale, presente nei Siciliani e ancora irrisolto in Guinizzelli ; il superamento di tale conflitto nella Vita nuova e poi nella Divina Commedia di Dante Alighieri; il suo ripresentarsi, in forme rinnovate, nel Canzoniere di Francesco Petrarca.

 


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