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L’ILLUMINISMO DI PIETRO VERRI
Grande ed importante figura dell’illuminismo Lombardo è Pietro Verri, nato a
Milano nel 1728. In conflitto subito con la propria famiglia cui si ribellò
molto presto insofferente della rigida educazione ricevuta. Riuscì fin da
giovane a istaurare una relazione con la duchessa Serbelloni (dove Parini era
svolgere funzioni di precettore) , nel 1750 entra a far parte dell’accademia dei
Trasformati ma restò subito insoddisfatto per via del troppo tradizionalismo
dovuto alla presenza di non molti intellettuali sensibili alla nuova cultura
illuminista.. Nel 1759 entra nella carriera militare, e subito partecipa alla
guerra dei Sette Anni come ufficiale austriaco. Nel ‘61 rientra a Milano con
l’intenzione di dedicarsi agli studi economici, sociali e politi e risollevare
la situazione stagnante della propria città. Da vita subito all’accademia dei
Pugni, dove fra i tanti aderenti vi fu, oltre al fratello Alessandro, Beccaria.
Tenevano le riunioni a casa di Verri ed erano dedicate a temi sociali
abbandonando del tutto qualsiasi forma di tradizionalismo che invece era
presente nelle altre accademie.
Dall’accademia nasce <<il Caffè>>, questo tra il 1764-1766, ogni 10 giorni.
Nello stesso anno Verri entra a far parte dell’amministrazione austriaca
ottenendo anche incarichi di alto livello nel campo della programmazione
economica. Potendo farlo, realizza così il suo progetto riformista aprendo la
strada ai nuovi illuministi intellettuali. Nel 20eenio occupato negli incarichi
pubblici compose numerose opere di economia, storia e filosofia. Deluso dalle
resistenze conservatrici perduranti nel 1786 fu sospeso da ogni incarico. Grazie
all’arrivo dei francesi a Milano, 10 anni piu’ tardi, ha la possibilità di un
coinvolgimento pubblico; egli accettò cui aderì anche Parino. L’impegno si
rilevò troppo gravoso per la sua salute; morì il 28 giugno 1797 stroncato da un
infarto durante una seduta notturna del consiglio.
L’importanza di Pietro Verri all’interno del gruppo degli illuministi lombardi
sta nella sua instancabile attività di organizzatore e di guida. La sua
accademia e <<il Caffè>> furono entrambe importanti e decisive per la cultura
milanese ed italiana del secondo settecento. Fu guida indispensabile per Cesare
Beccaria che produrrà l’opera più fortunata(anche all’estero) dell’illuminismo
italiano.(“Dei delitti e delle pene”) Anche l’edizione italiana
dell’Enciclopedia(Livorno 1770-79) si deve al suo interessamento.Con lui si è
avuto il tentativo piu’ duro e testardo di stabilire un rapporto di
collaborazione con il potere delle monarchie illuminate accogliendo posizioni
della filosofia francese contemporanea. Lo scopo della società è di favorire la
massima utilità possibile per il maggior numero di soggetti, cioè di accrescere
il piacere pubblico.
Come sua opera di carattere storico-giuridico “Osservazioni sulla tortura”
(1804) dove dimostra su quali assurdi pregiudizi si fondi la pratica della
tortura a fini giudiziari molto diffusa e difesa anche da giuristi.
PENSIERO di VERRI
Grazie al pensiero di Verri e alla rivista “Il caffè” , Milano diventò una
guida , un importante centro del pensiero illuminista in Italia. La rivista del
Verri doveva rappresentare non soltanto un sistema di aggregazione illuminista
che con l'avvio di un dibattito doveva “svegliare” le menti dei cittadini ancora
“dormienti” nella superstizione, ma anche ispirare un nuovo modo di governare
una grande città come Milano e tutta la Lombardia,
Discorso sull'indole del piacere e del
dolore
Nel suo trattato sul dolore e sul piacere Verri sostiene che la vita di tutti è
governata dalla continua ricerca della felicità e del piacere. Purtroppo la
felicità è cosa rara e rappresenta solo piccoli momenti sporadici della vita
governata dall'idea dal dolore .La felicità può esistere, secondo l'autore, solo
a livello sociale e collettivo.
DEI DELITTI E DELLE PENE di Cesare Beccaria
Cesare Beccaria nacque a Milano nel 1738 da una famiglia ricca e nobile. A 20
anni si laureò in Legge presso l’università di Pavia. Nel 61’ si sposò con una
donna di famiglia umile e questo sancì la rottura con la propria famiglia ma
grazie a Pietro Verri, col quale si era già avvicinato, poté riconciliarsi con
la famiglia. Beccaria ebbe nei fratelli Verri un fondamentale punto di
riferimento e uno stimolo. 1762 ha la figlia Giulia futura madre di Alessandro
Manzoni. Collaborò con i Verri alla rivista <<il Caffè>> dove è esplicito
l’adesione alle idee degli illuministi francesi più grandi dove ormai i temi e i
problemi, il modo di scrivere piano piano arriverà a cambiare del tutto.(Questo
ancora più lentamente succederà in Italia). Con l’illuminismo cambieranno quindi
le tematiche oltre al modo di scrivere questo è potuto accadere solo grazie
all’avvento di una nuova mentalità ed una nuova classe sociale la quale possa
accedere a queste nuove opere con temi tuttavia importanti; perchè appunto non
riguardano più il passato ma problematiche reali e vicine ad essi i quali
portano ad una riflessione interna ed alla formazione di una propria idea
personale.
Dei delitti e delle pene(scritto in Lombardo italianizzato), pamphlet del 1764
pubblicato da Cesare Beccaria, è il testo più noto ed importante
dell’Illuminismo italiano(fortuna in Italia ed Estero e la sua influenza sui
pensatori successivi). In esso si trovano le idee sociali più significative
della nuova cultura espresse in u modo davvero elegante; da tener presente che
aveva 25 anni quando lo pubblicò. L’autore aveva preferito far comparire anonimo
la propria opera per paura di attacchi personali e delle reazioni che avrebbe
scatenato. Fu infatti così, soprattutto da parte della chiesa che lo mise
all’indice nel 1766, ma le adesioni furono numerose e significative, il libro fu
difeso anche dai ratelli Verri nella loro rivista(che usciva ogni 10 giorni); in
Francia i philosophes lo tradussero e lo segnarono subito come un
capolavoro.(Voltaire ne estese pure un commento)
Cesare Beccaria fu invitato grazie al suo libro a Parigi e lui accettò di andare
con Alessandro Verri nel 1766 ma il suo carattere schivo gli rese sgradevole
l’accoglienza festosa parigina. Ciò incrinò i suoi rapporti con i fratelli Verri
e da qui cessa la sua collaborazione fruttosa con il gruppo lombardo degli
illuministi. Dal 1769 fu insegnante di economia civile presso le scuole Palatine
di Milano e dal ‘71 alla sua morte(28 nov. 1794) si dedica alla carriera
amministrativa contribuendo alla politica riformista asburgica. Beccaria si
schiera a favore della letteratura rinnovata nello stile, fedele al bisogno di
esprimere concetti concreti secondo procedimenti razionali. Il tema di: “Dei
delitti e delle pene” è la questione della giustizia, (avendo quale pena
tocca??) problema e pensiero che circolava in giro, ma il suo pensiero è quello
che cambierà il modo di pensare di tutto il mondo piano piano.
La giustizia non deve essere vendetta ma deve servire per far capire alle
persone che quello che hanno compiuto e sbagliato per poi, una volta lasciate
libere, non lo ricommettono più. La pena deve far da esempio anche per le altre
persone della comunità, la giustizia si deve preoccupare della comunità non per
vendicare la singola persona. Ai suoi tempi, dopo prime statistiche fatte, si
sapeva che le pene corporali non facevano calare i criminali, anche la pena di
morte quindi era inutile applicarla. Questa concezione piano piano sostituirà
quella attuale.
Beccaria non è contrario alla pena di morte, lui pensa che la si debba applicare
quando:
-quando all’esterno potrà nuocere alla nazione una volta uscito
-quando stando solo all’interno del carcere riesce a creare e smuovere disordine
all’esterno
Non fa paura all’uomo essere ucciso sul colpo, ma se la pena è lunga allora si.
La nostra paura è sollecitata da piccole pene ma lunghe che gravi istantanee.
L’esempio giusto è il carcerato a vita non il giustiziato in pubblico.
Quando si parla dei grandi classici della cultura italiana, in particolare civile e politica non possiamo che fare riferimento alla grande opera che Cesare Beccaria scrisse nel 1764, "Dei delitti e delle pene". "Esse [le leggi] non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari."
Cesare Beccaria nella sua vita si definì un “filosofo della morale e della politica ”, il suo interesse per la filosofia nasce soprattutto grazie allo studio dei pensieri di Montesquieu e Rosseau e che lo portano a maturare le idee che poi scriverà nel suo libro.
Principalmente è influenzato dalle idee che troviamo nel “Contratto sociale” di Jean Jacques Rosseau e anche dal pensiero di John Locke, fu molto apprezzato in tutta l’Europa tanto da essere lodato dai massimi pensatori di quel tempo. Cesare Beccaria aveva 25 anni quando scrisse questa opera e ha mostrato tutta la chiarezza con uno stile limpido e mai impreciso, tanto da essere un modello di riferimento per molti autori successivi.
Il trattato viene diviso in 42 brevi capitoli, ognuno con un proprio titolo nella quale si dibatte l’argomento scelto.
Nell’opera troviamo essenzialmente una riflessione politica sulla situazione legislativa di quel tempo, anni in cui si ha una maggiore presa di coscienza nei riguardi della giurisdizione penale e si ha un impulso morale generato sostanzialmente dall’evoluzione storica sociale e culturale di quei tempi.
Leggendo il libro più volte rimango stupita dal fatto che Cesare Beccaria si sia interessato a temi e pene che ancora oggi sono molto attuali. Troviamo ad esempio temi come la pena di morte (“Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità.”), l’interpretazione arbitraria delle leggi e la prontezza delle leggi. Ancora molto importante per quel tempo è il fatto di parlare della disuguaglianza di pene inflitte a un povero o a un nobile , e, fondamentale è l’aspetto educativo che serve per prevenire le pene.
«Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta».
Credo sia illuminante la conclusione che troviamo:
“Da quanto si è veduto finora può cavarsi un teorema generale molto utile, ma poco conforme all'uso, legislatore il più ordinariodelle nazioni, cioè: perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino,dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze,proporzionata a delitti, dettata dalle leggi.”