Fu, con Freud e Jung, fondatore della psicologia psicodinamica. Visse tra la fine dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento, un periodo particolarmente fertile quanto ad innovazioni scientifiche e culturali.
LA TERAPIA ADLERIANA
La terapia di Alfred Adler (1870-1937), derivante dalla sua psicologia individuale, è di matrice psicanalitica. Adler fu il primo a notare come il bambino, soprattutto nel primo periodo della sua vita, avverta una grave situazione di inadeguatezza, manifestando di conseguenza un grande bisogno di aiuto. È questa la situazione che egli definisce, intenzionalmente, sentimento di inferiorità, termine da lui utilizzato per indicare quella fisiologica e consueta condizione di insufficienza e di insicurezza che manifesta il fanciullo di fronte al mondo ancora sconosciuto, in cui vivono personaggi più grandi, più forti e più esperti di lui.
Se gli apporti ambientali gli saranno favorevoli, il bambino supererà successivamente, in modo graduale, il disagio dell'inferiorità, in concomitanza con lo sviluppo somatopsichico, con il processo di apprendimento e con l'integrazione sociale, dapprima collaudata nella cerchia della famiglia e, via via, al di fuori di questa. Se, al contrario, gli stimoli saranno negativi, o verranno percepiti come tali, è probabile che si verifichi, come conseguenza, un rafforzamento dell'ordinario sentimento di inferiorità, tanto da far scivolare fatalmente il soggetto nel complesso di inferiorità, che è sempre patologico. Secondo Adler non è possibile studiare un essere umano in una condizione di isolamento sociale, in quanto ognuno di noi fa parte di un contesto sociale.
Questo punto distingue la psicologia individuale da quella di Freud, poiché nella teoria psicanalitica classica i rapporti sociali, ad eccezione di quelli con i genitori, vengono trascurati. Per Adler i rapporti sociali sono fondamentali e vanno presi in considerazione come parte costituente della vita psichica di un individuo. Con il termine individuale ci si riferisce al concetto di una individualità psichica unica e irripetibile che, per necessità di sopravvivenza, deve entrare a far parte di una struttura comunitaria formata da altre unità psichiche, anch'esse uniche e irripetibili. Le due istanze che Adler riconobbe come fondamentali, la volontà di potenza e il sentimento sociale, provvedono a garantire la sopravvivenza dell'essere umano. Tali strumenti ineludibili si pongono entrambi al di sopra delle pulsioni con il preciso compito di regolare in ogni individuo sia gli impulsi istintuali che le attività coscienti.
La volontà di potenza, da parte sua, provvede con la spinta energetica che la
contraddistingue a indirizzare l'uomo verso le mete affermative con quell'altra
esigenza fondamentale dell'uomo, il sentimento sociale; esso è rappresentato
dalla necessità che ha ciascun essere umano di cooperare con i propri simili e
di compartecipare solidalmente alle loro emozioni. Il campo d'azione della
volontà di potenza si estende a tutti i settori della vita di relazione, dagli
affetti alla sessualità, dal lavoro ai rapporti interpersonali, mentre la sua
linea operativa, senza possedere di per sé un fondamento aggressivo, si serve,
per fini di potere, di dominio o di conservazione, di ciò che Adler definì
pulsione aggressiva. Per Adler, nel bambino più piccolo, l'aggressività non
è altro che un'energia primordiale, non ancora ben disciplinata e indirizzata,
ma già in grado di garantire la soddisfazione delle necessità più elementari.
Lungo il cammino si ergono però i primi ostacoli, le prime sofferenze, i primi
pericoli a indicare al bambino i confini entro i quali potrà esprimere la
propria forza, modulandone l'intensità a seconda delle esigenze contingenti. Più
avanti, quando sarà maggiormente cresciuto, egli dovrà necessariamente fare i
conti con le regole di convivenza, indicate all'inizio dalla madre e,
successivamente, proposte dalla famiglia e quindi dalla società. Molte di queste
regole riguardano proprio il controllo dell'aggressività, che sarà così
indirizzata verso settori consentiti, se non anche sollecitati o addirittura
imposti. L'originalità del pensiero di Alfred Adler sta nell'aver posto
l'accento sulla visione finalistica del superamento del sentimento d'inferiorità
(qualsiasi senso abbia l'inferiorità).
La volontà di potenza nella sua irresistibile spinta verso le mete affermative
non tollera lo stato di inferiorità e si serve di tutta la sua energia per
ottenerne il superamento. Lo sforzo dell'individuo per emergere, per imporsi,
rappresenta il tentativo di superare il complesso di inferiorità che prova, da
bambino, nei confronti del mondo degli adulti, inferiorità che può essere
acutizzata da fattori economici e organici. Nel tentativo di superare questo
senso di inferiorità, il bambino si prefigge obiettivi fittizi che hanno lo
scopo di tranquillizzarlo.
Nel soggetto normale questa contraddizione fra visione fittizia della vita e
realtà viene mediata, consentendogli di stabilire soddisfacenti rapporti
sociali. Nel nevrotico questa mediazione fallisce, vanificando la possibilità di
una relazione sociale positiva. La terapia mira a determinare come si è formato
questo autoinganno, attraverso i ricordi e i sogni, non ricorre alle libere
associazioni, considera il transfert come elemento facilitante e presuppone una
partecipazione attiva da parte del terapeuta tesa a smascherare i falsi
obiettivi a cui il paziente tende e a fornire mete esistenziali più idonee e
stimolanti.
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